Solidarietà con Patrizia Moretti, madre di Federico Aldovrandi


 

Tre dei quattro poliziotti
condannati in primo grado per eccesso colposo nell’omicidio di Federico
Aldovrandi hanno querelato per diffamazione la madre del ragazzo, Patrizia
Moretti, che in un’intervista li aveva definiti «delinquenti». Enzo Pontani,
Monica Segatto e Luca Pollastri sono stati condannati a 3 anni e 6 mesi. La
sentenza di primo grado, che coinvolgeva anche Paolo Forlani, un quarto
poliziotto è del luglio 2009.

 

In un articolo pubblicato
nel luglio 2008 sul giornale La Nuova Ferrara, Patrizia Moretti commentava la
drammatica vicenda di Riccardo Rasman, un altro giovane morto a Trieste
nell’ottobre 2006, vittima delle violenze della polizia: «Spero che anche per
loro (la famiglia di Rasman, ndr) si arrivi presto a un processo, come è giusto
che sia, e che si giudichino quelle persone a prescindere dal fatto che sono
poliziotti – disse Moretti -. Anche perché noi, io e Giuliana, la sorella di
Riccardo, non consideriamo quelle persone come rappresentanti delle
istituzioni, ma solo come delinquenti». E’ stata quest’ultima frase a far
scattare la querela da tre degli agenti condannati in primo grado.

Denunciare una madre alla
quale è stato strappato, assassinato un figlio, in circostanze inammissibili,
ingiustificabili, è incivile e significa negare il dolore stesso di quella
madre.
Noi Madri per Roma Città Aperta riteniamo che questa rappresenti l’ennesima
intimidazione nei confronti di quei familiari, ormai tanti, troppi, che
chiedono giustizia per la morte dei loro congiunti uccisi da coloro,
appartenenti a organi dello stato o istituzioni pubbliche che avrebbero dovuto
tutelare la loro vita. Le continue richieste di giustizia da parte dei
familiari, le loro richieste di verità inaspriscono e disturbano i
rappresentanti di queste istituzioni, a cui non resta altro che, offendere,
intimidire, piegare attraverso una guerra psicologica di querele e denunce,
proprio per una presunta condizione di impunibilità e di superiorità ad ogni
giustizia umana.
Noi siamo solidali con la mamma di Federico Aldovrandi che non si lascia
intimidire come non si sono fatti intimidire e mettere a tacere , genitori,
sorelle, familiari di chi ha perso la vita o ha subito lesioni e denunce da
coloro i quali li hanno avuti in custodia.
Dopo l’assurda querela, il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione
della denuncia, ma i tre poliziotti ritenuti responsabili della morte di
Federico, hanno pensato bene di non accettarla e di avvalersi del rito
dell’opposizione.

Noi ci domandiamo:

Può un dolore così
devastante come quello di Patrizia, essere denunciato piuttosto che alleviato?

Può uno Stato offendere un
dolore, piuttosto che sentirsi responsabile delle morti e lesioni inferte ai
propri cittadini da chi lo doveva rappresentare, perseguendo la giustizia e la
verità che i loro familiari chiedono?

Questi  cittadini, offesi dallo Stato, in questi
anni, attraverso la loro caparbietà, una corretta insistenza, e forme di
resistenza democratiche e civili stanno dando una grande lezione proprio a
quegli organi istituzionali  che ancora
rispondono, in molti casi,  con
un’aggressività crescente, leggi liberticide e vergognose archiviazioni e prescrizioni.

Noi Madri, chiediamo a
tutti una condivisione dei sentimenti di questi cittadini che continuano a
resistere alle ingiustizie e all’occultamento della verità.

Il 18 giugno saremo vicini
alla famiglia Aldovrandi e alle due giornaliste della Nuova Ferrara e
dell’Ansa, chiedendo di manifestare esplicitamente in tutti i contesti, la
solidarietà con loro.

Siamo tutti familiari!

 

Madri per
Roma Città Aperta
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Ricordando le donne del Ponte di ferro

7 Aprile 1944 – 7 Aprile 2010

Ricordando le donne del Ponte di ferro

Costruiamo insieme un luogo dedicato ad ogni donna
resistente

Il 7 aprile del 1944 morivano, fucilate dai nazisti, dieci donne.
Clorinda Falsetti, Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante,
Eulalia Fiorentino, Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta
Maria Izzi, Arialda Pistolesi, Silvia Loggreolo furono assassinate al
Ponte di Ferro perchè insieme ad altri ed altre abitanti dei quartieri
limitrofi avevano assaltato un forno. Volevano riprendere per la
famiglia quella farina e quel pane che i fascisti negavano alla
popolazione straziata dalla guerra, riservandolo ai tedeschi.
I loro
corpi lasciati esposti sul luogo dell´eccidio dovevano scoraggiare chi
intendeva ribellarsi, Ma il ricordo del loro coraggio è ancora oggi la
forza di chi cerca giustizia.
Sullo stesso ponte un monumento , per
lo più  sconosciuto  mantiene il ricordo di quelle donne. Attraverso la
costruzione di un percorso storico, attraverso un
continua e rinnovata lettura dei suoi contenuti, e la loro discussione
in un racconto collettivo la memoria diviene elemento costitutivo del
ragionare il presente e  del costruire il futuro

Il 7 aprile del 2010, vogliamo ricordare su quel monumento e su quel
ponte il nome di ogni donna che ha resistito e resiste ai tanti soprusi
quotidiani di cui sono vittime le donne nel nostro paese e nel mondo.
Quella storia di resistenza ci appartiene ancora, non è finita. La
resistenza delle donne è diventata pane quotidiano

Ricordare e Resistere  sarà parlare delle donne che ogni giorno
resistono con i propri corpi, alla violenza fuori e dentro la famiglia,
 alle guerre, alle privazioni, alla negazione di libertà e delle diverse
forme di esistenze, al razzismo e ad ogni intolleranza.

