Permesso di soggiorno – Diritti e dignità per tutti – Firenze 12 marzo

In tutta Europa nei primi giorni di marzo si terranno manifestazioni contro ilrazzismo. Anche a Firenze vogliamo scendere in iazza il 12 marzo.
Essere immigrato in Italia, come nel resto di Europa, vuol dire essere per lo Stato un cittadino di serie B. meno diritti e più doveri. Ottenere un permesso di soggiorno è difficile, ed è molto facile perderlo ( ad esempio, quando si perde il lavoro). Quando arriva è quasi sempre in ritardo.I padroni lo sanno e ne approfittano, utilizzando i migranti come schiavi con paghe basse, ritmi di lavoro alti e nessun tipo di diritto. Ma non solo: utilizzano il lavoro dei migranti per abbassare i diritti e le paghe di tutti. Anche dopo aver lavoratoe pagato le tasse per anni si può facilmente tornare ad essere “clandestini” e senza nessun diritto: è un ricatto cotinuo.
Nemmeno i diritti di chi scappa dalla guerra vengono rispettati. Moltiprofughi restano anni in attesa di documenti e non sono liberi di lasciare l’Italia per raggiungere il paese in cui vogliono vivere. Per non parlare delle continue e vergognose stragi nel Meditterraneo. Associazioni e cooperative hanno trasformato l’accoglienza in un business per arricchirsi sulla pelle dei mgranti.
Abbiamo bisogno di unirci e lottare. Il 12 marzo vogliamo scendere in piazza in anti per idiritti di tutti i mgranti, contro leleggi razziste, come la Bossi-Fini contro la fortezza Europa . La manifestazione partirà da piazza San Lorenzo per andare a protestare davanti agli uffici immigrazione della Questura di Firenze. In vitiamo tutti, i mgranti, ma anche gli studenti , i lavoratori e i disoccupati italiani a scendere in piazza.

firenze

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I compagni di Bertha Càceres sono nel mirino

Honduras, i compagni di Berta Cáceres sono nel mirino
di Marina Forti (*)

berta
È sopravvissuto per miracolo agli assassini di Berta Cáceres, l’attivista per la giustizia ambientale e leader indigena uccisa il 3 marzo in Honduras, ma ora anche lui è in pericolo. Gustavo Castro Soto, direttore dell’organizzazione ambientalista messicana Otros Mundos e coordinatore di Friends of the Earth Mexico, è stato colpito due volte dagli uomini che hanno fatto irruzione in casa dell’attivista e l’hanno freddata, la scorsa settimana. Lui pensa di essersela cavata perché gli aggressori l’hanno creduto morto.
Castro oggi è l’unico testimone dell’uccisione di Berta Cáceres: ma le autorità non sembrano proteggerlo. Né sembrano indagare seriamente sulla morte della leader indigena: dimostrando una «assoluta mancanza di volontà di proteggere i difensori dei diritti umani nel paese», accusa Amnesty International.
Lo stesso Castro ha scritto, in una lettera pubblicata da un giornale honduregno, che la scena del crimine è stata alterata. Racconta che a lui è stata prestata qualche cura medica solo tre giorni dopo il fatto, durante i quali è stato lungamente interrogato e trattenuto sempre con addosso gli abiti ancora insanguinati. Gli è stato chiesto di identificare possibili sospetti: ma nelle foto e nei video che gli hanno mostrato comparivano amici della vittima, i suoi compagni di lotta.

