“Ionondimentico” Renato Biagetti – “Prossima fermata. Una storia per Renato” il fumetto contributo di Zerocalcare ed Erre push

Il 24 giugno al Forte Prenestino, nell’ambito del @Crack Festival è stato presentato il fumetto “Prossima fermata. Una storia per Renato” contributo degli artisti Zerocalcare ed Erre push alla campagna “Io non dimentico Renato Biagetti” dieci anni dalla morte di Renato.

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“Prossima fermata. Una storia per Renato” Un fumetto di Zerocalcare e Erre Push, autoprodotto dalla campagna #ionondimentico Prima presentazione 24 giugno 2016 ore 21 @Crack Festival (Forte Prenestino, Roma) Il prossimo 24 giugno 2016 all’interno di Crack festival del fumetto alle ore 21 verrà presentato per la prima volta il fumetto autoprodotto dalla campagna #ionondimentico scritto e disegnato da Errepush e Zerocalcare e dedicato a Renato Biagetti. Sono infatti passati 10 anni da quando Nel 2006 a Focene, estrema periferia di Roma, Renato viene ucciso da due giovani neofascisti. Solo perché riconosciuto come diverso: “una zecca” estranea a quel quartiere. Anni in cui la parola “equidistanza” inizia a essere usata per indicare “opposti estremismi”. Anni in cui emergono con chiarezza alleanze e contiguità tra partiti xenofobi e di destra “istituzionale” al potere, e i gruppuscoli neofascisti lasciati liberi di agire nelle strade. Si diffonde una cultura dell’odio e della violenza contro gli ultimi e i “diversi”, che passa spesso per intimidazioni e aggressioni, non di rado a colpi di coltello. Lame come quelle che hanno ucciso Renato. Come si legge nella prefazione firmata da Zeropregi, “ormai il quotidiano è peggio di qualsiasi brutta storia che possa uscire dalla nostra fantasia”. La guerra agli ultimi e ai poveri è all’ordine del giorno, resa possibile grazie a un senso comune intriso di razzismo. Prossima fermata. Una storia per Renato, di Zerocalcare e Erre Push è un attualissimo viaggio a fumetti, che va ritroso nel tempo lungo questi dieci anni così importanti per il nostro paese e per l’Europa. Per raccontare la storia di Renato e di chi in questi 10 anni non ha mai smesso di raccontare questa storia e di incrociarne tante altre, perché chi non dimentica continua a lottare.

Zerocalcare da http://www.comicon.it/zerocalcare/

Zerocalcare da http://www.comicon.it/zerocalcare/

Erre push - Disegnini da http://errepush.com/

Erre push – Disegnini da http://errepush.com/

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Torino, strategia contro il dissenso

28 giugno 2015
Riportiamo un articolo a cura di Livio Pepino (ex magistrato) apparso oggi su Il Manifesto riguardo all’operazione di polizia che ha coinvolto 23 notav nella giornata di ieri. Ad essere interessante, all’interno dell’articolo, è quanto l’ex magistrato rileva nelle operazioni di questo tipo, facendone capire la portata. I due pesi che la magistratura utilizza nei confornti dei notav viene avvallata dalla corsia preferenziale riservata agli imputati che esprimono il proprio dissenso verso la costruzione dell’opera.

Il copione si ripete. Ieri mattina, appena ventiquattrore dopo il terremoto elettorale che ha rimesso in discussione, a Torino, gli equilibri politici intorno alla Nuova linea ferroviaria Torino-Lione, un ennesimo grappolo di misure cautelari si è abbattuto su esponenti del movimento No Tav. Ancora una volta le misure si riferiscono a fatti accaduti un anno prima (il 28 giugno 2015 intorno al cantiere della Maddalena di Chiomonte allorché un gruppo di dimostranti tentò e in parte riuscì ad agganciare e rimuovere, con un gesto di evidente significato simbolico, pezzi delle reti di recinzione).

Ancora una volta l’accusa è di resistenza a pubblico ufficiale (con l’appendice di alcuni reati minori). Ancora una volta gli indagati colpiti dalle misure sono, nella stragrande maggioranza, persone note nel movimento, ben conosciute dalle forze dell’ordine, non certo interessate a sottrarsi alle indagini con la fuga o a manomettere e inquinare le prove dei fatti.
Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Da oltre dieci anni i cittadini e le cittadine della Val Susa che si oppongono alla realizzazione del Tav sono oggetto di interventi repressivi di crescente gravità da parte della Procura della Repubblica e dei giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Torino. Sono attualmente indagate in valle circa 1000 persone, di età compresa tra i 18 e gli 80 anni, per i reati più vari, a partire dalla mancata ottemperanza ai provvedimenti prefettizi che vietano la circolazione nella “zona rossa” prossima al cantiere della Maddalena di Chiomonte. In questo momento sono soggette a misure cautelari – di diversa intensità – poco meno di cinquanta persone, quasi tutte per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Nulla di nuovo, ma il protrarsi di forzature che non hanno nulla a che fare con l’obbligatorietà e il sereno esercizio dell’azione penale. C’è una palese disparità di trattamento nei confronti degli indagati appartenenti al movimento No Tav, nei cui confronti si assiste a una dilatazione abnorme delle ipotesi di concorso di persone nel reato mentre pressoché tutte le denunce nei confronti delle forze dell’ordine per lesioni anche gravissime a manifestanti sono state archiviate, senza alcuna seria indagine, per l’asserita impossibilità di identificarne gli autori. C’è una corsia preferenziale per i processi nei confronti di esponenti No Tav, trattati con assoluta priorità anche se relativi a fatti lievissimi (come l’inottemperanza alle ordinanze prefettizie o il danneggiamento simbolico delle reti del cantiere), mentre per i reati da essi denunciati (persino quelli con prove documentali come le diffamazioni) sono per lo più trattati con tempi tali da assicurarne la prescrizione. C’è un ricorso massiccio – appunto – alla custodia cautelare in carcere anche nei confronti di incensurati e un’applicazione indiscriminata di misure non detentive per fatti di lieve entità (con prescrizioni vessatorie e motivate con pure clausole di stile, come il diniego del permesso per recarsi a colloquio con i difensori, la mancata concessione della possibilità di lavorare o di dare esami all’università, il divieto di recarsi a far visita ai genitori etc.).

