Le idee del nuovo sindaco: pistole, accoglienza, espulsioni, saluti romani, rifiuti , rom, attricette e tassisti

Alemanno: «Ecco come Roma diventerà sicura
Avrò tolleranza zero. E i vigili saranno armati»

«Il saluto romano dei militanti? Solo spacconerie. Amo la democrazia»
«E’ ingeneroso scaricare su Rutelli la sconfitta della sinistra»
 

ROMA
(29) – Una Roma sicura, libera dai ventimila nomadi e immigrati che
hanno violato la legge, libera dai campi nomadi irregolari e con un
controllo rigoroso ed effettivo di quelli regolari: è questo il modello
di capitale che il neo-sindaco del Pdl Gianni Alemanno vuole realizzare
e per il quale sta lavorando. Tra gli strumenti per riuscirci, la
creazione di un assessorato alla Sicurezza e immigrazione. Oggi
Alemanno ha sostenuto che «la sintonia col governo centrale» gli
«permetterà di affrontare il nodo della sicurezza e riprendere il
controllo del territorio». Se i progetti e gli annunci diventeranno
realtà, i "pizzardoni" romani gireranno con la pistola: per il
neo-sindaco è infatti necessario che «la polizia municipale venga
armata, riqualificata e rimodernata affinché diventi una vera polizia
di prossimità che possa collaborare con le forze dell’ ordine
coordinate da uncommissario straordinario con poteri speciali».

La sicurezza nella città e sui luoghi di lavoro.
La sicurezza è un tema annunciato da Alemanno anche in tema di ambienti
di lavoro, per prevenire le tanti morti bianche. Affinché la parola
d’ordine «sicurezza» della campagna elettorale – che in molti hanno
visto come asso nella manica della sua vittoria – si trasformi nel vero
ingrediente di novità del suo mandato, proprio oggi Alemanno ha
annunciato, tra i suoi primi atti da sindaco, una visita al vedovo di
Giovanna Reggiani, la donna aggredita e uccisa alla periferia della
capitale da un romeno, e la convocazione del Comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza. «Voglio andare a salutarlo – ha detto in
un’intervista a Radio Vaticana – a portargli ancora la mia solidarietà
e dirgli che mai più deve avvenire un atto come quello che sua moglie
ha subìto».

Le tre linee guida. Ed ancora del tema della
sicurezza si parlerà nella prima giunta capitolina, un tema che per
Alemanno è «strettamente legato e inscindibile» da quello
dell’accoglienza. Del resto, le tre direttrici del futuro lavoro da
sindaco, per Alemanno, sono: sicurezza, socialità e lavoro. E in questo
spirito rientra l’abolizione dell’Ici e la riduzione dell’Irpef fino a
un’aliquota pari allo 0,25%, la riqualificazione delle periferie da
affiancare alla politica urbanistica e ad un piano straordinario per la
mobilità, che prevede il completamento dell’anello ferroviario con un
deciso aumento dei parcheggi.

Interventi per le famiglie e ammortizzatori sociali.
Alemanno vuole anche dare sostegni alle famiglie, in particolare agli
anziani, aumentare gli asili nido, potenziare la qualità dell’offerta
sanitaria e predisporre un nuovo piano rifiuti. Ma prevede sostegno
anche alle imprese e tutela del lavoro, soprattutto per i giovani, con
un fondo di assistenza per i precari come ammortizzatore sociale
durante i periodi di disoccupazione, e politiche di rilancio dello
sport. Una svolta che i romani hanno chiesto con il voto e ora
attendono che diventi realtà.

Intervista ad un quotidiano romeno: tolleranza zero.
In un’intervista al quotidiano romeno "Cotidianul on-line", il sindaco
di Roma ha ribadito l’intenzione di osservare una «tolleranza zero» nei
confronti degli immigranti clandestini e dei cittadini stranieri
delinquenti. «Con "tolleranza zero" intendo lo smantellamento immediato
dei campi nomadi abusivi e delle baraccopoli che si trovano nella
metropoli, dove si stanno amplificando da un giorno all’altro la
criminalità, la violenza e lo sfruttamento di donne e bambini» ha detto
Alemanno, sollecitando tra
l’altro l’espulsione immediata di oltre
20mila nomadi e immigranti delinquenti. «Non credo che in Romania sia
tollerato un campo nomadi in un parco di Bucarest» ha detto il sindaco.
Riferendosi alla possibile reintroduzione dei visti d’ingresso in
Italia per i romeni, evocata nei giorni scorsi da alcuni politici di
Roma, il nuovo sindaco ritiene che «nel 2004, quando è stata adottata
la direttiva europea sulla libera circolazione, non esistevano ancora i
problemi apparsi con l’ulteriore allargamento dell’Ue. Perciò, per far
fronte al fenomeno dell’immigrazione – diventato ormai un esodo di
persone che arrivano da tutte le parti del mondo, impossibile da
controllare – è necessario modificare la normativa».