La leader indigena Berta Cáceres
Berta Cáceres era una figura nota ben oltre il suo paese. Cofondatrice del Consiglio dei popoli indigeni dell’Honduras (Copinh) apparteneva al gruppo nativo Lenca, il più numeroso del Paese centroamericano. Da anni era impegnata con la sua gente in una battaglia contro il progetto idroelettrico di Agua Zarca, sul fiume Gualcarque: il più grande progetto idroelettrico in Centroamerica, prevede una cascata di quattro dighe nel bacino fluviale, se attuato costringerà molti a perdere terra, case, sopravvivenza. E ha suscitato grandi resistenze popolari.
La battaglia è stata efficace, perché l’impresa arranca da quando l’azienda cinese Sinohydro e la International Finance Corporation (il braccio della Banca Mondiale che assiste il settore privato) hanno deciso di disinvestire e togliere il proprio appoggio a Desa, l’azienda honduregna titolare del progetto. Gli attivisti honduregni ora chiedono di ritirarsi anche agli altri partner stranieri, tra cui la Banca olandese per lo sviluppo, il Fondo finlandese per la cooperazione industriale e le aziende tedesche Siemens e Voith.
Berta Cáceres era l’anima e la leader di questa battaglia collettiva: tanto che l’anno scorso era stata insignita del Premio Goldman per l’ambiente, riconoscimento attribuito ad attivisti locali che si battono per la sostenibilità e la giustizia ambientale.
Battaglie simili però non sono indolori. Cáceres e i suoi compagni avevano di fronte alcuni potenti proprietari terrieri, vera e propria oligarchia del Paese, e i loro piccoli eserciti di guardie private. In effetti appena una settimana prima dell’assassinio, la leader indigena aveva ricevuto minacce. Per questo la famiglia non crede alla versione della polizia, quella di un tentativo di rapina finito male. «Non ho dubbio che sia stata uccisa per la sua lotta, e che sono responsabili soldati e gente della diga, ne sono certa» ha detto l’anziana madre di Berta Cáceres a Radio Globo.

Il funerale di Berta Cáceres è diventato una manifestazione di massa
Altrettanto esplicita la figlia, Berta Isabel Zúñiga Cáceres, studentessa di 25 anni: a uccidere sua madre sono stati «l’impresa Desa, costruttrice della diga Agua Zarca nella comunità di Rio Blanco, che in numerose occasioni l’hanno minacciata in nodi diretto e non, e hanno pagato sicari perché la uccidessero», ha detto a Desinformemonos, portale di “giornalismo di base” messicano.
Lei era ben consapevole del pericolo e lo aveva detto in una bella intervista al The Guardian, in occasione del Premio Goldman. Del resto, tre anni fa un altro esponente del Copinh è stato ucciso da un soldato durante una pacifica dimostrazione contro la diga, in località Rio Blanco: il militare è stato poi assolto per aver agito in “autodifesa” (contro dimostranti disarmati!). E l’Honduras non è solo; numerosi attivisti per i diritti sociali, leader indigeni, ambientalisti hanno pagato con la vita il proprio impegno, nel continente latinoamericano e oltre, come denuncia un recente rapporto di Global Witness; di solito i responsabili restano impuniti.
Ora c’è anche il paradossale caso di Gustavo Castro. In teoria è protetto come testimone dei fatti; il giudice istruttore però ha emesso un ordine di restare a disposizione per 30 giorni, pena l’arresto, e gli è stato impedito di volare in Messico, a casa. Insomma, l’attivista messicano non può lasciare l’Honduras, e non è chiaro perché: ma non è rassicurante. La tensione è molto forte, nella regione di La Esperanza.
«Gustavo Castro non viene trattato come la vittima di un tentativo di uccisione, al contrario la sua vita viene messa a rischio, e il suo diritto di movimento negato» dicono in un comunicato congiunto Otros Mundos e la rete internazionale Friends of the Earth – Mexico. Le due organizzazioni sostengono che l’ordine di restare in Honduras è «ingiusto e non necessario», perché Castro è stato sentito ampiamente dagli inquirenti, ha chiarito i fatti, e non è stato informato di nessuna ulteriore procedura.
L’attivista messicano ora teme per la sua vita e ne ha motivo. È il testimone scomodo di un assassinio voluto per fermare una battaglia popolare ed è in pericolo.
(*) Testo e foto presi dal bel blog di Marina Forti : http://www.terraterraonline.org/blog/ ovvero «Terra Terra – cronache da un pianeta in bilico». (db)

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Verità e giustizia per Bertha Càceres

Berta Caceres stands at the Gualcarque River in the Rio Blanco region of western Honduras where she, COPINH (the Council of Popular and Indigenous Organizations of Honduras) and the people of Rio Blanco have maintained a two year struggle to halt construction on the Agua Zarca Hydroelectric project, that poses grave threats to local environment, river and indigenous Lenca people from the region.

Berta Caceres stands at the Gualcarque River in the Rio Blanco region of western Honduras where she, COPINH (the Council of Popular and Indigenous Organizations of Honduras) and the people of Rio Blanco have maintained a two year struggle to halt construction on the Agua Zarca Hydroelectric project, that poses grave threats to local environment, river and indigenous Lenca people from the region.