Ricordarle sarà lasciare, su quel monumento e su quel ponte, insieme a
quelli delle dieci donne scolpite sulla pietra, il nome di ogni donna
resistente

 

7       aprile 2010 ponte di ferro ore 16

Via di Porto Fluviale

In ricordo delle dieci donne giustiziate dai
nazifascisti

In ricordo di ogni donna resistente

 

 

Antifasciste romane

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Antifascismo e campagna elettorale

Le
Madri per Roma Città Aperta invitano a NON
votare la candidata del PdL Renata Polverini  

 

Il partito "La Destra" ha aperto
ufficialmente la propria campagna elettorale con Francesco Storace e Renata
Polverini. Dal sito Atuttadestra.net
sul tema della campagna elettorale si può avere l’idea delle formazioni di
destra che ruoteranno intorno più o meno dichiarate alla candidata Polverini
per la presidenza della Regione Lazio. Oltre alle dichiarazioni esplicite della
Destra di Storace, che  si candida come
capolista in tre circoscrizioni: a Roma, Frosinone e Latina, dell’MPI di
Daniela Santanche, alleato con Fiamma Tricolore di  Luca Romagnoli per le regionali, anche
l’appoggio di Casa Pound di Gianluca Jannone 
e di  Foro 753 di Stefano Conti
segretario provinciale dell’UGL
telecomunicazioni

Molti sostenitori della Polverini ostentano
in diverse occasioni il saluto romano: Teodoro Buontempo, il presidente de La Destra, il partito di
Francesco Storace così come Fabio Sabbatani Schiuma coordinatore regionale
dell’Mpi, il portavoce del Popolo di Roma, Giuliano Castellino e Gianluca
Iannone di Casa Pound.

E ancora per il  listone del candidato vincente,  l’offerta a Isabella Rauti fondatrice con il
padre di Fiamma Tricolore in cui è rimasta attiva fino al 2003, entusiasta
sostenitrice dell’azione di emancipazione femminile svolta dal fascismo,
citando il protagonismo e la militanza delle donne fasciste, dai fasci
femminili alle ausiliarie della Repubblica Sociale Italiana di Salò.

Le donne del Comitato Madri per Roma Città
Aperta ritengono la candidatura di Renata Polverini, sostenuta da queste
formazioni e da queste persone una minaccia ulteriore alla democrazia della
nostra regione, dopo l’elezione come sindaco di Roma di Alemanno, acclamato sul
Campidoglio con il saluto romano.

Da queste persone orgogliose di essere
fascisti e mai dissociate dalle forme fasciste dell’intolleranza e del
razzismo, non possono nascere programmi e politiche sociali, culturali ed  economiche improntate al riconoscimento dei
diritti di ogni cittadino e abitante della nostra città e regione,
all’emanazioni di leggi improntate su principi costituzionali nati dalle lotte
antifasciste che fin dal suo primo manifestarsi si opposero ai regimi nazisti e
fascisti.

 

Comitato Madri per Roma Città Aperta

madrixromacittaperta@libero.it

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Lettera a Emma Bonino

Gentile signora,

 

chi
le scrive è il Comitato Madri per Roma città aperta che è nato da un tragico
avvenimento di un giorno di fine agosto 2006 quando tre ragazzi che uscivano da
un concerto reggae sono stati aggrediti 
con i coltelli da altri due ragazzi.

Renato
Biagetti 26 anni, neolaureato in ingegneria elettronica, fonico precario per
radio private, frequentatore di centri sociali, soprattutto per eventi musicali
viene raggiunto da otto coltellate, muore dopo poche ore all’ospedale Grassi. I
due responsabili, uno minorenne, vengono fermati. Sul braccio del maggiorenne
sono tatuate una croce celtica e la scritta “forza e onore”.

La
morte di Renato imprime un’accelerazione a quanto avviene già da mesi in varie
zone di Roma; l’aggressione, di ugual stampo, alla conclusione di un concerto a
villa Ada,  l’assalto a famiglie di
extracomunitari che occupano una scuola a Casalbertone, per citarne due dei più
gravi. E’ a questo punto che la madre di Renato, Stefania Zuccari, si rivolge
al Sindaco Veltroni con una lettera :“…..come
cittadine, prima ancora che madri e nonne di ragazze e ragazzi che solo per
comodità vengono etichettati come estremisti, negando alle loro scelte e ai
loro progetti lo spessore che hanno, esprimiamo la nostra grandissima
preoccupazione per la situazione che stiamo vivendo..”

Nasce
un comitato di Madri, per Roma Città Aperta appunto.

Dalla
morte di Renato dal dolore di una madre è nata un’idea che ci trovava concordi,
“il ritorno alla vita”. Sentivamo di poter assumere su di noi l’identità di
madri contro la retorica sulla maternità. Le madri generano e non possono
accettare che le vite dei loro figli siano spezzate: con le lame, sulle strade,
rincorrendo la precarietà del lavoro, ad un posto di blocco, durante una
manifestazione.

Una
grande lezione di condanna verso ogni forma di risposta “violenta “, sia
individuale che istituzionale,  ad
eventi  di aggressione, talvolta mortali,
che inevitabilmente sviluppano “paura” nella città e “caccia” al diverso.

Madri
per Roma Città Aperta significa evocare una città che rifiuta la
militarizzazione , che rifiuta l’utilizzo di mezzi difensivi e offensivi.

Perché
Roma continui ad essere una città aperta, dobbiamo riappropriarci di quella
conoscenza che le nuove forme di fascismo vorrebbero relegare a storia
“passata” e percorrere la via della “convivenza”, perché la nostra città non
diventi luogo di aggressioni mortali, scontri , assalti e, insieme di razzismo
ed esclusione.

Dalla
sua nascita il Comitato ha, realizzato molte iniziative, sollecitato
riflessioni, discusso nelle scuole dove siamo state invitate, partecipato
attivamente ai movimenti della città che contrastano le nuove forme di
fascismo, di razzismo e di intolleranza verso la diversità comunque  manifestate, dilaganti nella nostra città e
nel paese.

Nelle
disgregate periferie urbane sta crescendo una generazione sottoposta ad
ossessioni sicuritarie; la rinascita ed il proliferare di gruppi neofascisti e
neonazisti per i quali la violenza, la prevaricazione e la xenofobia sono azioni
e condizioni quotidiane di vita, favorite spesso da un atteggiamento di
tolleranza e di sottovalutazione della portata reale del pericolo da parte
delle istituzioni.