Dopo avere perseguito la strada del maxiprocesso (per i fatti di fine giugno-primi di luglio 2011) e giocato la carta della fantasiosa contestazione del reato di attentato con finalità di terrorismo (escluso in modo tranchant sia dai giudici di merito che dalla Corte di cassazione) i pubblici ministeri e i giudici della cautela torinesi hanno scelto la strada di uno stillicidio di processi. Per anni magistrati, politici e giornalisti hanno gridato ai quattro venti che gli interventi repressivi disposti non riguardavano il movimento No Tav ma solo reati specifici commessi da frange estremiste e violente, per lo più estranee alla Val Susa. Ora anche la maschera è caduta. I destinatari delle misure cautelari sono per lo più vecchi e giovani valligiani imputati per fatti che in ogni altra parte d’Italia meriterebbero, al massimo, un dibattimento di routine al di fuori da ogni “corsia preferenziale”. L’evidente finalità è quella di intimidire, di dividere, di fiaccare il movimento secondo un modulo ben noto in varie parti del mondo e denunciato in una recente sentenza della Corte interamericana dei diritti dell’uomo, concernente esponenti del popolo Mapuche, laddove si censurano alcuni interventi di autorità giudiziarie cilene siccome diretti a «provocare paura in altri membri della comunità coinvolti in attività di protesta sociale e di rivendicazione dei loro diritti territoriali o che intendono eventualmente parteciparvi».

Lo abbiamo sottolineato altre volte ma merita ricordarlo. Queste vicende parlano all’intero Paese perché il livello di democrazia di un ordinamento si misura sul modo in cui vengono orientati, nella repressione del dissenso, l’azione delle forze di polizia e della magistratura, quando non anche – come avvenuto ripetutamente nell’Italia liberale e come avviene oggi in Val Susa – delle forze armate in funzione di ordine interno.

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http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabenicomuni/item/17265-torino-strategia-contro-il-dissenso

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Ennessimo attacco alla libertà di dissenso dei NO TAV

“Stavolta hanno infierito sugli anziani”, scrive Nicoletta Dosio, tra le persone colpite in Valle da un obbligo di presentazione periodica alla Caserma dei Carabinieri di Bussoleno.
Vogliono anche gli anziani? Eccomi: ho 73 anni, sono stata più volte al cantiere di Chiomonte a manifestare la mia contrarietà a un’opera inutile, costosa e soprattutto dannosa, come è stato ampiamente dimostrato. Sono al fianco di Nicoletta e Marisa, mi autodenuncio. E sono sicura che saremo in tante!

Haidi Gaggio Giuliani (Osservatorio sulla Repressione)
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Solidali con Marisa! – Comunicato di Genuino Valsusino

Dare l’obbligo di firma quotidiana a una donna con più di 70 anni, accusandola di “aver partecipato alle violenze del 28 giugno 2015”, in quanto “sedeva sul furgone noleggiato dai NO TAV”, e questo perchè ha parecchie difficoltà a muoversi, non solo ha del ridicolo ma rende agli occhi delle persone la giustizia in Italia sempre meno credibile e più asservita al potere.
Massima solidarietà a Marisa e tutti coloro che ieri hanno pagato con varie misure cautelari e restrizioni il fatto di lottare non solo “contro” un opera inutile ma a “favore” di un mondo diverso al cui centro ci sono le persone e non solo il profitto.
Lo dimostra anche la sua partecipazione attiva, gentile e preziosa a Genuino Valsusino e alla costruzione di una comunità che promuove il diritto ad un cibo genuino, locale e ad un prezzo accessibile.

Tutti liberi!
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NO TAV : Solidarietà a Nicoletta Dosio – La valle non si arresta

Posted on 21 giugno 2016. Tags: Nicoletta Dosio, No Tav
NO TAV : LA REPRESSIONE NON FERMERA’ LA LOTTA