All’ambasciatore in Italia dell’Honduras
All’ambasciatore in Italia del Messico

Il Comitato Madri per Roma città Aperta esprime tutto il suo dolore e la sua rabbia di fronte all’assassinio di Bertha Cáceres.
Bertha era una indigena Lenca, madre e femminista che da anni lottava per difendere i diritti delle popolazioni indigene dell’Honduras contro lo sfruttamento dei loro territori e la costruzione di una diga. Ha accompagnato le lotte del suo popolo come leader del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras(COPINH), un’organizzazione che è riuscita a impedire la costruzione della centrale idroelettrica di Agua Zarca, nella provincia di Intibuca.
Nel 2015 aveva ricevuto il prestigioso Goldman Environmental Prize, da molti considerato il Nobel per l’ambiente. Nel suo discorso di accettazione del premio, Bertha aveva dichiarato: “Viviamo in un Paese nel quale il 30% del territorio è stato consegnato alle multinazionali dell’industria mineraria, dove sono stati lanciati progetti aberranti, in un’ottica neoliberale secondo la quale l’energia non è più un diritto fondamentale per l’umanità“.
Ma vogliamo affermare che Berta Cáceres non era solamente un’ambientalista, com’è stata descritta negli ultimi giorni. Berta era una “luchadora” e la sua lotta era prima di tutto politica ed esistenziale. Era una lotta per la vita o la morte.
In nessun momento ha dubitato nel denunciare e nel segnalare i colpevoli di tanta distruzione. Ha contribuito a rafforzare vari settori impegnati nei processi di lotta nel paese col suo coraggio e la sua determinazione. La sua voce è arrivata ben oltre i confini onduregni, accompagnando e diventando la voce di grandi movimenti di donne in resistenza in tutto il mondo.
Bertha è stata prima criminalizzata e poi indagata. Ha ricevuto numerose minacce di morte, il che l’ha costretta a separarsi dai suoi quattro figli. Ma tutto questo non ha fermato la sua battaglia ne ’le ha tolto il sorriso: “Durante tutta la mia vita sono sempre stata cosciente di quello che mi può succedere stando in questa lotta, però non riusciranno a piegarmi
All’alba del 3 marzo alcuni soggetti sono entrati nella sua abitazione forzando le porte e l’hanno giustiziata mentre dormiva, ferendo altre persone che si trovavano all’interno della casa.
Ancora una volta colpiscono al cuore dei movimenti, attaccando quei compagni e quelle compagne che si sono battuti e si battono con forza e determinazione e che assieme a, Betha hanno sfidato e sfidano i poteri finanziari ed economici del settore idroelettrico.
Ma Bertha non è l’unica vittima appartenente al Copinh. Negli ultimi anni altri 10 suoi membri sono rimasti vittime di omicidi rimasti impuniti come d’altronde, sempre in Honduras, i ben altri 101 omicidi di attivisti ambientali Tutto questo dopo campagne di criminalizzazioni contro chi difende i diritti umani , il bene comune e l’ambiente , concedendo alle multinazionali il privilegio di operare in Honduras , in assoluta impunità , contro ogni bene naturale e ambientale
Oggi i popoli indigeni del Centroamerica e del continente piangono una sorella, una compagna di lotta, di resistenza e di vita. Queste lacrime sono le stesse che annaffieranno sulla terra il seme che è stato piantato. Ammazzando Bertha non fermeranno la forza del popolo Lenca. Non riusciranno a spegnere la fiamma accesa dai custodi ancestrali dei fiumi. Non potranno zittire il grido di 500 anni di dignità ribelle.
Ci sentiamo tra le migliaia di persone che si sono alternati a portare a spalla il feretro per 10 chilometri, lungo le strade di La Esperanza. Mentre i tamburi scandivano ritmi afrohonduregni, la gente ripeteva “la lotta continua e non si fermerà” e “Berta è con noi, oggi e per sempre”.funerali-berta-caceres
” Dobbiamo intraprendere la lotta in tutte le parti del mondo, ovunque siamo, perché non abbiamo un pianeta di ricambio . Abbiamo solo questo e dobbiamo agire”. Questo il testamento spirituale di Berta che noi vogliamo racogliere per lottare ogni giorno per una società più giusta, più solidale, capace di garantire i diritti di tutti e di rispettare la natura.
Il Comitato Madri per Roma Città si unisce alla madre 84enne di Berta che ha collegato l’omicidio all’attivismo della figlia e non ha alcun dubbio ad attribuire la colpa di questa uccisione ai militari e a coloro che della diga ne sono i responsabili.
Il Comitato Madri per Roma Città Aperta chiede insieme alla madre di Berta che l’omicidio di sua figlia non resti impunito e per questo invitiamo la comunità internazionale a far pressione sulle autorità affinché siano trovati i responsabili.

