Lettera dei/delle docenti universitari/e contro il razzismo a sostegno del primo marzo, “una giornata senza di noi”

Noi docenti precari/e e docenti non
precari/e delle università italiane abbiamo deciso di aderire alla giornata del
primo marzo, “una giornata senza di noi”, presentando ai nostri studenti e alle
nostre studentesse, dove possibile anche durante le ore di attività didattica
nei giorni che precedono il primo marzo, dapprima la lettera dei lavoratori
africani di Rosarno, riunitisi in assemblea a Roma alla fine di gennaio, e poi
il testo che leggeremo alla fine della loro lettera e invitandoli/e a
partecipare alle iniziative della giornata:

 I mandarini e le olive non
cadono dal cielo

In data 31 gennaio 2010 ci siamo riuniti per costituire l´Assemblea
dei lavoratori Africani di Rosarno a Roma.

Siamo i lavoratori che sono stati obbligati a lasciare
Rosarno dopo aver rivendicato i nostri diritti. Lavoravamo in condizioni
disumane. Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né elettricità. Il nostro
lavoro era sottopagato. Lasciavamo i luoghi dove dormivamo ogni mattina alle
6.00 per rientrarci solo la sera alle 20.00 per 25 euro che non finivano
nemmeno tutti nelle nostre tasche. A volte non riuscivamo nemmeno, dopo una
giornata di duro lavoro, a farci pagare. Ritornavamo con le mani vuote e il
corpo piegato dalla fatica. Eravamo, da molti anni, oggetto di discriminazione,
sfruttamento e minacce di tutti i generi. Eravamo sfruttati di giorno e
cacciati, di notte, dai figli dei nostri sfruttatori. Eravamo bastonati,
minacciati, braccati come le bestie…prelevati, qualcuno è sparito per sempre.


Ci hanno sparato addosso, per gioco o per l´interesse di qualcuno.
Abbiamo continuato a lavorare. Con il tempo eravamo divenuti facili bersagli.
Non ne potevamo più. Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti
nella loro dignità umana, nel loro orgoglio di esseri umani.

Non potevamo più attendere un aiuto che non sarebbe mai arrivato perché
siamo invisibili, non esistiamo per le autorità di questo paese. Ci siamo fatti
vedere, siamo scesi per strada per gridare la nostra esistenza.

La gente non voleva vederci. Come può manifestare qualcuno
che non esiste? Le autorità e le forze dell’ordine sono arrivate e ci hanno
deportati dalla città perché non eravamo più al sicuro. Gli abitanti di Rosarno
si sono messi a darci la caccia, a linciarci, questa volta organizzati in vere
e proprie squadre di caccia all´uomo.


Siamo stati rinchiusi nei centri di detenzione per immigrati. Molti di
noi ci sono ancora, altri sono tornati in Africa, altri sono sparpagliati nelle
città del Sud. Noi siamo a Roma. Oggi ci ritroviamo senza lavoro, senza un
posto dove dormire, senza i nostri bagagli e con i salari ancora non pagati
nelle mani dei nostri sfruttatori. Noi diciamo di essere degli attori della
vita economica di questo paese, le cui autorità non vogliono né vederci né
ascoltarci. I mandarini, le olive, le arance non cadono dal cielo. Sono delle
mani che li raccolgono.

Eravamo riusciti a trovare un lavoro che abbiamo perduto
semplicemente perché abbiamo domandato di essere trattati come esseri umani.
Non siamo venuti in Italia per fare i turisti. Il nostro lavoro e il nostro
sudore serve all´Italia come serve alle nostre famiglie che hanno riposto in
noi molte speranze. Domandiamo alle autorità di questo paese di incontrarci e
di ascoltare le nostre richieste:

 
- domandiamo che il
permesso di soggiorno concesso per motive umanitari agli 11 africani feriti a
Rosarno, sia accordato anche a tutti noi, vittime dello sfruttamento e della
nostra condizione irregolare che ci ha lasciato senza lavoro, abbandonati e
dimenticati per strada. Vogliamo che il governo di questo paese si assuma le
sue responsabilità e ci garantisca la possibilità di lavorare con dignità.