Esprimiamo la nostra piena solidarietà a Nicoletta Dosio ed ai suoi compagni di lotta NO TAV colpiti da provvedimenti della magistratura. Tante volta abbiamo ospitato su questa testata la voce di Nicoletta sempre in prima fila non solo nella lotta contro la TAV ma in tutte le battaglie per la difesa dei diritti sociali, civili e politici in questo paese. Nicoletta Dosio ha dichiarato che non si sottoporrà all’obbligo di firma e che accetta di affrontare ogni percorso giudiziario per difendere la sua idea di legittimità delle forme di lotta. Siamo con Lei. Il tentativo di criminalizzazione non solo della lotta ma anche delle idee che sorreggono la resistenza della Valsusa sembrava aver toccato un picco con l’incriminazione di Erri De Luca, poi platealmente assolto. Oggi invece, subito dopo il cambio di potere a Torino, assistiamo ad un nuovo capitolo della repressione contro i NO TAV. Noi di Libera.Tv e di LiberaRete saremo a fianco di Nicoletta e dei suoi compagni e sosterremo le scelte che vorranno fare. La Valle non si processa.
La valle non si arresta NO TAVIl comunicato dei NO TAV
Arresti, restrizioni e obblighi di firma: ancora un attacco contro il movimento notav

Con un tempismo quantomai sospetto, appena terminate l’elezioni di Torino, sono i pm con l’elmetto a prendersi le luci della ribalta proseguendo nella continua crociata contro i notav.
All’alba di questa mattina è scattata un’ennesima operazione contro il movimento che vede coinvolti 23 notav, tra studenti universitari e ultrasettantenni, residenti in Valle a Torino e in altre città italiane.
Questa volta viene incriminata la giornata del 28 giugno 2015 quando la marcia notav ruppe i divieti e fece cadere reti e barriere con l’orgoglio!

Sono 23 i notav coinvolti in totale e sono:

3 arresti in carcere
9 arresti domiciliari con le restrizioni
per tutti gli altri obblighi di firma (quotidiane per lo più).

Tra i tre notav tradotti al carcere delle Vallette, c’è Fulvio, valligiano degli Npa di 64 anni che ha rifiutato di stare ai domiciliari. Nicoletta e Marisa, colpite dall’obbligo di firma giornaliero, hanno oltre 60 anni. Ci troveremo questa sera in assemblea a Bussoleno alle 21 come già previsto, per discutere insieme le prossime iniziative per la liberazione di tutti e tutte, in vista dell’estate di lotta.

Avanti notav!

da NO TAV .INFO

La dichiarazione di Nicoletta Dosio

Che sia chiaro, io non accetterò di andare tutti i giorni a chiedere scusa ai carabinieri, non accetterò che la mia casa diventi la mia prigione.
Decidano loro, tanto la nostra lotta è forte, lottiamo per il diritto di tutti a vivere bene, lottiamo non solo per la nostra valle ma per un mondo più giusto e vivibile per tutti
Noi non abbiamo paura e non ci inginocchiamo davanti a nessuno, e quindi io a firmare non ci vado e nemmeno starò chiusa in casa ad aspettare che vengano a controllare se ci sono o non ci sono.
Siamo nati liberi e liberi rimaniamo! Liberi ed uguali!”

da http://www.liberarete.org/tag/nicoletta-dosio/

COMUNICATO STAMPA

La mattina di martedì 21 giugno la Procura di Torino ha messo in atto l’ennesima operazione giudiziaria contro il movimento No Tav, infliggendo 23 misure cautelari di vario grado ed entità ad altrettanti attivisti, valligiani e non. Com’è nella natura del movimento No Tav le persone colpite appartengono a generazioni e provenienze differenti, accomunate da un fine comune.

Alcuni attivisti hanno deciso di rifiutare o infrangere le misure cautelari comminate, che si tratti di firme quotidiane o di arresti domiciliari, aprendo uno scenario nuovo e rilanciando la lotta sia sul piano giudiziario sia su quello politico.

Il movimento No Tav ribadisce il suo pieno appoggio a tutte le persone colpite, sostenendo i percorsi che si aprono e che si apriranno, qualunque essi siano. È un’occasione per ribaltare il modus operandi di una Procura politicizzata esplicitamente contro i No Tav.

L’assemblea popolare di martedì sera e la fiaccolata di giovedì 23 giugno dimostrano che il movimento è unito e non lascia isolati i perseguitati, forte della consapevolezza di poter rilanciare una nuova fase di lotta.

Bussoleno, 25 giugno 2016

Il Movimento No Tav

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Per la libertà di dissenso

Per la Libertà di Dissenso
Mamme in piazza per la libertà di dissenso

Nella città di Torino, 28 ragazzi e ragazze sono, da molti mesi, sottoposti a misure cautelari preventive molto dure.

Non hanno rubato soldi pubblici, non hanno corrotto e non sono stati corrotti, non hanno cercato di trarre illeciti profitti personali, non hanno avvelenato l’aria con la polvere di amianto.

Hanno manifestato contro quel treno ad alta velocità Torino-Lione che saccheggia le risorse pubbliche per costruire un’opera utile solo ai suoi costruttori; hanno difeso le aule dell’università che frequentano dalla lugubre e incostituzionale presenza di fascisti torinesi, estranei – tra l’altro – a quelle aule; hanno tentato di sfilare in corteo per ricordare che una città medaglia d’oro alla Resistenza non può assistere in silenzio alla presenza arrogante di un partito xenofobo e razzista; hanno tentato di difendere il diritto all’abitare di famiglie travolte dalla crisi.

Non erano soli, a farlo. Nelle strade della Val di Susa come in quelle torinesi, nei quartieri popolari come nelle aule universitarie si è espresso un movimento vasto, multiforme e articolato, partecipato da migliaia di cittadini, che ha utilizzato, nell’espressione del dissenso, gli strumenti propri dei movimenti sociali: cortei, presidi, comunicazione.