VERITA’ E GIUSTIZIA PER BERTHA CACERES! SOLIDARIETA’ CON IL COPINH!
VIVA LA VIDA , QUE MUERA LA MUERTE!

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28 febbraio 1978: i Nar uccidono Roberto Scialabba

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Il 28 febbraio 1978 è per i neofascisti romani una data significativa: tre anni prima era morto durante gli scontri alla sezione missina del rione Prati Mikis Mantakas, giovane militante del Fuan. L’episodio aveva segnato un vero e proprio punto di svolta per alcuni giovani neofascisti, tra i quali i fratelli Fioravanti, Francesca Mambro a Alessandro Alibrandi, che avevano quindi deciso di impugnare le armi: così erano nati i Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), che si renderanno negli anni responsabili di almeno 33 omicidi e che a tutt’oggi sono ritenuti responsabili della strage di Bologna.
Nei giorni precedenti all’anniversario della morte di Mantakas, Fioravanti e i suoi accoliti discutono molto su quale azione mettere in atto per ricordare il camerata ucciso, fino a quando un neofascista appena uscito dal carcere riporta la notizia che a sparare ad Acca Larentia, il 7 gennaio, sono stati quelli del centro sociale di Via Calpurnio Fiamma.
Detto, fatto: quella sera in otto salgono su tre macchine e si dirigono verso il quartiere Tuscolano. Arrivano davanti all’edificio occupato, ma lo trovano chiuso, perché la mattina stessa è stato sgomberato da un’operazione di polizia.
scialabba2Il gruppetto comincia a perlustrare la zona, entra in un parchetto e vede un gruppo di ragazzi, che dal vestiario sembrano appartenere alla sinistra ezìxtraparlamentare. I neofascisti scendono da una delle macchine, e cominciano subito a sparare.
Le pistole però si inceppano, ma per terra rimane, ferito, Roberto Scialabba, colpito al torace, mentre gli altri ragazzi, alcuni feriti, riescono ad allontanarsi.
L’agguato potrebbe concludersi senza vittime, ma Valerio Fioravanti salta addosso a Roberto e gli spara: uno, due colpi alla testa. È il primo omicidio di Valerio Fioravanti, ma lui stesso si rende conto che i ragazzi di Piazza San Giovanni Bosco non avevano nulla a che fare con Acca Larentia.
Alcune ore dopo, una telefonata all’Ansa rivendica l’omicidio: “La gioventù nazional rivoluzionaria colpisce dove la giustizia borghese non vuole. Abbiamo scoperto noi chi ha ucciso Ciavatta e Bigonzetti. Onore ai camerati caduti.”
Ci vorranno però quattro anni, dopo le dichiarazioni del pentito Cristiano Fioravanti, perché la magistratura riconosca la matrice politica del delitto, che fino allora era stato considerato un “regolamento di conti tra piccoli spacciatori”.
In una scritta, quando il 30 settembre di un anno prima era stato ucciso Walter Rossi, Roberto, pur non conoscendolo direttamente, lo aveva così ricordato: «Una lacrima scivola sul viso, una lacrima che non doveva uscire, il cuore si stringe, si ribella, i suoi tonfi accompagnano slogan che si alzano verso il cielo “non basta il lutto pagherete caro pagherete tutto”».
Così, all’indomani della morte, i compagni di Cinecittà lo ricordavano: «Roberto era un compagno che lottava, come tutti noi, contro un’emarginazione che Stato e polizia gli imponevano. E’ caduto da partigiano sotto il fuoco fascista».scialabba3

da www.infoaut.org

….
Oggi anche noi del Collettivo Studentesco Valdostano scegliamo di ricordare questo giovane
assassinato da mani fasciste ancora impunite. Come ci ricordano le parole della canzone
“ chi ha compagni non morirà mai”:
Seguiamola bene la rotta tracciata,
la polvere rossa che segna la strada
dei giorni di lotta della nostra storia,
non c’è mai futuro se non c’è memoria.