Una
storia già scritta! Questo fenomeno è nuovo solo in apparenza. Negli anni
Sessanta fecero in maniera analoga il loro violento apprendistato i futuri
terroristi e stragisti neri, i Concutelli, i Mangiameli, le Mambro e i
Fioravanti.

Iniziarono
il loro curriculum assaltando licei “rossi” o locali in cui si proiettavano
film “comunisti” dileggiando Pasolini e i ‘pasolini’. Rivendicando purezza e
atteggiandosi a sfortunati “comandanti” di un esercito che non combattè mai
alcuna guerra, solo terribili agguati. Non è certo un caso se nei siti web
della nuova destra quei personaggi vengano a tutt’oggi indicati come modelli.

Oggi
gli eredi di Concutelli e Fioravanti, dissotterrando manganelli e coltelli
dello squadrismo, lanciano un analogo segnale, certificando con la violenza la
propria esistenza, rivendicando un ruolo, anche, sul fronte delle
rappresentanze democratiche.

E’
il ritorno di un’area fascista, con la sua componente di consenso in molte
frange della società , della scuola e delle istituzioni (vedi il proliferare di
gruppi come Casa Pound e  Blocco Studentesco).
Giovani che ostentano disprezzo per tutto ciò che è democrazia che,
purtroppo,  non si muovono nel vuoto.

Una
persona come Lei, certamente avveduta e informata, non può relegare questa mole
di problemi in uno sfondo impreciso, liquidando i malumori – a cui ci
associamo- di quanti non hanno preso bene le dichiarazioni di Mambro e
Fioravanti a suo favore. Si può liquidare tutto questo con un “ho visto una campagna ostile nei confronti
di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti”?

Nessuno
mette in discussione il diritto di percorrere un cammino individuale di
riscatto né di concluderlo con successo. Quel che ferisce sono le
responsabilità pubbliche delle due persone in questione; “responsabilità” da
cui non hanno mai preso le distanze e che mai hanno messo in discussione. Nè da
parte loro è venuta una qualche riflessione sul legame fra democrazia e
antifascismo, un legame che ha trovato la sua radice più profonda, nei principi
fondamentali e, secondo noi, intoccabili, custoditi nella nostra Costituzione.

Noi
sappiamo una cosa: che se avessero vinto altre forze non avremmo democrazia. Sulla
nostra pelle abbiamo vissuto situazione che ci fanno dire che non siamo fuori
pericolo e  che la democrazia ha bisogno
di cura e attenzioni continue.

In
questa opera non sentiamo vicini Mambro e Fioravanti, come nessun altro che non
abbia preso le distanze da scelte terroriste e di morte. Siamo sicure invece di
avere lei. O almeno lo speriamo.

 

Madri per Roma Città Aperta

 

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Lettera dei/delle docenti universitari/e contro il razzismo a sostegno del primo marzo, “una giornata senza di noi”

Noi docenti precari/e e docenti non
precari/e delle università italiane abbiamo deciso di aderire alla giornata del
primo marzo, “una giornata senza di noi”, presentando ai nostri studenti e alle
nostre studentesse, dove possibile anche durante le ore di attività didattica
nei giorni che precedono il primo marzo, dapprima la lettera dei lavoratori
africani di Rosarno, riunitisi in assemblea a Roma alla fine di gennaio, e poi
il testo che leggeremo alla fine della loro lettera e invitandoli/e a
partecipare alle iniziative della giornata:

 I mandarini e le olive non
cadono dal cielo

In data 31 gennaio 2010 ci siamo riuniti per costituire l´Assemblea
dei lavoratori Africani di Rosarno a Roma.

Siamo i lavoratori che sono stati obbligati a lasciare
Rosarno dopo aver rivendicato i nostri diritti. Lavoravamo in condizioni
disumane. Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né elettricità. Il nostro
lavoro era sottopagato. Lasciavamo i luoghi dove dormivamo ogni mattina alle
6.00 per rientrarci solo la sera alle 20.00 per 25 euro che non finivano
nemmeno tutti nelle nostre tasche. A volte non riuscivamo nemmeno, dopo una
giornata di duro lavoro, a farci pagare. Ritornavamo con le mani vuote e il
corpo piegato dalla fatica. Eravamo, da molti anni, oggetto di discriminazione,
sfruttamento e minacce di tutti i generi. Eravamo sfruttati di giorno e
cacciati, di notte, dai figli dei nostri sfruttatori. Eravamo bastonati,
minacciati, braccati come le bestie…prelevati, qualcuno è sparito per sempre.


Ci hanno sparato addosso, per gioco o per l´interesse di qualcuno.
Abbiamo continuato a lavorare. Con il tempo eravamo divenuti facili bersagli.
Non ne potevamo più. Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti
nella loro dignità umana, nel loro orgoglio di esseri umani.

Non potevamo più attendere un aiuto che non sarebbe mai arrivato perché
siamo invisibili, non esistiamo per le autorità di questo paese. Ci siamo fatti
vedere, siamo scesi per strada per gridare la nostra esistenza.

La gente non voleva vederci. Come può manifestare qualcuno
che non esiste? Le autorità e le forze dell’ordine sono arrivate e ci hanno
deportati dalla città perché non eravamo più al sicuro. Gli abitanti di Rosarno
si sono messi a darci la caccia, a linciarci, questa volta organizzati in vere
e proprie squadre di caccia all´uomo.


Siamo stati rinchiusi nei centri di detenzione per immigrati. Molti di
noi ci sono ancora, altri sono tornati in Africa, altri sono sparpagliati nelle
città del Sud. Noi siamo a Roma. Oggi ci ritroviamo senza lavoro, senza un
posto dove dormire, senza i nostri bagagli e con i salari ancora non pagati
nelle mani dei nostri sfruttatori. Noi diciamo di essere degli attori della
vita economica di questo paese, le cui autorità non vogliono né vederci né
ascoltarci. I mandarini, le olive, le arance non cadono dal cielo. Sono delle
mani che li raccolgono.