Questi ragazzi e ragazze, parte di quel movimento, sono conosciuti per il loro impegno sociale che li porta a rivendicare diritti per tutti in una città, e in un Paese, dove sempre più sono garantiti privilegi per pochi e dove sempre meno è tollerato il dissenso.

Ebbene, questi ragazzi e queste ragazze sono stati sottoposti a misure molto dure: c’è chi non può più vivere a Torino, sua città di residenza, e chi non può uscire da Torino, neanche per andare a trovare i genitori; c’è chi deve recarsi quotidianamente a firmare in caserma e chi deve restare chiuso in casa dalla sera all’alba; infine ci sono gli “incarcerati in casa”, in stretto isolamento, costretti quindi alla perdita del lavoro, allontanati dalla frequentazione dei corsi universitari e impediti nel vivere i loro affetti.

Tutti privati, o fortemente limitati, nella loro libertà.

A questi ragazzi e a queste ragazze viene negato il diritto a studiare, il diritto a lavorare, il diritto a vivere una vita dignitosa insieme alle persone che amano, il diritto alla libertà personale: e tutto questo senza essere ancora stati sottoposti a giudizio. Puniti duramente, a dispetto della presunzione di innocenza, per intimorire loro e tutti quelli che potrebbero pensarla come loro. Puniti duramente per aver praticato il diritto a dissentire.

Come genitori, amici, cittadini ci chiediamo se non si sia creato, nella città di Torino, un corto circuito pericoloso volto, di fatto, a limitare libertà fondamentali dei cittadini, quali il diritto costituzionalmente garantito a manifestare.

Un corto circuito che ha come presupposto la pesante militarizzazione di piazze e spazi, quali ad esempio quelli universitari, in occasione di manifestazioni pubblicamente convocate; che prosegue poi in indagini che appaiono pilotate per sfociare in imputazioni sempre molto più gravi del necessario, formulate proprio per rendere possibile – non obbligatoria comunque – la detenzione preventiva e indirizzare la strada verso potenziali condanne. Un corto circuito che si nutre della “apparente” decontestualizzazione degli eventi per ridurre le tensioni e le rivendicazioni sociali a fattispecie criminali da perseguire: “apparente” perché non può non sorgere il dubbio che la volontà di vessare e punire sia correlata proprio alle ragioni politiche e sociali che motivano l’agire di questi ragazzi e ragazze. Da cui la scelta di forzare le norme e attuare la massima possibile punizione preventiva: ci troviamo davanti al paradosso di detenzioni preventive che equivalgono o superano le abituali condanne, laddove ci fossero, normalmente comminate per quel tipo di reati.

Come genitori, amici, cittadini riteniamo che il ritiro delle misure cautelari preventive per tutte e tutti sia il primo, indispensabile passo per interrompere questo corto circuito e ristabilire il diritto al dissenso.

Mamme in piazza per la libertà di dissenso.

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Primi firmatari:

Maria madre di Damiano – Milena madre di Costanza – Giulia madre di Valeria – Marta madre di Valeria – Paola madre di Francesco – Lorena madre di Nicola – Valeria madre di Luca e Umberto –Angela madre di Selene – Diana madre di Jacopo – Luisella madre di Daniele – Chiara per Cecca – Giulia madre di Davide – Adriana madre di Zeno – Teresa madre di Stella – Roberta madre di Eddi

Haidi Giuliani, Comitato Madri per Roma Città Aperta, Stefania Zuccari madre di Renato Biagetti, Ludovica Rosci sorella di Davide Rosci, Rosa Piro mamma di Dax, Germana Villetti, Lina Sortino, Stefania Fattori, Teresa Barile, Gabriella Spada, Fabiola Schneider, Patrizia Stocchi, Gloria Navarra, Stella Sassone, Carla Dovini, Giorgio Cremaschi, Francesca Frediani (Movimento 5 Stelle), Ugo Mattei

Vai alla petizione

https://www.change.org/p/per-la-libertà-di-dissenso

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Io non dimentico Clement Meric ni oubli, ni pardon

Buongiorno a tutti.
Prima di tutto vorrei presentarci. Siamo Germana e Fabiola del Comitato Madri per Roma Città Aperta.

Questo Comitato è nato perchè il 26 agosto del 2006, dieci anni fa, Renato Biagetti, un ragazzo di 24 anni, è morto ammazzato da 8 pugnalate. Gli assassini avevano 17 e 18 anni e il corpo tatuato con simboli fascisti. Renato usciva da un concerto di musica reggae su una spiaggia non lontano da Roma con la sua fidanzata ed un amico. Gli assassini, prima di ucciderlo gli hanno detto che quel territorio gli apparteneva e che le zecche, così i fascisti chiamano i comunisti, non lo dovevano frequentare.

E’ stupido vero, essere uccisi in modo così vigliacco e per una ragione tanto banale, ma è così, i fascisti sono vigliacchi nelle loro azioni e amano il territorio più della vita. Ed è così ovunque. Le conseguenze si vedono tutti i giorni nel mondo e in Europa.
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Stefania Zuccari, la madre di Renato ha voluto questo Comitato di donne perchè suo figlio possa continuare a vivere attraverso le lotte per un mondo senza fascismi. Renato amava la vita e musica, desiderava un mondo migliore nel quale i lavoratori non fossero sfruttati, un mondo senza razzismo, senza violenza, senza abusi. Che non fosse xenofobo o omofobo, un mondo che rispettasse la dignità delle donne e il diritto di non vivere in un paese in guerra.