E noi questo ed altri ricordi li teniamo ben stretti, appigli certi per continuare a lottare contro chi ci vorrebbe muti e inermi di fronte ai padroni, pur dissimulati dietro le maschere della modernità, e al loro braccio armato, costituito come sempre dai fascisti.
Pubblicato da Collettivo Studentesco Valdostano http://collettivoaosta.blogspot.it/

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BASTA FASCISMO E RAZZISMO! PER UN 25 APRILE DI LOTTA!

angioinoNAPOLE (1)

COMUNICATO STAMPA. L’assemblea contro il fascismo, il razzismo e l’omofobia, riunita a Napoli, presso la sala dei Baroni del Maschio Angioino il pomeriggio del 27 febbraio 2016, alla presenza di circa 400 persone, dichiara la sua ferma condanna della violenza continuamente esercitata dai neofascisti di Casa Pound e di qualsiasi altra organizzazione che si richiami all’esperienza del fascismo e che propagandi forme di discriminazione e di intolleranza.
L’assemblea chiede verità e giustizia per gli assassinii di Ciro Esposito, di Giulio Regeni, e di tutte le vittime di silenzi, complicità e connivenze che la maggioranza di questo paese non è più disposta ad accettare.
L’assemblea denuncia le coperture politiche e istituzionali di cui godono le organizzazioni fasciste e xenofobe, esige la chiusura di queste organizzazioni e l’espulsione dalle liste elettorali di chiunque sia ad esse collegato.
L’assemblea denuncia le coperture politiche e istituzionali di cui godono le organizzazioni fasciste e xenofobe, esige la chiusura di queste organizzazioni e l’espulsione dalle liste elettorali di chiunque sia ad esse collegato.
L’assemblea si impegna a costruire una forte mobilitazione cittadina in vista del 25 aprile. Una mobilitazione unitaria, che coinvolga chiunque, singolo o collettivo, voglia costruire una Festa della Liberazione scevra da qualsiasi celebrazione retorica e in grado di portare avanti la lotta per la libertà, l’uguaglianza e la giustizia sociale nel nostro Paese.
Il primo marzo i componenti dell’assemblea si ritroveranno in piazza contro la guerra e al fianco dei migranti in lotta per i loro diritti.
L’assemblea lancia una proposta aperta a tutte le realtà associative, antifasciste e antirazziste per incontrarsi il 15 marzo presso l’Asilo Filangieri per discutere e organizzare il percorso di mobilitazione per il 25 aprile.

Ex OPG Occupato – Je so’ pazzo.
Napoli 27 febbraio 2016

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22 Febbraio – Valerio vive – Contro ogni fascismo contro ogni frontiera

1980 – 2016 VALERIO VIVE… LA RIVOLTA CONTINUA!

Contro ogni fascismo, contro ogni frontiera, con Carla nel cuore

carla e valerioSono passati trentasei anni dall’omicidio di Valerio Verbano, studente e militante della sinistra rivoluzionaria assassinato da un commando di neofascisti nella sua abitazione, di fronte agli occhi dei genitori.
Trentasei anni sono tanti, eppure la storia di Valerio è una storia ancora viva, che pulsa nelle strade dei quartieri di Roma – dove è cresciuto e ha fatto politica – e nelle lotte sociali di tutta Italia. Non un nome su una via, ma su tutte le vie, su tutte le strade dove si combatte ogni forma di squadrismo e xenofobia.

In questi anni la figura di Valerio è rimasta presente anche grazie all’impegno di Carla Verbano, una madre coraggiosa e indomita, una compagna insostituibile.
Valerio, né un mito né un santo, ma una storia dove si sono intrecciati i fili dei conflitti di oggi e ieri, dove si rispecchiano diverse generazioni di chi si batte e si è battuto per il cambiamento dell’esistente.
Una storia di parte e partigiana, indisponibile ad essere narrata in qualche improbabile “memoria condivisa” o “pacificazione nazionale”.

Mentre l’Europa di Schengen sembra implodere pur di fermare i flussi migratori, mentre si tornano ad erigere muri e srotolare filo spinato, ricordare Valerio Verbano vuol dire rivendicare la libertà di movimento e combattere la logica della guerra tra poveri. A scendere in piazza saranno i territori solidali e meticci che si battono contro coloro che soffiano sul fuoco additando come nemico il migrante e il rifugiato: dalla destra in doppio petto di Meloni e Salvini alle formazioni neofasciste come Casa Pound o Forza Nuova.