«Una minoranza di stranieri macchia l’immagine di una città».
Alemanno è del parere che «va fatta la distinzione tra cittadini rom e
romeni» e che, «a seguito dell’ingresso della Romania nella Ue,
servirebbe una moratoria che impedisca il flusso incontrollato di
nomadi». Contento che il premier romeno Calin Popescu Tariceanu abbia
discusso di recente al telefono col futuro presidente del Consiglio,
Silvio Berlusconi, delle recenti violenze dei romeni in Italia,
Alemanno dice che per contrastare l’immigrazione incontrollata servono
cooperazione e accordi bilaterali. Il nuovo sindaco di Roma ritiene che
la comunità romena in Italia è in maggioranza onesta, per cui «non
possiamo accettare che una minoranza di stranieri delinquenti macchi
con le sue atrocità l’immagine di una città aperta, tollerante, in cui
convivono comunità diverse». In tal senso, Alemanno ha fatto l’esempio
dell’attrice romena Ramona Badescu, candidata proprio nella sua lista
alle ultime amministrative.

«Il saluto romano? Solo spacconerie».
«Io amo e credo nella democrazia e giudico come spacconerie, senza
nessuna valenza ideologica consapevole, i gesti isolati a cui abbiamo
assistito ieri in piazza del Campidoglio» ha detto in serata Alemanno
durante la trasmissione Ballarò, in onda su RaiTre, rispondendo ad una
domanda di Giovanni Floris che gli chiedeva di commentare il saluto
romano fatto da alcuni militanti durante i festeggiamenti per la sua
vittoria. «Affacciandomi dal palazzo Senatorio – ha proseguito Alemanno
– ho visto persone che festeggiavano pacificamente la mia vittoria».

«Ingeneroso incolpare solo Rutelli della sconfitta».
«Oggi è ingeneroso scaricare la sconfitta della sinistra sulle spalle
del solo Rutelli. Dopo 15 anni ininterrotti di governo da parte dello
stesso sistema di potere non si poteva pensare di continuare per altri
cinque anni – ha affermato il nuovo sindaco di Roma – In città c’era
voglia di cambiamento. La candidatura di Rutelli è stata percepita come
una incapacità, da parte del centrosinistra, di rinnovamento
generazionale».

«Demonizzarmi è stato un boomerang».
«La campagna di demonizzazione fatta nei miei confronti si è rivelata
un boomerang per chi l’ha messa in piedi – ha detto Alemanno – Tutti
insieme dobbiamo impegnarci per compiere un salto di livello e gettarci
alle spalle gli strascichi del passato».

«Con i tassisti romani serve dialogo».
«Con i tassisti romani voglio ragionare insieme per migliorare il
servizio ai cittadini. Con il dialogo potremmo ottenere risultati
concreti, piuttosto che con riforme calate dall’alto come una scure –
sostiene Alemanno – I tassisti sono stati dei capri espiatori di una
liberalizzazione sbagliata».

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Sicurezza a Roma_3

 

Roma tra le città più sicure
Reati in calo, 20 mila in meno

Sensibile diminuzione delle denunce di delitti nel secondo semestre del 2007
di Massimo Lugli

Delitti in netto calo negli ultimi sei mesi del 2007. La capitale
si conferma una delle città più sicure d´Italia: il numero di
denunce di reati, già praticamente fermo rispetto al 2006, è in
netta diminuzione nell´ultima parte dell´anno. I dati forniti dal
Viminale confermano che la sicurezza è soprattutto una questione di
percezione più che di statistica. Alcuni episodi, particolarmente
brutali o shockanti, contribuiscono a creare un clima generale di
paura e diffidenza anche se i numeri generali dovrebbero, invece,
tranquillizzare.