Clément, giovane come lui e con tutta una vita davanti credeva e lottava per gli stessi valori, ma anche lui ha incontrato sul suo cammino qualcuno che in modo altrettanto vigliacco e violento gli ha preso la vita. Sì, gli ha preso la sua vita, come ha preso quella di Dax a Milano, di Pavlos in Grecia, di Carlos in Spagna e di troppi altri nel passato e nel presente. Gli assassini non sono però riusciti ad uccidere i suoi e i loro sogni, se c’è qualcuno che continua a vivere e a lottare per questi a suo e al loro posto.

Non vogliamo che succeda ancora ma allo stesso tempo osserviamo scioccati a ciò che accade nel mondo intero e non solo nella vecchia Europa.
Ma non è sufficiente dire che non vogliamo più morti. Bisogna vigilare, bisogna tenere gli occhi ben aperti, bisogna studiare, bisogna leggere i loro programmi, bisogna seguire le loro pagine su facebook e sugli altri social networks e infine bisogna denunciare, scrivere lettere ai giornali, a vivere e a lottare per questi al loro posto, niente deve passare sotto silenzio o tralasciato. Niente grigio con i fascisti e le loro fosche idee. Solamente il bianco e il nero sono permessi. E poi bisogna essere furbi e non cadere nelle loro trappole. Nessuna violenza gratuita,non rispondere alle provocazioni, non attaccare se non si è attaccati. E’ difficile, lo sappiamo ma in un momento così tragico e delicato bisogna agire e prendere decisioni con la testa e non con la pancia!

Il fascismo è subdolo, si insinua nella società con passo felpato cavalcando l’onda di un populismo facile, entra nelle scuole ( noi, come Comitato lavoriamo anche nelle scuoledove bisogna essere assolutamente presenti), occupa tutti i buchi che trova vuoti. Bisogna arrivare per primi. Perchè chi lavora per il male non va mai in vacanza, quindi non bisogna mai abbassare la guardia perchè lo si è fatto per troppo tempo e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Una riflessione profonda è necessaria e urgente,
Ricordiamoci che chi uccide non è altro che una marionetta, che la violenza è una forma di potere e che coloro che detengono il potere sono gli stessi che muovono le marionette,
Clement

A questo proposito vogliamo ricordare Carla Verbano che lo sapeva bene. Carla, che ci ha lasciato 4 anni fa,era la madre di Valerio Verbano, ucciso da tre ragazzi che spacciandosi per suoi amici sono riusciti ad entrare in casa, hanno legate imbavagliato i genitori nella loro camera da letto e hanno aspettato che Valerio tornasse. Quando è arrivato gli hanno sparato. Valerio aveva 19 anni, la passione per la fotografia ed era un attivo antifascista negli anni di piombo. Aveva messo insieme un dossier di foto di fascisti romani. Carla ha lottato tutta la sua vita per ottenere la verità sulla morte di suo figlio. Sono sparite le foto come le prove dell’omicidio compresa una pistola e altri oggetti dimenticati dagli assassini nella sua casa. Diceva che se non si fossero trovati gli assassini era come se Valerio fosse stato ucciso una seconda volta. Carla ha scritto un libro dove alla fine si legge:
“Vorrei dire un’ultima cosa. Nel rapporto su mio figlio, che per anni è andato in vespa con la sua macchina fotografica a tracolla, c’è scritto che le fotografie sono “tutte sfocate e indistinte per un errato uso della macchinetta fotografica”.
Strano, erano anni che andava in giro a fare fotografie. Quelle del Dossier si vedevano tutte. Stavolta invece no, tutte buie”
Dev’essere che Valerio, quel giorno, è riuscito a fotografare il futuro.
Non il suo quello di tutti.

ni oubli, ni pardon

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Per sempre nella nostra memoria e nei nostri cuori

Trois ans après, on ne baisse pas les bras

Il y a maintenant trois ans, le 5 juin 2013, notre camarade Clément Méric, militant syndicaliste et antifasciste, était assassiné par des membres du groupuscule néonazi Troisième Voie. Depuis, sa mort est encore présentée comme le résultat d’une rixe entre bandes dans les médias et les discours politiques, réduite à un fait divers et non pas considérée comme la conséquence de la normalisation des idéologies de l’extrême droite dans de larges secteurs de la société française. L’activisme au grand jour de groupes néofascistes, les discours ouvertement racistes et sexistes devenus la norme… ne sont que les symptômes de l’installation d’un système autoritaire, sexiste, raciste et antisocial.

Les attentats de janvier et ceux de novembre ont lancé le début de la militarisation des forces de police. L’état d’urgence, sous lequel nous sommes appelé-e-s à vivre de façon permanente, c’est surtout 3379 perquisitions pour seulement 6 procédures judiciaires pour terrorisme. Les musulman-e-s, ou supposé-e-s tel-le-s sont considéré-e-s comme une “potentielle menace terroriste” et sont rapidement devenu-e-s les cibles des politiques racistes et racoleuses censées rassurer la population. Mais ces discours détruisent des milliers de vie. Les perquisitions et les assignations, source d’humiliation, ont été d’une grande violence, physique et psychologique. Dernièrement, le débat sur la déchéance de nationalité ne fut en réalité qu’une occasion de plus pour les politiques de se concurrencer dans la parole raciste. De cette manière, le gouvernement s’est largement dédouané de toute responsabilité de son échec d’assurer la sécurité intérieure, et ont fait payer à des familles entières leur incompétence.