Eravamo riusciti a trovare un lavoro che abbiamo perduto
semplicemente perché abbiamo domandato di essere trattati come esseri umani.
Non siamo venuti in Italia per fare i turisti. Il nostro lavoro e il nostro
sudore serve all´Italia come serve alle nostre famiglie che hanno riposto in
noi molte speranze. Domandiamo alle autorità di questo paese di incontrarci e
di ascoltare le nostre richieste:

 
- domandiamo che il
permesso di soggiorno concesso per motive umanitari agli 11 africani feriti a
Rosarno, sia accordato anche a tutti noi, vittime dello sfruttamento e della
nostra condizione irregolare che ci ha lasciato senza lavoro, abbandonati e
dimenticati per strada. Vogliamo che il governo di questo paese si assuma le
sue responsabilità e ci garantisca la possibilità di lavorare con dignità.

L´Assemblea dei Lavoratori Africani di Rosarno a Roma”

 

Dapprima in Francia, poi in Italia, in
Spagna, in Grecia e in altri paesi europei, la giornata del primo marzo è stata
proclamata “una giornata senza di noi” con l’intento da parte dei/delle
migranti che vivono in questi paesi di far percepire, per un giorno, l’importanza
della loro presenza economica e sociale
sia attraverso lo sciopero sia attraverso altre forme di protesta come
l’astensione dai consumi
. Ispirata alla giornata del primo
maggio del 2006, quando in varie città degli Stati Uniti i/le migranti privi/e
di documenti di soggiorno erano riusciti/e a bloccare la vita economica e
sociale di quelle città attraverso una massiccia astensione dal lavoro e
fluviali manifestazioni in cui ricordavano a tutti che “We are America”, questa
giornata ci sembra di particolare importanza
anche per iniziare una necessaria riflessione sulle forme della nostra
esistenza comune di cittadini/e e non cittadini/e, migranti e non.

Per questo, abbiamo deciso di assumere
come parte del nostro testo quello sottoscritto da alcuni lavoratori africani
di Rosarno. Riteniamo, infatti, che quanto accaduto a Rosarno nei primi giorni
di gennaio – le intimidazioni e le violenze sui migranti, la rivolta dei
lavoratori africani, la “caccia al nero” dei giorni successivi, il
coinvolgimento di alcune parti della mafia nella “gestione dell’ordine
pubblico”, il trasferimento d’urgenza di tutti i lavoratori africani, la loro
detenzione nei centri di identificazione ed espulsione e la minaccia di
espulsione per quelli privi di permesso di soggiorno – sia il precipitato,
soltanto più visibile, delle scelte politiche con cui negli ultimi anni i
governi che si sono succeduti hanno affrontato e voluto gestire il fenomeno
globale delle migrazioni. Il risultato, innanzitutto, di una volontà di
generale clandestinizzazione della presenza dei/lle migranti e dei lavoratori e
delle lavoratrici migranti che ha permesso, non solo a Rosarno, ma nel Sud come
nel Nord del paese, tra i campi di agrumi e le serre così come nelle fabbriche
e le piccole imprese, o nelle famiglie, forme di assoluto sfruttamento della
forza lavoro possibili grazie a un’illegalità diffusa del mercato del lavoro
generata proprio dalle leggi che normano l’immigrazione. Ricordiamo di seguito
alcuni dei provvedimenti e dei fatti che stanno alla base di quanto accaduto a
Rosarno così come di quanto accade quotidianamente nel resto d’Italia: l’istituzione dei centri di detenzione nel lontano
1998, con cui si apriva il capitolo del doppio binario giuridico, uno per i
cittadini, un altro per i non cittadini, passibili di pene detentive in assenza
di reato; il nesso inscindibile tra contratto di lavoro e permesso di
soggiorno, con la legge del 2001, che spianava la strada a ogni forma di
ricattabilità da parte dei datori di lavoro sulla forza lavoro migrante,
compresa la ricattabilità sessuale delle lavoratrici migranti impiegate nel
lavoro domestico; gli innumerevoli provvedimenti delle recenti norme previste
dai pacchetti sicurezza ispirati tutti a un orizzonte di discriminazione e
razzismo (l’aggravante di clandestinità, il reato di clandestinità, il
prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa, l’interdipendenza tra
permesso di soggiorno e atti dello stato civile, tra cui il riconoscimento dei
figli e il matrimonio, l’istituzione di corpi speciali privati per il
mantenimento dell’ordine pubblico); i respingimenti verso la Libia iniziati nel maggio
del 2009 volti a risolvere il problema degli arrivi sulle coste italiane con la
deportazione verso i campi di concentramento della Libia finanziati dallo stato
italiano di donne, uomini e bambini, spesso potenziali rifugiati provenienti
dai luoghi di guerra delle ex-colonie italiane. La criminalizzazione dei
migranti privi di permesso di soggiorno produce effetti a cascata su tutti/e
i/le migranti che vivono in Italia, rendendo precaria la condizione degli/delle
stessi/e migranti “regolari”, esponendoli/e a continue discriminazioni e alla
possibilità sempre presente di ricadere nell’“irregolarità”. “Come può manifestare qualcuno che non esiste?” si
chiedono i lavoratori africani nella lettera che vi abbiamo letto, descrivendo
prima di questa domanda l’esistenza quotidiana “di chi non esiste”, dalla
giornata lavorativa alle notti prive di acqua e elettricità e costellate di
episodi di violenza e intimidazioni. “Come può esistere chi non esiste” è,
infatti, secondo noi, la domanda di fondo diventata sempre più impellente in
Italia e generata da una forma pervasiva di razzismo istituzionale che permette
e legittima forme di razzismo, intolleranza, xenofobia sociali che stanno ormai
erodendo la vivibilità comune delle nostre città. O, meglio, come possono
esistere tutti e tutte coloro che, pur essendo “attori della vita economica di questo paese”, con differenti
dispositivi sono continuamente sospinti verso una presenza marginale e una vita
non vivibile costellata di mille ostacoli (dai tempi biblici del rinnovo del
permesso di soggiorno all’assenza di ogni possibilità di regolarizzazione,
dagli innumerevoli modi in cui si elude il riconoscimento dello stato di
rifugiato alle norme che entrano in modo discriminatorio nelle scelte di vita
affettiva concedendo ai migranti “affetti di serie b”, sino ai mesi di
detenzione previsti per chi non ha o ha perso il permesso di soggiorno e
all’ultima proposta del “permesso di soggiorno a punti”)?