La tendenza generale, nel nostro paese, è quella di un calo dei
reati nell´ultimo semestre dell´anno. Di fronte alle 2.805.171
denunce del 2006 nel 2007, da Aosta a Porto Palo, i delitti sono
stati 2.864.338 con un aumento di 59.167 reati ma, tra le due metà
dell´anno passato, si registra un´inversione di tendenza: un calo
di ben 105.822. Uno studio recente del sindacato dei bancari e
dell´Abi ha evidenziato come, nei primi tre mesi del 2008, le
rapine in banca (uno dei reati più comuni sia a Roma che in altre
città d´Italia) siano in ulteriore, notevole diminuzione dopo anni
di inarrestabile ascesa.

Ma veniamo alle cifre di Roma. Tra il 2006 e il 2007 i reati
restano, sostanzialmente, in pareggio: 272.866 denunce contro le
272.953 con un incremento di "soli" 87 delitti. Una tendenza che,
stranamente, la capitale condivide con Napoli. La sorpresa viene
dai numeri del secondo semestre rispetto al primo: ben 20.277
denunce in meno, dalle 146.615 del periodo gennaio-giugno alle
126.338 dei mesi luglio-dicembre. Quanto alla tipologia dei reati,
tra il 2006 e il 2007 aumentano (anche se in modo molto relativo)
gli omicidi volontari che passano dai 38 ai 40 (ma con una
percentuale molto elevata di delitti "familiari").

In crescita, purtroppo, anche le violenze sessuali (da 296 a 320
denunce di stupri di donne o minori) e le rapine che passano da
5.020 a 4.454. Anche in questo caso, però, il secondo semestre
dell´anno riserva una sorpresa rispetto al primo con una
diminuzione generalizzata dei reati: 4 omicidi, 12 violenze
sessuali e 286 rapine in meno. Molto difficile analizzare, invece,
i motivi di questa inversione di marcia: alcuni la attribuiscono
alla possibilità di espulsione di cittadini comunitari (il decreto
Prodi varato all´indomani dell´assassinio di Giovanna Reggiani)
altri a una politica più "mirata" della sicurezza.

Il confronto con le altre città, ad ogni modo, dovrebbe far tirare
ai romani un sospiro di sollievo perché Roma e provincia registrano
il calo più sensibile di reati rispetto agli altri capoluoghi
italiani. Quella di Milano è la provincia con il più alto numero di
delitti: 303.167 denunce nel 2007 contro le 292.600 dell´anno
precedente con un aumento di ben 10.567. Nel capoluogo lombardo la
diminuzione tra il secondo e il primo trimestre è a quota
18.535.

A Torino, la variazione tra i due anni è di 2.252 denunce (171.630
reati contro i 169.278 del 2006) e la diminuzione tra i due
trimestri è di 15.729 delitti. A Napoli, invece, la tendenza di
inverte e i reati scendono nel 2007 rispetto al 2006: da 146.418
denunce si passa a 143,791 con una diminuzione di 2.627 delitti.
All´ombra del Vesuvio la tendenza al calo tra i due semestri viene
ampiamente rispettata: 8.397 reati in meno. Anche a Bologna e
Firenze la statistica indica un aumento tra il 2006 e il 2007 e una
diminuzione del secondo semestre rispetto al primo. Tornando ancora
alla situazione nazionale, i dati del Viminale, nel raffronto
2006-2007, evidenziano una diminuzione generale degli omicidi (da
630 a 627) e degli stupri che scendono da 4.694 a 4.663 (ma in
questo caso il numero di violenze che non vengono denunciate resta
ancora molto significativo).

Aumentano, in tutta Italia, i furti (da 1.590.697 a 1.622,218), le
rapine "a domicilio" (da 2.134 a 2.504) e le estorsioni (da 5.659 a
6.177), tutti reati con un altissimo impatto sociale. Il
sostanziale "pareggio" della Capitale sembra già un traguardo
importante, anche a prescindere del calo degli ultimi mesi.

(30 aprile 2008) – da La Repubblica Roma.it
 
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Sicurezza a Roma_2

il 19% delle donne romane ha subito molestie sessuali
il 19% delle donne romane ha subito molestie sessuali

Cronaca: Il
19% delle donne intervistate afferma di aver subito molestie sessuali
negli ultimi tre anni, l’8% maltrattamenti fisici, il 20% violenze
psicologiche. È quanto emerge da una ricerca sul fenomeno della
violenza contro le donne realizzata, nella provincia di Roma, da
PublicaReS (società del gruppo Swg) per conto di Telefono Rosa.