A sfilare sarà la Roma che resiste.
Che resiste agli sgomberi e agli sfratti nella città commissariata. La stessa che produce ricchezza per tutti e tutte, che crea modelli di gestione dei beni comuni contro la svendita del patrimonio pubblico, che dà vita ad esperienze di mutualismo: dalle scuole alle palestre popolari, dalla produzione culturale indipendente alle scuole d’italiano per migranti passando per le migliaia di alloggi occupati per rispondere all’emergenza abitativa che fanno di Roma una città più bella e vivibile.

In prima fila sventoleranno le bandiere della resistenza curda, impegnata in Rojava e in Turchia, a resistere contro il fascismo del presidente Erdogan e il fondamentalismo dell’Isis. Partigiani di oggi che combattono per un mondo migliore a partire dal Medio Oriente e che necessitano di una solidarietà attiva, soprattutto in Europa.

La manifestazione sarà anche l’occasione per dare inizio alla campagna IO NON DIMENTICO che ci porterà, attraverso mesi di iniziative e mobilitazioni, al decennale dell’omicidio di Renato Biagetti, assassinato a coltellate da due neofascisti il 27 agosto del 2006 su una spiaggia di Focene.

Sabato 20 febbraio ore 16.00 corteo da via Monte Bianco 114
Lunedì 22 febbraio dalle ore 16.30 un fiore per Valerio

I compagni e le compagne di Valerio

https://www.facebook.com/events/1071487549578564/

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Contro ogni fascismo 2006 Renato Biagetti 2016 #Ionondimentico

E’ stata redatta la pagina ufficiale su Facebook che costruirà e veicolerà tutte le iniziative e tutti i contenuti verso il decennale di Renato Biagetti.
CHIEDIAMO a tutti e tutte di far girare il più possibile questa pagina e di fare inviti per farla crescere. Con Renato nel cuore ‪#‎ionondimentico‬ !12729014_1218121001536098_5987166829429862521_n

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Casa Pound : per la polizia appassionati del ventennio

Una nota informativa del ministero dell’Interno inviata al tribunale di Roma, dov’è in corso una causa civile tra la figlia di Ezra Pound e il movimento di estrema destra CasaPound ci racconta come la Polizia vede l’organizzazione politica di Casa Pound autodefinitisi “fascisti del terzo millennio” .

“….gruppo, contraddistinto per “lo stile di militanza fattivo e dinamico ma rigoroso nelle rispetto delle gerarchie interne” e che ha l’obiettivo “di sostenere una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio” . “Il sodalizio organizza con regolarità, sull’intero territorio nazionale, iniziative propagandistiche e manifestazioni nel rispetto della normativa vigente e senza dar luogo ad illegalità e turbative dell’ordine pubblico”.

“Dal 2011 a oggi, fra militanti e simpatizzanti di Casapound, sono stati arrestati in 20. In pratica, mediamente ogni tre mesi uno è finito in manette. Come è già accaduto a uno di loro nel 2016. Nello stesso periodo i denunciati sono stati 359: uno ogni cinque giorni. E 23 soltanto nel mese di gennaio appena trascorso. Nei 106 scontri avuti con gli “antagonisti” sono rimasti feriti, in alcuni casi anche gravemente, 24 attivisti di entrambi i fronti (fonte Espresso del 4 febbraio 2016).

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Dieci anni dalla morte di Renato – #Ionondimentico – La memoria è un ingranaggio collettivo