L´Assemblea dei Lavoratori Africani di Rosarno a Roma”

 

Dapprima in Francia, poi in Italia, in
Spagna, in Grecia e in altri paesi europei, la giornata del primo marzo è stata
proclamata “una giornata senza di noi” con l’intento da parte dei/delle
migranti che vivono in questi paesi di far percepire, per un giorno, l’importanza
della loro presenza economica e sociale
sia attraverso lo sciopero sia attraverso altre forme di protesta come
l’astensione dai consumi
. Ispirata alla giornata del primo
maggio del 2006, quando in varie città degli Stati Uniti i/le migranti privi/e
di documenti di soggiorno erano riusciti/e a bloccare la vita economica e
sociale di quelle città attraverso una massiccia astensione dal lavoro e
fluviali manifestazioni in cui ricordavano a tutti che “We are America”, questa
giornata ci sembra di particolare importanza
anche per iniziare una necessaria riflessione sulle forme della nostra
esistenza comune di cittadini/e e non cittadini/e, migranti e non.

Per questo, abbiamo deciso di assumere
come parte del nostro testo quello sottoscritto da alcuni lavoratori africani
di Rosarno. Riteniamo, infatti, che quanto accaduto a Rosarno nei primi giorni
di gennaio – le intimidazioni e le violenze sui migranti, la rivolta dei
lavoratori africani, la “caccia al nero” dei giorni successivi, il
coinvolgimento di alcune parti della mafia nella “gestione dell’ordine
pubblico”, il trasferimento d’urgenza di tutti i lavoratori africani, la loro
detenzione nei centri di identificazione ed espulsione e la minaccia di
espulsione per quelli privi di permesso di soggiorno – sia il precipitato,
soltanto più visibile, delle scelte politiche con cui negli ultimi anni i
governi che si sono succeduti hanno affrontato e voluto gestire il fenomeno
globale delle migrazioni. Il risultato, innanzitutto, di una volontà di
generale clandestinizzazione della presenza dei/lle migranti e dei lavoratori e
delle lavoratrici migranti che ha permesso, non solo a Rosarno, ma nel Sud come
nel Nord del paese, tra i campi di agrumi e le serre così come nelle fabbriche
e le piccole imprese, o nelle famiglie, forme di assoluto sfruttamento della
forza lavoro possibili grazie a un’illegalità diffusa del mercato del lavoro
generata proprio dalle leggi che normano l’immigrazione. Ricordiamo di seguito
alcuni dei provvedimenti e dei fatti che stanno alla base di quanto accaduto a
Rosarno così come di quanto accade quotidianamente nel resto d’Italia: l’istituzione dei centri di detenzione nel lontano
1998, con cui si apriva il capitolo del doppio binario giuridico, uno per i
cittadini, un altro per i non cittadini, passibili di pene detentive in assenza
di reato; il nesso inscindibile tra contratto di lavoro e permesso di
soggiorno, con la legge del 2001, che spianava la strada a ogni forma di
ricattabilità da parte dei datori di lavoro sulla forza lavoro migrante,
compresa la ricattabilità sessuale delle lavoratrici migranti impiegate nel
lavoro domestico; gli innumerevoli provvedimenti delle recenti norme previste
dai pacchetti sicurezza ispirati tutti a un orizzonte di discriminazione e
razzismo (l’aggravante di clandestinità, il reato di clandestinità, il
prolungamento a sei mesi della detenzione amministrativa, l’interdipendenza tra
permesso di soggiorno e atti dello stato civile, tra cui il riconoscimento dei
figli e il matrimonio, l’istituzione di corpi speciali privati per il
mantenimento dell’ordine pubblico); i respingimenti verso la Libia iniziati nel maggio
del 2009 volti a risolvere il problema degli arrivi sulle coste italiane con la
deportazione verso i campi di concentramento della Libia finanziati dallo stato
italiano di donne, uomini e bambini, spesso potenziali rifugiati provenienti
dai luoghi di guerra delle ex-colonie italiane. La criminalizzazione dei
migranti privi di permesso di soggiorno produce effetti a cascata su tutti/e
i/le migranti che vivono in Italia, rendendo precaria la condizione degli/delle
stessi/e migranti “regolari”, esponendoli/e a continue discriminazioni e alla
possibilità sempre presente di ricadere nell’“irregolarità”. “Come può manifestare qualcuno che non esiste?” si
chiedono i lavoratori africani nella lettera che vi abbiamo letto, descrivendo
prima di questa domanda l’esistenza quotidiana “di chi non esiste”, dalla
giornata lavorativa alle notti prive di acqua e elettricità e costellate di
episodi di violenza e intimidazioni. “Come può esistere chi non esiste” è,
infatti, secondo noi, la domanda di fondo diventata sempre più impellente in
Italia e generata da una forma pervasiva di razzismo istituzionale che permette
e legittima forme di razzismo, intolleranza, xenofobia sociali che stanno ormai
erodendo la vivibilità comune delle nostre città. O, meglio, come possono
esistere tutti e tutte coloro che, pur essendo “attori della vita economica di questo paese”, con differenti
dispositivi sono continuamente sospinti verso una presenza marginale e una vita
non vivibile costellata di mille ostacoli (dai tempi biblici del rinnovo del
permesso di soggiorno all’assenza di ogni possibilità di regolarizzazione,
dagli innumerevoli modi in cui si elude il riconoscimento dello stato di
rifugiato alle norme che entrano in modo discriminatorio nelle scelte di vita
affettiva concedendo ai migranti “affetti di serie b”, sino ai mesi di
detenzione previsti per chi non ha o ha perso il permesso di soggiorno e
all’ultima proposta del “permesso di soggiorno a punti”)?