L’indagine rientra in un progetto, la Consulta delle Province della
Regione Lazio, voluto dalla presidente della Commissione Sicurezza
della Regione Lazio, Luisa Laurelli, e dedicato ad analizzare
capillarmente la situazione della violenza contro le donne in ogni
provincia.

Il 58% delle donne tace sulla violenza subita

Il 58% delle donne tace sulla violenza subita
 

Secondo alcuni
risultati della ricerca, anticipati oggi prima della presentazione
complessiva mercoledì prossimo 19 dicembre, molte donne, il 58%, di
fronte alla violenza fisica provano un tale senso di frustrazione da
non riuscire a parlarne con nessuno. Molte di più, il 66%, nel caso di
violenza subita da un’amica, la inviterebbero a reagire e farsi aiutare
da strutture competenti, come i centri antiviolenza.
 
 
 
 
 
 
 
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Lettera a Veltroni

Carissimo Walter,
sono Stefania la mamma di Renato, dopo
aver visto l’ultima clamorosa sconfitta con Alemanno al balcone e mani
tese ovunque, ho chiuso la televisione e mai piu’ riaccesa.
Pensavo
di aver pianto tutte le mie lacrime invece no, in un attimo tutte le
coltellate si sono riaperte hanno sanguinato in maniera ancora piu’
copiosa, a quest’ora sono davanti al pc a chiedermi e richiedermi come e’ possibile, perche’ e’ accaduto, vorrei trovare soluzioni che non ho.
Lunedi’
ad Ariccia dove si svolgeva la partita di rugby con gli All Reds negli
spalti semivuoti sono arrivati 30 nazyskin, terrore tanto terrore…..
vale rischiare la vita per lo sport?.
Incontro tanti ragazzi nelle
scuole che con gli occhi lucidi mi chiedono…… come facciamo,
abbiamo paura. Cosa puo’ dire una madre una donna se non con un
sorriso… e’ vero figlio mio stai attento non andare solo guardati
sempre e, poi con dolcezza non far morire mai le tue idee sono un
patrimonio inestimabile credici sempre.
Sai Walter una donna se li
sente suoi, perche’ gli appartengono ma il crollo di tutto e’ grande,
la paura paralizza e  dire nella mia citta’  guardati sempre e’
terribile, ma non dai romeni o altri migranti, ma dai tuoi stessi
simili ragazzi come te, imbottiti di violenza.
In questi giorni mi
sono trovata a pormi sempre la stessa domanda, ma tu eri veramente in 
buona fede quando parlavi di equidistanza? che il fascismo in definitiva
non esiste piu’? sai e’ una mia esigenza personale lo devo sapere, non
posso credere che veramente hai abbandonato tutti questi fiori in mano
a dei criminali armati, i quali non sanno coniugare la parola amore,
dove in loro c’e’ solo odio.
Credimi sto piangendo, non voglio piu’ vivere in questo paese……. quanto vorra’ da chi CREDE a parole come DEMOCRAZIA, LIBERTA’, UGUAGLIANZA e PACE?.
Da
uomo e  politico dammi una risposta, ti abbiamo votato almeno alcune di
noi lo hanno fatto siamo andati tutti x Rutelli ed ora da dove
ricominciamo?
=========
Stefania Zuccari

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Aggressione di stampo fascista durante la partita di rugby All Reds Rugby Roma e l’ASD Ariccia