Aderiamo a questa
giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la vita di tutti e di
tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici,
disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa e in altri
paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, anziché come
studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare i/le migranti
come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, assunti/e con bassi
salari e senza garanzie.

La scandalosa difficoltà
nell’accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una
politica delle “quote” anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo
esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei
confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci impegniamo
a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università ai/alle
migranti. Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo
istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile
costruire spazi di convivenza futuri.

 

Docenti precari/e e docenti non precari/e delle Università italiane

 

firmatari:

 

Fabio Amaya (Università
di Bergamo)

 

Anna Curcio (Università
di Messina)

 

Umberto Galimberti
(Università di Venezia)

 

Maria Grazia Meriggi
(Università di Bergamo)

 

Sandro Mezzadra
(Università di Bologna)

 

Renata Pepicelli (Università di Bologna)

 

Luca Queirolo Palmas (Università di Genova)

 

Antonello Petrillo (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)

 

Federico Rahola
(Università di Genova)

 

Fabio Raimondi
(Università di Salerno)

 

Maurizio Ricciardi
(Università di Bologna)

 

Anna Maria Rivera
(Università di Bari)

 

Gigi Roggero (Università
di Bologna)

 

Pier Aldo Rovatti
(Università di Trieste)

 

Devi Sacchetto
(Università di Padova)

 

Anna Simone (Università
Suor Orsola Benincasa, Napoli)

 

Federica Sossi
(Università di Bergamo)

 

Alessandro Triulzi
(Università di Napoli L’Orientale)

 

Tiziana Terranova
(Università di Napoli L’Orientale)

 

Fulvio Vassallo Paleologo
(Università di Palermo)

 

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Ricordando e costruendo il futuro

27 Gennaio Giornata della Memoria

 

Per costruire un futuro di diritti rispettati


Attraversiamo quotidianamente la nostra
città e ci rendiamo conto di quanto questa sia ricca di segni e simboli, più o
meno nascosti, che parlano della sua storia e delle sue trasformazioni.

Il cambiamento, del resto, è elemento
centrale di una società viva.

La costruzione di un percorso storico, la continua revisione degli elementi e la loro
discussione in ambiti collettivi sono uno degli antidoti alle possibili
manipolazioni; la memoria diviene elemento costitutivo del ragionare il
presente e immaginare il futuro in una continua dialettica.

Il 27 gennaio è il giorno della memoria
della Shoah e può essere giorno di riflessione.

A molti, individui o popoli, può accadere di
ritenere che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione
è solo latente e non è sistema di pensiero. Ma quando il pensiero inespresso
diventa premessa di un sillogismo, allora, al termine della catena, c´è il
Lager. Questo è successo in Italia nel 1938 con le leggi razziali, questo è
successo con i campi di sterminio nazisti ma questo può succedere se il
sillogismo viene riproposto oggi. "Tutti gli stranieri sono nemici. I
nemici vanno soppressi. Tutti gli stranieri vanno soppressi."

Noi Madri per Roma Città Aperta riteniamo
che proprio nel ricordare la storia dei campi di sterminio avvertiamo un
sinistro segnale di pericolo.

Risentiamo oggi quel sinistro segnale in ciò
che ha provocato atti di violenza contro rom, sinti e cittadini italiani di origine
straniera.

Lo risentiamo nel clima d´intolleranza verso
gruppi etnici o sociali non dominanti e vulnerabili e nella criminalizzazione
dell´immigrazione irregolare.

Lo risentiamo nei dispositivi che incidono
lo stigma sociale anche sui corpi degli "altri": schedature e
impronte digitali "etniche" in fondo sono l´equivalente funzionale
della stella gialla.

Lo risentiamo nella creazione dei Centri di
Identificazione e di Espulsione, dove la marchiatura simbolica vale a
differenziare e separare i corpi proliferanti e minacciosi da quelli
"normali".

Con Primo Levi ricordiamo quanto è già
successo: 

considerate se questo è un uomo

che lavora nel fango

che non conosce pace

che lotta per mezzo pane

che muore per un sì o per un no

Vogliamo ricordare in questa giornata gli
uomini discriminati, rinchiusi e sterminati ieri e gli uomini discriminati,
offesi e privati di ogni diritto oggi.

Comitato
Madri per Roma Città Aperta

27 Gennaio 2010 ore 15 Ponte dell’Industria –Via di porto Fluviale (
zona ostiense)

 

madrixromacittaperta@libero.it     madrixromacittaperta.noblogs.org


IERI

Le
donne del Ponte di Ferro

Il
7 aprile 1944 decine di persone si ritrovarono di fronte al
mulino Tesei per chiedere pane e farina; si diceva che quel mulino producesse
pane destinato ai militari tedeschi. Le donne dei quartieri limitrofi
(Ostiense, Portuense e Garbatella) avevano scoperto che il forno panificava
pane bianco e che probabilmente aveva grossi depositi di farina. La folla
cominciò a reclamare il pane, i cancelli del forno furono sfondati e le donne
riuscirono ad entrare. Il direttore del forno, forse d’accordo con quelle
disperate, lasciò che entrassero e che si rifornissero di pane e farina, ma
qualcuno avvertì la polizia tedesca che arrivò quando le donne erano ancora sul
posto. A quel punto i militi fascisti presenti chiesero l’intervento delle SS
tedesche, che bloccarono la strada, molte donne riuscirono a scappare, ma dieci
di loro furono prese, afferrate di forza, portate sul ponte e lì fucilate in
fila, contro la ringhiera. A monito della popolazione i tedeschi ne lasciano i
cadaveri sulla spalletta del ponte fino alla mattina dopo quando alcuni
lattonieri e sfasciacarrozze della zona vengono costretti a caricare le povere
salme su di un camion. Da allora non si è mai saputo dove siano state portate e
sepolte.