Cette expérience islamophobe est devenue un laboratoire de la répression de toute parole d’opposition au gouvernement. Le déchaînement de la police à la veille de la COP21 le prouve. La militarisation de l’espace public ne sont plus des fantasmes mais une réalité concrète et quotidienne. Les politiques de répression de toutes formes de contestation populaire, les acquittements systématiques dans les affaires de crimes policiers, jusqu’à l’arbitraire et la brutalité contre les populations fragiles sous couvert d’état d’urgence, et la politique de criminalisation des militant-e-s des droits de l’Homme de la campagne BDS, tout ceci n’est que l’expression publique et sans masque d’un racisme qui ronge les institutions et administrations françaises. Tout ça pour nous amener à accepter les violences policières comme mode de gestion des classes populaires.

Par ailleurs, la “crise des migrants” n’est qu’un symptôme de plus de cette Europe Forteresse qui accepte que la mer méditerranée ne devienne qu’un immense cimetière maritime pour les victimes du capitalisme et des guerres dont cette même Europe est responsable, du Mali en Syrie. Alors que la mondialisation permet la libre circulation des marchandises et des flux financiers, les être humains sont sommés de s’arrêter aux murs, enfermés dans les camps d’internement ou les prisons. L’Europe s’est créée une forteresse, préférant démanteler les camps, même par le feu, que ce soit aux frontières, à Calais ou dans nos quartiers parisiens de La Chapelle, Stalingrad et Gare d’Austerlitz.
La multiplication des attaques racistes ne font que malheureusement confirmer ce que certains annonçaient depuis des années : la victoire idéologique et politique de l’extrême droite. La mise en place de politiques xénophobes par des gouvernements n’est plus une exception mais devient la norme européenne.

Les mobilisations contre la loi travail révèlent le ras-le-bol face à la destruction programmée des acquis sociaux et face à la précarité comme norme sociale. Elles sont la réponse à toutes celles et ceux qui pensent que la résignation et l’individualisme ont gagné. Les violences policières et la répression exercées contre ces mobilisations mettent en lumière ces pratiques qui sont fréquentes dans les quartiers populaires et tabous dans le reste de la société. Plus la situation sociale va se durcir, plus les violences policières vont se multiplier. Ces politiques sécuritaires et racistes sont le pendant de la guerre sociale, la précarité et l’insécurité sociale comme moyens de gouvernance qui régit notre société.

Parce que nous n’avons rien oublié du sourire de notre camarade ni de ses combats, parce que nous n’avons rien pardonné de l’infamie des fascistes qui l’ont tué et du système qui les produit, parce que nous n’entendons pas laisser sa mémoire aux mains des juges et des journalistes à l’occasion du procès qui approche, nous appelons à une manifestation antifasciste le samedi 4 juin 2016 à 14h à Stalingrad.

Face à la répression, au racisme et à l’extrême droite : autodéfense populaire !

A photo taken on April 17, 2013, in Paris, shows Clement Meric, a student at the city's prestigious Sciences-Po university and a left-wing activist, wearing a bandana over his face as he holds a banner reading "Homophobia kills" and faces riot policemen while supporters of the anti-gay marriage movement "La Manif Pour Tous" (Demonstration for all!) demonstrate, a few hours after the second reading of France's landmark bill allowing gay marriage at the French National Assembly. Clement Meric, 18, a left-wing French activist died on June 6, 2013, after a fight with skinheads in Paris, sparking concern over the rise of extreme-right groups, as police grilled seven people over the tragedy. AFP PHOTO / JACQUES DEMARTHON

A photo taken on April 17, 2013, in Paris, shows Clement Meric, a student at the city’s prestigious Sciences-Po university and a left-wing activist, wearing a bandana over his face as he holds a banner reading “Homophobia kills” and faces riot policemen while supporters of the anti-gay marriage movement “La Manif Pour Tous” (Demonstration for all!) demonstrate, a few hours after the second reading of France’s landmark bill allowing gay marriage at the French National Assembly. Clement Meric, 18, a left-wing French activist died on June 6, 2013, after a fight with skinheads in Paris, sparking concern over the rise of extreme-right groups, as police grilled seven people over the tragedy. AFP PHOTO / JACQUES DEMARTHON

http://www.pourclement.org/

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Una nuova lapide per Pinelli

13232904_1089197021103815_6910577553367510142_nE’ sempre un’emozione poter condividere con tanti amici una parte importante del percorso che ancora una volta ci porta a ricordare Pino Pinelli. Non fa freddo ed è una cosa che colpisce. Siamo abituati a ritrovarci qui in Piazza Fontana a dicembre con il freddo che penetra nelle ossa e il ricordo e la solidarietà che scaldano il cuore. Il ringraziamento a chi oggi ha deciso di essere qui per la posa di questa lapide è grande, come il nostro grazie sincero a chi ha preso l’iniziativa e si è preso l’onere di realizzarla, quindi a Mauro Decortes e al circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, ai compagni di Carrara, a Ri-Maflow per la realizzazione della struttura, che unisce un lavoro accurato a delle scelte simboliche che rende il tutto ancora più significativo.