Il 27 Aprile, in occasione della partita ufficiale del campionato di serie C di rugby fra gli All Reds Rugby Roma e l’ASD Ariccia, si è resa necessariala temporanea sospensione dell’incontro per cause esterne all’eventosportivo stesso.
Vogliamo fare chiarezza su quanto accaduto per fugare ogni dubbio ed evitare che vengano mosse accuse pretestuose nei nostri confronti. La giornata sportiva che si svolgeva, come nella migliore tradizione rugbistica, in un clima di sereno agonismo con entrambe le tifoserie sedute
sugli spalti a sostenere correttamente le rispettive squadre, è stata turbata dall’incursione di una squadraccia fascista col chiaro intento diminare la sicurezza ed il sereno proseguimento dell’incontro.La premeditazione ed il fine intimidatorio dell’incursione sono dimostratidal numero e dagli atteggiamenti di tali personaggi: circa trenta persone sono arrivate all’improvviso con passo marziale e implotonati. Preceduti
ed avvertiti da tre complici, si appropriavano di una porzione della tribuna,alcuni minacciosamente celati da giacconi capienti ben serrati attorno al collo sino al mento, le mani coperte da spessi guanti di pelle nera nonostante il forte caldo, altri con magliette riportanti chiari simboli o fascisti.
Telecamera imbracciata, chiaramente non rivolta alla partita in corso, bensì alla identificazione dei giocatori, dei tifosi e delle loro autovetture. Le intenzioni minacciose della "squadraccia" sono state, infine, confermata anche dal fatto che, quando i dirigenti dell’Ariccia hanno annunciatol’arrivo della pubblica sicurezza, il gruppo si è dileguato così come era
apparso.Come All Reds ci siamo sentiti in dovere di tutelare l’incolumità delle tifoserie interrompendo l’incontro e, vista l’ostilità dei personaggi, non abbiamo ritenuto opportuno proseguire fino a quando ci fossimo assicurati che la partita potesse riprendere senza conseguenze per l’incolumità  fisica di chi si trovava sugli spalti (fra cui bambini ed anziani).
E’ inaccettabile che un gruppo di persone possa intervenire con tali modalità a provocare turbativa di una manifestazione pubblica, parte di un campionato ufficiale, con l’intento di intimidire una delle squadre in campo e le persone sugli spalti.Gli All Reds hanno sempre mantenuto e continueranno a mantenere uncomportamento sereno, limpido e sportivo e ci auguriamo che la società ASD Ariccia e la propria tifoseria possano comprendere quanto successo e che il nervosismo manifestato è stato unicamente il risultato della risposta che ci sentiamo di dare verso la provocazione di cui siamo, tutti, stati oggetto.invitiamo a riflettere sul fatto che sulle tribune erano presentiginitori, fratelli, amici, ragazze e figli di tutti noi, quindi il timoreper quello che sarebbe potuto succedere è stato più forte di tutto ciò checi ha sempre contraddistinto come squadra corretta e rispettosa dei  profondi valori del rugby.Ci sembra doveroso ricordare che la legge 20 giugno 1952, n. 645 vietal’apologia del fascismo ed il saluto fascista che, invece, sono stati
ripetutamente utilizzati sugli spalti durante una giornata di sport.

All Reds Rugby Roma

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«Pace e uguaglianza ecco i contenuti del nuovo antifascismo» di Vittorio Bonanni

«Pace e uguaglianza
ecco i contenuti

del nuovo antifascismo»
 
L´esultanza dei sostenitori di Alemanno (con
tanto di saluti romani) in Campidoglio
Reuters

Vittorio Bonanni
Braccia tese in piazza
del Campidoglio, croci celtiche e tutta l’iconografia più inquietante
della cultura fascista al governo della capitale. Forse non sarà proprio
così, o almeno ce lo auguriamo, ma certamente la vittoria
dell’"estremista" Alemanno, nuovo sindaco di Roma, sconcerta. E
sconcerta, almeno emotivamente, ancor più della vittoria della destra
alle elezioni politiche, evento al quale siamo ormai tristemente
abituati dal 1994. Su questo scenario desolante che si sta configurando
nelle piazze e nelle strade della principale città d’Italia, ma non solo
vista per esempio la vittoria storica della destra anche a Brescia,
abbiamo raccolto il parere di Alessandro Portelli, già consigliere
delegato del Sindaco di Roma per la tutela e la valorizzazione delle
memoria storiche della città e docente di letteratura americana alla
facoltà di Scienze umanistiche dell’Università La Sapienza. «Credo che
dobbiamo temere in primo luogo la tracotanza che già hanno manifestato
le frange più fasciste dell’elettorato di Alemanno – dice Portelli – le
quali hanno già mandato un segnale molto chiaro. A Roma si erano
verificate in varie occasioni delle aggressioni e questo è certamente un
dato molto preoccupante. E poi a me sembra che possa venir meno anche
uno degli elementi positivi delle precedenti giunte di sinistra, le
quali sono riuscite a dare a Roma un respiro da grande capitale
internazionale, trasformandola in una città presente sulla scena
internazionale. Ho l’impressione che questo cambio della guardia ci
risbatta con forza all’interno di una dimensione provinciale».