Le
dieci vittime innocenti della furia nazi-fascista furono: Clorinda Falsetti,
Italia Ferracci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino,
Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi, Arialda Pistolesi,
Silvia Loggreolo.

Da http://baruda.net/2009/04/07/gli-assalti-ai-forni-e-le-donne-di-ponte-di-ferro-7-aprile-1944/

 

 

OGGI

 

giovedì 7 maggio 2009

Vivre libre
ou mourir. Per Nabruka, suicida in un Cie (e a perpetua memoria di una
legislazione infame)

 

Stanotte, una donna migrante si è
uccisa, impiccandosi, nel Cie di Porta Galeria a Roma. Si chiamava Nabruka
Mamouni, aveva poco più di quarant’anni ed era in Italia da quasi trenta.
Momentaneamente senza lavoro, non le era stato rinnovato il permesso di soggiorno.
Questo significa essere "clandestina", anche dopo tre quarti della
tua vita passati in un paese dove vige una legge infame. Fermata, portata nel
centro di identificazione ed espulsione, lì detenuta per alcune settimane,
sarebbe stata rimpatriata oggi. Ora non possono più farlo. Mi rifiuto di
leggere la sua morte come un atto di disperazione, la disperazione deve essere
tutta nostra che non siamo riusciti ad impedirlo. Quello di Nabruka è un gesto
politico . Un gesto politico che urla. E dobbiamo urlare anche noi (insieme a
tutt* le/i migranti in sciopero della fame e in rivolta nei centri di
identificazione ed espulsione), noi con i documenti in tasca e tutti i
sacrosanti diritti di "cittadina/o". Ma fuori, fuori di qui.

 

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Manifestazione a Livorno contro le morti di stato

Livorno :manifestazione BASTA MORTI DI STATO!



Sabato 16 gennaio 2010 Ore 10.00 Piazza della Repubblica – Livorno

 
Hanno confermato la presenza:

MARIA CIUFFI per MARCELLO LONZI

HAIDI GIULIANI per CARLO GIULIANI

PATRIZIA ALDROVANDI per FEDERICO ALDROVANDI

ORNELLA GEMINI per NIKI APRILE GATTI

BIANZINO per ALDO BIANZINO

RITA CUCCHI per STEFANO CUCCHI

MARIA IANNUCCI per IAIO ***********************************
MARIA ELIANTONIO per MANUEL ELIANTONIO
FAMIGLIA FRAPPORTI per STEFANO FRAPPORTI
FAMIGLIA RASMAN per RICCARDO RASMAN
FAMIGLIA SANDRI per GABRIELE SANDRI
FAMIGLIA COMUZZI per GIULIO COMUZZI
FAMIGLIA GRIGION per DAVIDE GRIGION
Conferma la partecipazione anche Stefania Zuccari, con il Comitato Madri Per Roma Città Aperta (ricorderemo anche il nostro Renato Biagetti)


INFORMIAMO ED INVITIAMO I FAMILIARI DELLE ALTRE VITTIME di STATO A
PARTECIPARE ADERENDO


Ricordatevi quando avete a che fare con un detenuto, che molte volte
avete davanti una persona migliore di quanto non lo siete voi." (Sandro
Pertini)

Sabato 16 Gennaio si terrà questa grande Manifestazione per dire Basta alle Morti di Stato, andrò a Livorno e verrà con me il Comitato Verità e Giustizia per Niki Aprile Gatti.

Vogliamo Urlare questo "Basta"
, basta alla disperazione di tante famiglie (non immaginate cosa siano
stati questi giorni…e cosa ci sia voluto per superarli), chi sbaglia
è giusto che paghi, ma si paga con la privazione della Libertà nel
pieno rispetto dei diritti umani delle persone e NON CON LA VITA!!

Diremo "BASTA" alle condizioni disumane dei detenuti (in tre nelle celle studiate per accogliere una sola persona) , diremo "BASTA" alle "morti da accertare", diremo "BASTA" ai silenzi delle Istituzioni, diremo "BASTA" alle Archiviazioni, diremo "BASTA" a tutto il Sistema che autorizza le masse a pensare che nelle carceri chi c’è, è perchè lo merita….

Non
è così credetemi ….e non parlo solo per esperienza diretta, Niki era
un brillante informatico, un ragazzo che aveva una intelligenza fuori
dal comune (riconosciuta da tutti), Niki era un ragazzo di una
educazione unica, un ragazzo..che avreste dovuto veramente conoscere,
per dare ragione alle parole di Sandro Pertini!!!

Niki era in "custodia cautelare" per una ipotesi di reato economico " da accertare", quale Stato lo ha custodito??? Ricordiamo sempre che la morte di Niki …. passa "attraverso" il carcere, una Istituzione del nostro Stato.

Parlo
solo di Niki perchè non conosco gli altri ragazzi se non per le loro
storie, che ho raccontato anche in questo blog e che, andando a
Livorno, approfondirò.

Alcuni
di loro probabilmente avevano solo bisogno di strutture alternative al
carcere, quelle che hanno quasi completamente eliminato, anzi
…….ora costruiranno TANTE NUOVE CARCERI (pensate…..anche
galleggianti….)!!!

Insomma " BASTA " Morire di Stato!!!!

NIKI APRILE GATTI, LA MANIFESTAZIONE 16 GENNAIO A LIVORNO E ….ADESSO BASTA !!!!!!

 

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Manifesto per una rete contro le morti di stato


MORIRE DI STATO

 UN’ EMERGENZA DI DEMOCRAZIA 


Accade nel nostro Paese che  lo Stato possa  sottrarre un figlio e  restituirlo morto: negando ogni possibilità
di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute
e le condizioni del proprio figlio, anche di chi  si trova in carcere.

Accade nel nostro Paese che lo Stato 
“sequestri” le persone , attraverso 
i fermi, sospendendo ogni diritto umano e costituzionale di
comunicazione con i legali e le famiglie.