Non sono gli anni trascorsi che ci faranno dimenticare Pino, una serata come quella di oggi ne è la dimostrazione. Pino che è diventato, suo malgrado, un simbolo, della violenza del potere e dei diritti negati, ma che tanto ci ha lasciato e ci ha permesso di essere ancora qui a portarne avanti i valori, perché aveva una vita che è importante continuare a testimoniare, una vita di impegno nel sociale, di impegno politico, sempre dalla parte degli ultimi. Una vita piena di affetti, di ideali, una vita spezzata dagli stessi che ancora oggi ci tolgono quei diritti faticosamente conquistati, che reprimono il dissenso, che ci vorrebbero sudditi invece che cittadini critici capaci di scegliere.

Tanta strada è ancora da percorrere per vedere realizzati quegli ideali, quei valori in cui Pino credeva, in cui tanti di noi credono, ideali di pace, per un mondo senza guerre e senza confini, in cui i diritti di tutti vengano rispettati. Le ondate di xenofobia e razzismo non ci appartengono e a questa società sempre più piramidale, ai diritti negati, continueremo a rispondere con l’impegno, il confronto, continuando a tenere alti quei valori di antifascismo e resistenza perché una società più giusta e più umana sia possibile. Perché nessuno debba mai più subire quello che abbiamo subito noi.

Claudia Pinelli
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22 maggio, piazza Fontana

Spero che nostro padre possa vedere tutte le persone che si sono raccolte oggi in questa piazza, le persone che lui chiamerebbe “i suoi amici”. Lui che (come scriveva Giuseppe Gozzini a poche ore dalla morte) “viveva del suo lavoro, solido negli affetti e assetato di amicizia e gli amici li scuoteva con la sia inesauribile carica umana”: I ” suoi” amici con i quali condividerebbe, ora come allora, quegli ideali antifascisti che lo hanno accompagnato per tutta la sua breve esistenza.
Lui che rigettava la violenza (eppure è morto in modo terribilmente violento), lui che giovanissimo aveva partecipato alla resistenza come staffetta partigiana per combattere quel fascismo portatore di ingiustizia, sopraffazione e dolore (fascismo che oggi ha trovato nuovo fertilizzante e si sta espandendo a macchia d’olio sotto l’ala benevola di chi dovrebbe impedirlo).lui che si vantava della sua anarchia convinto che alla base di ogni rappaorto umano ci dovesse essere il rispetto reciproco, insofferente verso qualsiasi forma di autoritarismo..
Lui che ci lascia una rosa , un binario spezzato accanto a una lapide e un sogno meraviglioso che si chiama (A)narchia.

Silvia Pinelli

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21 maggio 2016 – Nessuna piazza, nessuna strada a Casa Pound

Lettera aperta al Prefetto di Roma e al Capo della Polizia

Noi Madri per Roma Città Aperta, comitato nato a seguito di un’aggressione mortale per mano di ragazzi che, sulle loro braccia e nelle loro menti, portavano i segni di una mentalità violenta, intollerante e fascista, abbiamo preso l’impegno di denunciare ogni atto, ogni dichiarazione, ogni intento che prefiguri l’apologia di un regime che l’Italia ha pagato per più di venti anni con violenze, torture, e morti. CivhVZiWYAAecSR
Sabato 21 maggio a Roma e in altre capitali europee sfileranno diversi gruppi tra cui chi si definisce i fascisti del terzo millennio, sfidando i principi di solidarietà, di rispetto delle diversità e accoglienza su cui è basata la nostra Costituzione.
Casa Pound, insieme ad altri esponenti, con produzione di testi e di musica fanno diretto riferimento all’ideologia fascista, proponendo un progetto politico “che proietti nel futuro il patrimonio ideale ed umano che il Fascismo italiano ha costruito con immenso sacrificio”. Una comunità fascista che offre collegamenti a esponenti politici e figure di riferimento negazioniste dei campi di sterminio, gruppi musicali neofascisti, programmi deliranti di odio, razzismo e intolleranza.
Casa Pound insieme ad altre organizzazioni, si sono resi responsabili di assalti nei confronti delle istituzioni scolastiche con slogan di viva il Duce e fumogeni, veri atti di squadrismo fascista e di apologia di fascismo perseguiti dalla nostra legislazione con la legge Scelba e la legge Mancino .Nel 2008 Casa Pound si è resa responsabile di un gravissimo assalto intimidatorio alla sede della RAI in via Teulada. Centinaia sono gli atti giudiziari che, in questi anni e su tutto il territorio nazionale individuano esponenti e simpatizzanti di Casa Pound come responsabili di azioni violente e intimidatorie.
Casa Pound insieme ad altri gruppi e partiti in Italia sono organizzazioni politiche che stanno diffondendo sull’intero territorio nazionale idee e azioni che si rifanno all’ideologia fascista ripudiata dalla nostra Costituzione.
La sfilata del 21 maggio è una dimostrazione di forza dei fascisti e nazisti europei che vogliono occupare le piazze e le strade a Roma, ad Atene, a Parigi e a Madrid sui temi della difesa del territorio nazionale da popoli che cercano in Italia e in Europa salvezza da guerre, torture e povertà.
Le sfilate vedranno protagonisti gruppi dichiaratamente fascisti e razzisti che affondano le loro origini in organizzazioni politiche che hanno sempre rivendicato atti di violenza e di razzismo, come il Groupe Union Defense francese che negli anni 70 che si facevano chiamare WaffenAssa, riprendendo il nome delle Waffenss il braccio militare delle SS, con le croci celtiche nelle loro bandiere, come Alba Dorata che in Grecia è processata come organizzazione criminale, responsabile della morte del rapper Pavlos e di aggressioni violente a sindacalisti, come gli Hogar Social de Madrid gruppo fondato da un rappresentante delle falange fascista spagnola.
Chiediamo al Prefetto di Roma di non far sfilare i fascisti del terzo millennio sabato 21 maggio, di non autorizzare le manifestazioni di organizzazioni politiche nazionali e internazionali animate dall’odio nei confronti del diverso, migrante , omosessuale, sindacalista, antifascista che sia.
E’ con queste idee di odio portate avanti da compagini come queste che sono cresciuti gli assassini di Renato Biagetti, di cui quest’anno ricorre il decennale della morte, sono gli stessi simboli che sono sulle loro bandiere , ad essere tatuate su quelle mani che hanno affondato il coltello nel suo corpo uccidendolo. Solo dieci anni fa e ancora oggi di fascismo si muore.
roma-libera