Come si muoverà nell’immediato il nuovo sindaco?
Non credo
che ci saranno subito episodi clamorosi. I ventimila espulsi sono una
cosa già promessa nel corso della campagna elettorale. Credo però che
già in tempi medi il tessuto della città subirà dei cambiamenti
radicali.

C’è tuttavia da chiedersi quale interesse possa avere
Alemanno a mantenere in vita le frange più estremiste e
nostalgiche…
E infatti per questo parlo di una gradualità della sua
azione politica. Non mi aspetto, come dicevo, cose spaventose. Credo
invece che ci sarà soprattutto uno scadimento del ceto politico. Quello
che temo insomma non è tanto l’ideologia politica di Alemanno ma la
pochezza delle gente che lo circonda. E quindi l’idea che queste figure
di bassa qualità nel governo della città faranno sicuramente dei danni
anche se non si abbandoneranno ad azioni punitive. Le quali comunque
prima o poi avverranno.

Come è noto Alemanno rappresenta quella
destra sociale, attenta appunto alle esigenze dei ceti meno abbienti.
Che ruolo può aver giocato nella sua vittoria questo
aspetto?
Certamente loro hanno realizzato una politica di vicinanza,
di radicamente sul territorio e anche di concreta attenzione alle
esigenze delle persone, molto più di quanto non abbia fatto la sinistra.
Un po’ come la Lega nel nord. Su questo non ci piove e su questo si è
perso.

Uno studio del Censis ha tentato di spiegare le ragioni
che hanno spostato l’Italia nettamente a destra. Il declino di valori e
ideali, la necessità di un leader in grado di creare consenso. In tutto
questo il valore dell’antifascismo, elemento fondativo della nostra
repubblica, sembra ormai definitivamente sotterrato. Giustamente qualche
giorno fa Giovanni De Luna scriveva che gli unici partiti che si
richiamavano ancora a quegli ideali sono stati spazzati via del
parlamento. Che cosa dobbiamo fare per riscattare una democrazia, come
quella italiana, in piena crisi, privata di tutti i contenuti ancora
presenti, non si sa ancora per quanto, nella nostra
Costituzione?
Penso innanzitutto che in questo momento l’antifascismo
non è più senso comune. E quindi se vogliamo mantenerne il significato
credo che dobbiamo ricostruire i suoi contenuti e i principi, più che
richiamarci ad una logica di schieramento. Per questo credo che il
lavoro sulla memoria serva soprattutto se noi riusciamo a ridare il
senso delle ragioni di quella storia. Certo, in questo momento mi sento
come facente parte di una sorta di riserva indiana. Nel Partito
democratico hanno veramente ritenuto che queste cose fossero ormai
vecchie, superate. E il risultato è stato che l’unica ideologia del 900
che è viva e vegeta è quella della destra e del fascismo. Noi non
abbiamo più socialisti e comunisti in parlamento, ma i fascisti sì.

A proposito di memoria sarà sempre più difficile trasmetterla ai
più giovani e far capire loro come è andata una storia che rischia di
essere riscritta completamente…
Faccio un esempio. Mi hanno
invitato a Roma, in un liceo, a parlare di Resistenza. Ma non ho la
minima idea di come parlarne e non so neanche più a chi parlerò. C’è
dunque molto su cui dobbiamo riflettere, perché appunto su queste cose,
sui principi fondamentali della convivenza civile stabiliti dalla
Costituzione antifascista, non possiamo cedere.

Ma come
resistere? A questo punto l’interrogativo è enorme, visto che anche in
casa nostra c’è chi ritiene che l’antifascismo sia un tema superato,
almeno nelle forme in cui è stato proposto finora…
E infatti non
dobbiamo riproporre l’antifascismo in termini ideologici. Perché dire
che Alemanno è fascista ormai non spaventa più nessuno. Dobbiamo
riprendere quei concetti in termini di contenuto. Interrogarci su cosa è
oggi o che cosa può essere oggi l’antifascismo. E’ i diritti, è
l’uguaglianza, è la partecipazione, è la pace. Insomma dobbiamo
insistere più sui contenuti dell’antifascismo piuttosto che sulle
etichette per poter ragionare con la massima chiarezza.