Accade nel nostro Paese che nelle carceri italiane siano morti più di 1.500
detenuti:150 morti l’anno in 10 anni, un morto ogni due giorni di cui più di un
1/3 per suicidio.

Accade nel nostro Paese che nelle carceri, un numero elevato di persone muoiano
prima di essere giudicate.

Accade nel nostro Paese che nelle carceri i giovani tra i 18 e i 24 anni si
suicidino: 50 volte di più che tra i non reclusi.

Accade nel nostro Paese che le detenzioni e le misure alternative siano
cresciute in modo esponenziale: nel 1990 
i reclusi erano 30.000 e  3.000 le
misure alternativa, dopo 20  anni  i reclusi sono 60.000 e 35.000 le misure
alternative.

Accade nel nostro Paese  che si facciano
gli indulti e si creino leggi che riempiono le carceri di reati minori. Dopo
l’indulto del 2007, quindi in soli 2 anni, il numero dei reclusi è ritornato a
quello ante 2007.

Accade nel nostro Paese che cadano in prescrizione reati gravissimi e che la
recidività per reati minori si accresca in modo esponenziale la pena.

Accade nel nostro paese che l’immigrazione, le mobilitazioni sociali , la
diversità e i comportamenti non conformi a regole, non condivise, stiano
riempiendo le carceri.

Accade nel nostro Paese che la società una volta
discuteva di recupero e di riabilitazione nelle carceri e di misure alternative
e che oggi chieda, in nome della sicurezza il carcere:


Noi tutte, donne e madri in tutto questo vediamo  un 
gravissimo segnale di deriva della nostra democrazia, una pericolosa
sottrazione delle libertà e dei diritti umani. Lanciamo un appello che vuole
dar voce ad ogni madre che, per diritto, voglia rivendicare la dignità e i
diritti violati dei propri figli.

Come le madri che in ogni parte del mondo hanno chiesto e continuano a
chiedere giustizia e verità per i loro figli, ci rivolgiamo alle donne e agli
uomini che ancora credono nel valore del diritto e della giustizia e li
sollecitiamo affinchè uniscano le loro voci alle nostre per richiamare
l´opinione pubblica di fronte alle proprie responsabilità


CHE FARE

 

 

 

Chiedere giustizia e verità per le morti e i suicidi

Chiedere che vengano sottoposti ad indagini gli istituti di pena dove
avvengono i fatti

Chiedere trasparenza e un osservatorio sulle misure cautelari.

Sensibilizzare l’opinione pubblica  sul tema dei fermi e delle convalide di arresto
e dell’abuso delle misure cautelari in occasione di  mobilitazioni sociali e di dissenso.

Individuare leggi o parti di leggi che aumentano a dismisura il numero
delle persone nelle carceri: leggi (droga, Cirielli, immigrazione).

Richiedere l’abrogazione delle leggi sul consumo di droga e detenzioni
per i clandestini

Ricostruire la cultura del rispetto dei diritti umani e costituzionali
nel nostro Paese

Fare controinformazione  su ogni
abuso perpetuato dalle istituzioni nei confronti dei cittadini


 

CON CHI

 

 


 

 

Detenuti e i loro famigliari

Associazioni, movimenti, comitati sui temi dei diritti umani,
costituzionali, internazionali, comitati sulla verità e giustizi

Avvocati e magistrati

Assistenti sociali e operatori nelle carcere

Garanti dei detenuti nelle regioni

Cittadini


 

ADESIONI

Inviare le adesioni all’indirizzo di posta elettronica: madrixromacittaperta@libero.it

 

Comitato Madri per Roma Città Aperta

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Manifesto per una rete contro le morti di stato

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MORIRE DI STATO

 

UN’ EMERGENZA DI DEMOCRAZIA 


 

Accade nel nostro Paese che  lo Stato possa  sottrarre un figlio e  restituirlo morto: negando ogni possibilità
di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute
e le condizioni del proprio figlio, anche di chi  si trova in carcere.

 

Accade nel nostro Paese che lo Stato 
“sequestri” le persone , attraverso 
i fermi, sospendendo ogni diritto umano e costituzionale di
comunicazione con i legali e le famiglie.

 

Accade nel nostro Paese che nelle carceri italiane siano morti più di 1.500
detenuti:150 morti l’anno in 10 anni, un morto ogni due giorni di cui più di un
1/3 per suicidio.

 

Accade nel nostro Paese che nelle carceri, un numero elevato di persone muoiano
prima di essere giudicate.

 

Accade nel nostro Paese che nelle carceri i giovani tra i 18 e i 24 anni si
suicidino: 50 volte di più che tra i non reclusi.

 

Accade nel nostro Paese che le detenzioni e le misure alternative siano
cresciute in modo esponenziale: nel 1990 
i reclusi erano 30.000 e  3.000 le
misure alternativa, dopo 20  anni  i reclusi sono 60.000 e 35.000 le misure
alternative.

 

Accade nel nostro Paese  che si facciano
gli indulti e si creino leggi che riempiono le carceri di reati minori. Dopo
l’indulto del 2007, quindi in soli 2 anni, il numero dei reclusi è ritornato a
quello ante 2007.

 

Accade nel nostro Paese che cadano in prescrizione reati gravissimi e che la
recidività per reati minori si accresca in modo esponenziale la pena.

 

Accade nel nostro paese che l’immigrazione, le mobilitazioni sociali , la
diversità e i comportamenti non conformi a regole, non condivise, stiano
riempiendo le carceri.

 

Accade nel nostro Paese che la società una volta
discuteva di recupero e di riabilitazione nelle carceri e di misure alternative
e che oggi chieda, in nome della sicurezza il carcere:

 


Noi tutte, donne e madri in tutto questo vediamo  un 
gravissimo segnale di deriva della nostra democrazia, una pericolosa
sottrazione delle libertà e dei diritti umani. Lanciamo un appello che vuole
dar voce ad ogni madre che, per diritto, voglia rivendicare la dignità e i
diritti violati dei propri figli.

Come le madri che in ogni parte del mondo hanno chiesto e continuano a
chiedere giustizia e verità per i loro figli, ci rivolgiamo alle donne e agli
uomini che ancora credono nel valore del diritto e della giustizia e li
sollecitiamo affinchè uniscano le loro voci alle nostre per richiamare
l´opinione pubblica di fronte alle proprie responsabilità.