Aderiamo a questa
giornata perché riteniamo che questa domanda coinvolga la vita di tutti e di
tutte, migranti e non, studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici,
disoccupati e disoccupate, in Italia così come nel resto d’Europa e in altri
paesi del mondo. In quanto docenti, sappiamo che nelle università, anziché come
studenti e studentesse nelle nostre aule è più facile incontrare i/le migranti
come lavoratori e lavoratrici delle cooperative di servizi, assunti/e con bassi
salari e senza garanzie.

La scandalosa difficoltà
nell’accesso a un permesso di soggiorno per studi universitari, attraverso una
politica delle “quote” anche nel campo del sapere che rende quest’ultimo
esclusivo privilegio dei cittadini, è parte integrante della chiusura nei
confronti dei/delle migranti che caratterizza il nostro paese. Per questo ci impegniamo
a lottare anche per garantire la piena accessibilità dell’Università ai/alle
migranti. Siamo più in generale convinti che soltanto cancellando il razzismo
istituzionale e sociale come pratica quotidiana di sfruttamento sarà possibile
costruire spazi di convivenza futuri.

 

Docenti precari/e e docenti non precari/e delle Università italiane

 

firmatari:

 

Fabio Amaya (Università
di Bergamo)

 

Anna Curcio (Università
di Messina)

 

Umberto Galimberti
(Università di Venezia)

 

Maria Grazia Meriggi
(Università di Bergamo)

 

Sandro Mezzadra
(Università di Bologna)

 

Renata Pepicelli (Università di Bologna)

 

Luca Queirolo Palmas (Università di Genova)

 

Antonello Petrillo (Università Suor Orsola Benincasa, Napoli)

 

Federico Rahola
(Università di Genova)

 

Fabio Raimondi
(Università di Salerno)

 

Maurizio Ricciardi
(Università di Bologna)

 

Anna Maria Rivera
(Università di Bari)

 

Gigi Roggero (Università
di Bologna)

 

Pier Aldo Rovatti
(Università di Trieste)

 

Devi Sacchetto
(Università di Padova)

 

Anna Simone (Università
Suor Orsola Benincasa, Napoli)

 

Federica Sossi
(Università di Bergamo)

 

Alessandro Triulzi
(Università di Napoli L’Orientale)

 

Tiziana Terranova
(Università di Napoli L’Orientale)

 

Fulvio Vassallo Paleologo
(Università di Palermo)

 

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