Sempre
tornando alle interviste realizzate dal Censis emerge con forza la
richiesta di un leader, di un capo. Insomma, lungi dal venir meno, la
personalizzazione della politica è ormai un dato acquisito, che può
portare a scenari presidenzialisti inquietanti visti gli attori in
campo. E il caso di Alemanno, finalmente un uomo forte pronto a
garantire la sicurezza dei cittadini, non sfugge a questo
ragionamento…
E la sinistra, o almeno quella che una volta si
chiamava sinistra, ancora una volta deve fare mea culpa perché si è
fatta a suo tempo attiva promotrice dell’ipotesi presidenzialista. Si
sono chiamati riformisti ma le uniche riforme che hanno realizzato
riguardano i meccanismi politici in cui sempre più viene tagliata la
dimensione democratica della rappresentanza. Io credo che su questo
sarebbe necessaria una forte autocritica ma ho l’impressione che invece
penseranno a raddoppiare la dose. In questo senso però c’è
un’autopreservazione del ceto politico che riguarda anche la Sinistra
l’Arcobaleno e che prende il sopravvento sulla necessaria riflessione
che tutti dobbiamo fare. E’ necessario a questo punto un rimescolamento
delle identità, delle appartenenze e degli schieramenti. Mi sembra un
fatto necessario per ricominciare puntando sulle persone che meno sono
state coinvolte in tutte queste
vicende.

30/04/2008

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Le foibe e il fascismo

Corriere della sera –
Domenica 27 Aprile 2008

 

Il caso – Lo
scrittore triestino-sloveno pone il problema delle responsabilità per la
pulizia etnica

Pahor  riapre la
polemica sulle foibe

 

“Silenzi sugli eccidi del Duce: potrei dire no a
un’onoreficenza della Repubblica”

Marisa Fumagalli

 

La reazione “politicamente scorretta” di un grande vecchio
della letteratura di confine , scoperto e acclamato in tempi troppo recenti,
resuscita i fantasmi del passato e crea un “caso imprevisto”. Mettendo perfino
in imbarazzo le istituzioni.

Succede, dunque che Boris Pahor, nato a trieste nel 1913,
sloveno ma di cittadinanza italiana (“me la imposero, durante la dittatura di
Mussolini”). Sulla cresta dell’onda perché il suo libro Necropoli, scritto quarant’anni fa nella lingua madre, è stato
tradotto, rilevandoci l’esperienza più drammatica della sua vita (la detenzione
nel lager nazista di Natweler-Struthof) oltre alle sue qualità di letterato,
abbia quasi  preventivamente rifiutato una
proposta di onorificenza. “Stenterei ad accettarla-ha detto- da un presidente
della repubblica che ricorda soltanto le barbarie commesse dagli sloveni alla
fine della Seconda Guerra mondiale, ma non cita le precedenti atrocità dell’Italia
fascista contro di noi”. L’amarezza di Pahor nasce dal fatto che il capo dello
Stato , nel Giorno del ricordo del 2007 ed anche nel febbraio scorso, non cita
“le fucilazioni degli ostaggi sloveni e i crimini dei campi di concentramento
italiani”. Sottacendo così una parte di storia.

“ Il suo mi sembra un giudizio eccessivo, uno sguardo troppo
stretto sulle parole di Napolitano”, commenta con un certo disagio, colui che
ha avuto l’idea di premiare Pahor. E’ il sottosegretario (uscente) agli
interni, Ettore Rosato (Pd), che, durante la cerimonia del 25 Aprile, alla
Risiera di San Saba, ha pensato di compiere un bel gesto annunciando l’iter per
il riconoscimento onorifico. Aggiunge:” O il Giorno del ricordo è dedicato alle
foibe, su quella tragedia mise l’accento il presidente. Di antifascismo si è
parlato tante volte”. E il sindaco di Trieste, Roberto Di piazza (Pdl), pur apprezzando
lo spirito libero di Pahor”intellettuale onesto” invita a superare il passato,
forte del processo di pacificazione tra sloveni e italiani.