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25 Aprile 2016 -Porta San Paolo

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Mamme in piazza per il dissenso

Nella città di Torino, 28 ragazzi e ragazze sono, da molti mesi, sottoposti a misure cautelari preventive molto dure.
Non hanno rubato soldi pubblici, non hanno corrotto e non sono stati corrotti, non hanno cercato di trarre illeciti profitti personali, non hanno avvelenato l’aria con la polvere di amianto.
Hanno manifestato contro quel treno ad alta velocità Torino-Lione che saccheggia le risorse pubbliche per costruire un’opera utile solo ai suoi costruttori; hanno difeso le aule dell’università che frequentano dalla lugubre e incostituzionale presenza di fascisti torinesi, estranei – tra l’altro – a quelle aule; hanno tentato di sfilare in corteo per ricordare che una città medaglia d’oro alla Resistenza non può assistere in silenzio alla presenza arrogante di un partito xenofobo e razzista; hanno tentato di difendere il diritto all’abitare di famiglie travolte dalla crisi.
Non erano soli, a farlo. Nelle strade della Val di Susa come in quelle torinesi, nei quartieri popolari come nelle aule universitarie si è espresso un movimento vasto, multiforme e articolato, partecipato da migliaia di cittadini, che ha utilizzato, nell’espressione del dissenso, gli strumenti propri dei movimenti sociali: cortei, presidi, comunicazione.
Questi ragazzi e ragazze, parte di quel movimento, sono conosciuti per il loro impegno sociale che li porta a rivendicare diritti per tutti in una città, e in un Paese, dove sempre più sono garantiti privilegi per pochi e dove sempre meno è tollerato il dissenso. Ebbene, questi ragazzi e queste ragazze sono stati sottoposti a misure molto dure: c’è chi non può più vivere a Torino, sua città di residenza, e chi non può uscire da Torino, neanche per andare a trovare i genitori; c’è chi deve recarsi quotidianamente a firmare in caserma e chi deve restare chiuso in casa dalla sera all’alba; infine ci sono gli “incarcerati in casa”, in stretto isolamento, costretti quindi alla perdita del lavoro, allontanati dalla frequentazione dei corsi universitari e impediti nel vivere i loro affetti. Tutti privati, o fortemente limitati, nella loro libertà.
A questi ragazzi e a queste ragazze viene negato il diritto a studiare, il diritto a lavorare, il diritto a vivere una vita dignitosa insieme alle persone che amano, il diritto alla libertà personale: e tutto questo senza essere ancora stati sottoposti a giudizio. Puniti duramente, a dispetto della presunzione di innocenza, per intimorire loro e tutti quelli che potrebbero pensarla come loro. Puniti duramente per aver praticato il diritto a dissentire.
Come genitori, amici, cittadini ci chiediamo se non si sia creato, nella città di Torino, un corto circuito pericoloso volto, di fatto, a limitare libertà fondamentali dei cittadini, quali il diritto costituzionalmente garantito a manifestare.OcOCGimntAyfcVE-800x450-noPad
Un corto circuito che ha come presupposto la pesante militarizzazione di piazze e spazi, quali ad esempio quelli universitari, in occasione di manifestazioni pubblicamente convocate; che prosegue poi in indagini che appaiono pilotate per sfociare in imputazioni sempre molto più gravi del necessario, formulate proprio per rendere possibile – non obbligatoria comunque – la detenzione preventiva e indirizzare la strada verso potenziali condanne. Un corto circuito che si nutre della “apparente” decontestualizzazione degli eventi per ridurre le tensioni e le rivendicazioni sociali a fattispecie criminali da perseguire: “apparente” perché non può non sorgere il dubbio che la volontà di vessare e punire sia correlata proprio alle ragioni politiche e sociali che motivano l’agire di questi ragazzi e ragazze. Da cui la scelta di forzare le norme e attuare la massima possibile punizione preventiva: ci troviamo davanti al paradosso di detenzioni preventive che equivalgono o superano le abituali condanne, laddove ci fossero, normalmente comminate per quel tipo di reati.
Come genitori, amici, cittadini riteniamo che il ritiro delle misure cautelari preventive per tutte e tutti sia il primo, indispensabile passo per interrompere questo corto circuito e ristabilire il diritto al dissenso.

MAMME IN PIAZZA PER IL DISSENSO

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