 

 


CHE FARE

 

 

 

 

Chiedere giustizia e verità per le morti e i suicidi

 

Chiedere che vengano sottoposti ad indagini gli istituti di pena dove
avvengono i fatti

 

Chiedere trasparenza e un osservatorio sulle misure cautelari.

 

Sensibilizzare l’opinione pubblica  sul tema dei fermi e delle convalide di arresto
e dell’abuso delle misure cautelari in occasione di  mobilitazioni sociali e di dissenso.

 

Individuare leggi o parti di leggi che aumentano a dismisura il numero
delle persone nelle carceri: leggi (droga, Cirielli, immigrazione).

 

Richiedere l’abrogazione delle leggi sul consumo di droga e detenzioni
per i clandestini

 

Ricostruire la cultura del rispetto dei diritti umani e costituzionali
nel nostro Paese

 

Fare controinformazione  su ogni
abuso perpetuato dalle istituzioni nei confronti dei cittadini

 


 

CON CHI

 

 


 

 

Detenuti e i loro famigliari

 

Associazioni, movimenti, comitati sui temi dei diritti umani,
costituzionali, internazionali, comitati sulla verità e giustizia

 

 

Avvocati e magistrati

 

Assistenti sociali e operatori nelle carcere

 

Garanti dei detenuti nelle regioni

 

Cittadini

 


 

ADESIONI

Inviare le adesioni all’indirizzo di posta elettronica: madrixromacittaperta@libero.it

 

Comitato Madri per Roma Città Aperta

Pubblicato in Le iniziative delle Madri per Roma Città Aperta | Commenti disabilitati su Manifesto per una rete contro le morti di stato

NON SIETE “STATO” VOI? In ricordo di Felicia Bartolotta Impastato

NON SIETE "STATO" VOI?

Madri rese "orfane" dalla repressione di Stato e dalla violenza fascista.
In ricordo di Felicia Bartolotta Impastato,
nel quinto anniversario della sua scomparsa.

Cinisi, 7 Dicembre 2009 – Salone Comunale, Piazza V. Emanuele Orlando

ore 17.30,
Incontro con
Haidi Gaggio, madre di Carlo Giuliani;
Stefania Zuccari, madre di Renato Biagetti;

e da Buenos Aires
Nora Cortinias, Madres de plaza de Mayo, linea fundadora.

Spettacolo
teatrale Un segno del tempo chiamato memoria, di e con Maria Teresa De
Sanctis e con Letizia Porcaro, Maria Stella Lo Bianco, Mara Montante.

ore 21.00,
"Collettivo Musicale Peppino Impastato", live "Amicu di la storia mia".

Associazione Peppino Impastato – Casa Memoria
Corso Umberto I, 220, Tel 0918666233 – 3341689181
Email: casamemoriaimpastato@gmail.com
_____________________________________________

"Noi
che davanti al corpo offeso dei nostri figli abbiamo detto "mai più",
ogni volta e di nuovo, inutilmente". Così scrive Haidi Giuliani nel suo
appello rivolto alle madri rese "orfane" dallo Stato e dalla violenza
fascista ed è a loro che abbiamo deciso di dedicare la giornata del 7
dicembre 2009, quinto anniversario della scomparsa di Felicia
Bartolotta Impastato, madre di Peppino. Negli ultimi anni abbiamo
assistito a numerosi casi di giovani caduti vittime della repressione e
dell´abuso di potere delle forze dell´ordine, a volte a veri e propri
assassini di Stato, accaduti nelle piazze o nelle carceri, come
dimostrano le morti di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Aldo
Bianzino, ecc., e le più recenti di Stefano Cucchi e di tutti gli altri
146 nell´ultimo anno che non hanno avuto spazio nella diffusione
mediatica. Assassinii il più delle volte impuniti, coperti da
depistaggi, senza giustizia, archiviati o puniti con pene irrisorie. A
loro si aggiungono gli omicidi per mano fascista, anche questi spesso
lasciati senza giustizia a causa di coperture politiche.
Non manca
mai il tentativo di insabbiare, di infangare le vittime e di salvare i
colpevoli, casomai promuovendoli. Non manca mai il dolore di una madre,
che a volte si tramuta in coraggio, forza d´animo, voglia di portare
alla luce alla verità. Felicia ha vissuto tutto questo, lei che dopo la
morte del figlio caduto vittima di un omicidio politico-mafioso il 9
maggio del 1978, ha affrontato a testa alta chi voleva trasformarlo in
un terrorista esploso con la sua bomba, contrastando il loro piano
diffamatorio con il semplice racconto della verità e la richiesta di
giustizia con la costituzione di parte civile. In lei si riconoscono
Haidi Giuliani (madre di Carlo ucciso a Genova il 20 luglio del 2001) e
Stefania Zuccari (madre di Renato Biagetti ucciso a Focene il 27 agosto
del 2006) che il 7 dicembre a Cinisi riporteranno la loro esperienza in
un dibattito che si svolgerà alle 17.30 presso il Salone Comunale sito
in Piazza Vittorio Emanuele Orlando. Il filo delle parole partirà da
Cinisi e le ricollegherà con una realtà d´oltreoceano, l´Argentina
degli anni ´70, della dittatura militare, dei migliaia di giovani
"desaparecidos" e delle loro madri in lotta per la verità, le "Madres
de Plaza de Mayo". All´altro capo ci sarà Nora Cortinias, appartenente
alla linea fundadora, che ci racconterà della loro determinazione e
della loro innovativa forma di protesta divenuta poi un esempio globale.
Il
"fare memoria" si trasformerà poi in atto teatrale, con la messa in
scena de "Un segno del tempo chiamato memoria" di e con Maria Teresa De
Sanctis e con Letizia Porcaro, Maria Stella Lo Bianco, Mara Montante;
e, infine, in musica con l´esibizione del Collettivo Musicale Peppino
Impastato nel live "Amicu de la storia mia".

Associazione Peppino Impastato – Casa Memoria

 

 

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