APPELLO del COMITATO MADRI PER ROMA CITTA’ APERTA
LA MEMORIA E’ UN INGRANAGGIO COLLETTIVO

Alle studentesse, agli studenti e insegnanti
Dieci anni fa sulla spiaggia di Focene alla fine di un concerto, veniva accoltellato da lame fasciste Renato Biagetti, 26 anni. I suoi compagni, il fratello, la madre Stefania e il Comitato madri per Roma città aperta da lei voluto, hanno in questi anni portato avanti i suoi sogni, le sue passioni per un paese e un mondo migliore. sorrisorenato
Un paese in cui ancora, nonostante la Resistenza e una Costituzione nata da essa, è necessario lottare contro il fascismo nelle sue forme vecchie e nuove. Un paese in cui ancora e sempre più nonostante la resistenza e la Costituzione il lavoro è un diritto negato soprattutto alle giovani generazioni.
Sono passati 10 anni in cui abbiamo visto crescere in questa città e in questo paese un’ondata di violenza razzista e un populismo crescente che ha fatto breccia nell’anima del paese utilizzando lo strumento della paura dell’altro e dell’insicurezza in Italia e nel resto d’Europa.
Sono passati 10 anni in cui è cresciuta la precarietà come unico orizzonte di vita per le giovani generazioni, le politiche di austerity che strangolano milioni di famiglie, alla negazione dei diritti anche i più fondamentali come quello, all’acqua alla casa, alla residenza, all’istruzione.
Sono già passati 10 lunghi anni senza Renato ma sempre e ancora con Renato. Anni intensi, anni in cui le lotte per quel mondo migliore che voleva Renato non si sono mai fermate e non hanno mai smesso di intrecciarsi con le storie di altri giovani morti per mano dei fascisti e dello stato in Italia e in Europa: Dax, Carlo, Valerio Verbano, Carlos, Clement,
Il Comitato madri per Roma Città Aperta ha raccontato la storia di Renato nelle piazze , nelle scuole, nei luoghi di resistenza del nostro paese. Ha incontrato , le madri, le sorelle gli amici di tanti giovani uccisi dal fascismo, in anni passati e recentissimi.
Per questo decimo anniversario, per questi dieci anni senza Renato le madri vogliono costruire fin da ora un percorso condiviso, un’esperienza collettiva partecipata da tutte quelle realtà che a Roma si definiscono antifasciste antirazziste e antisessiste perché la memoria è un ingranaggio collettivo.
La memoria non deve essere solo ricordo, ma racconto a più voci di storie e resistenze , passate e attuali, un patrimonio condiviso che sappia essere un reale anticorpo sociale contro la pericolosa deriva che la nostra società sta prendendo.
Oggi dopo 10 anni dal suo assassinio Renato ha realizzato una parte dei suoi sogni: un marchio musicale RENOIZE (depositato e registrato prima del suo omicidio) 3 festival musicali in 3 capitali europee , una sala incisione e una scuola di musica a Roma all’ex cinodromo, un giardino a lui dedicato dai suoi compagni di corso e ora curato da tanti studenti, nella facolta d’ingegneria di Roma dove Renato si è laureato
Pasolini scriveva “Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole, occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.”
Vogliamo raccogliere le voci di chi contrasta questa “normalità” del fascismo, vogliamo raccontare, ascoltare, costruire una memoria collettiva antifascista e antirazzista e antisessista, prima di tutto dentro le scuole, convinte che proprio qui , con i ragazzi e i giovani, che i sogni di Renato diventeranno la nostra storia futura.roma-libera
Chiediamo agli studenti e agli insegnanti di costruire insieme questi incontri per un nuovo percorso antifascista che vada a chiudere ogni spazio della società in cui il fascismo si è insinuato, portando paura, violenza, sopraffazione, razzismo e morte non solo nelle strade ma anche nelle menti.

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Antonio era entusiasmo e rabbia, libertà e lotta

Antonio Salerno Piccinino è nato il 17 Dicembre 1977 a Napoli, in un carcere speciale, i suoi genitori erano militanti dei N.A.P. Come molti suoi coetanei è precario e insieme ad altri ragazzi fonda un centro sociale, l’Acrobax, per combattere la precarietà, la mercificazione della cultura e per coltivare le sue passioni per la musica, la fotografia e il cinema. Antonio muore il 17 gennaio 2006 a soli 28 anni sulla “Cristoforo Colombo” mentre sta lavorando come pony express per la Randolino srl per la quale ritira provette dai veterinari. Il giorno della morte il contratto lavorativo era scaduto. Antonio guadagnava 800 euro al mese e una quota per ogni ritiro di provetta: tre euro in città, cinque euro oltre il Grande Raccordo Anulare, sei nelle zone verso il mare. Dopo la sua morte è nato un Comitato in suo ricordo che si chiama “No morti lavoro”. Un gruppo musicale romano, I Rancore gli ha dedicato una canzone che si intitola “Le radici e le ali”.antonio Antonio era entusiasmo e rabbia, libertà e lotta

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