Il grande vecchio è d’accordo, ma nel merito della polemica
non arretra di un millimetro. “ Qui nella Venezia Giulia, il clima, certo è
rasserenato – osserva -. Ciò mi sta bene. Ma la storia è storia. E non è
accettabile che il capo dello stato pronunci, come ha fatto, a proposito delle
foibe, parole che rievocano “i delinquenti sanguinari slavi” senza dar conto
dell’oppressione fascista, della barbarie etnica, che la precedettero. Inoltre,
-continua- Napoletano sa bene che i comunisti italiani, allora , erano
complici. Che furono loro a dare ai partigiani jugoslavi i nomi di coloro che
andavano eliminati”.

Espressioni forti, nette. “ Non posso distruggere metà della
mia gioventù” riflette Pahor. Poi torna sulle ombre del passato che, oggi, la
politica tenta di dissipare: “ Ricordo bene quando, tempo fa, vennero a Trieste
Luciano Violante e Gianfranco Fini. Si misero d’accordo, nel non attaccarsi a
vicenda—-Comunque sia , le condizioni per un’eventuale onorificenza sono
queste: dev’essere citato , non solo il mio libre Necropoli, ma anche le atre opere letterarie. Il rogo nel porto, per esempio. Dove si raccontano i crimini
fascisti. Chiedo-conclude- che l’espressione crimini fascisti venga scritta,
nero su bianco”.

Arriverà o no per Pahor il cavalierato della Repubblica?
Vederemo . Candidato al Nobel, lo scrittore triestino l’anno scorso fu
insignito della Legion d’onore di Francia, paese dove da tempo è una celebrità.
Ora è il suo momento italiano: per lui si prospetta un’altra onorificenza.
Elido Fazi, editore di necropoli, ha promosso una raccolta di firme, affinché
gli venga attribuita, nell’ambito dello Strega, la “ menzione d’onore”. Il
premio non potrebbe vincerlo. Il regolamento prevede che le opere in concorso
siano scritte in lingua italiana.

 

 

 

La storia- Alle
origini della tragedia

 

I fascisti inventarono le fosse poi le vittime furono
italiane

di Predrag Matvejevic

 

Ho scritto sulle vittime delle foibe anni fa in ex
Jugoslavia, quando se ne parlava poco in Italia. Ero criticato. Ho avuto modo
di sostenere gli esuli italiani dell’Istria e della Dalmazia ( detti con un
neologismo caratteristico “esodati”). L’ho fatto prima e dopo aver lasciato il
mio paese natio e scelto, a Roma, una via fra “asilo ed esilio”.
Condivido il cordoglio italiano, nazionale e umano , per le vittime innocenti,
espresso giustamente e senza ambiguità da presidente della repubblica Giorgio Napolitano.

Si , le foibe sono un crimine grave. Sì la stragrande
maggioranza di queste vittime furono proprio gli italiani. Ma per la dignità di
un dolore corale bisogna dire che questo delitto è stato preparato e anticipato
anche da altri, che non sono sempre meno colpevoli degli esecutori degli “infoibamenti”.

La tragica vicenda è infatti  cominciata prima, non lontano dai luoghi dove
sono stati poi  compiuti quei  crimini atroci. Il 20 settembre del 1920
Benito Mussolini tiene  un discorso a
Pola ( e non è stata certo casuale la scelta della località). E in quell’occasione
dichiara: “ per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico, che è
un nostro golfo, sia in mano nostre, di fronte ad una razza come la slava ,
inferiore e barbara”. Ecco  come entra in
scena il razzismo, accompagnato dalla “pulizia etnica”. Gli slavi perdono il
diritto che prima, al tempo dell’Austria avevano, di servirsi della propria
lingua nella scuola e nella stampa, il diritto della predica in chiesa e
persino quello della scritta sulla lapide nei cimiteri. Sì, cambiano
massicciamente i loro nomi, si cancellano le origini, li si costringe ad
emigrare…

Ed è appunto in un contesto del genere che si sente
pronunciare , forse per la prima volta, la minaccia della “foiba”. E’ il
ministro fascista dei Lavori pubblici Giuseppe Coboldi Gigli, che si era
affibbiato da solo il nome vittorioso di “Giulio italico”, a scrivere nel
1927:” La musa istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura per chi
nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria (da Gerarchia IX 1927). Affermazione alla
quale lo stesso ministro aggiungerà anche i versi di una canzonetta dialettale
già in giro:”Pola xe l’Arena, la Foiba xe
a Pisin
”.

Le foibe sono dunque un’invenzione fascista. E dalla teoria
si è passati alla pratica. L’ebreo Raffaello Camerini, che si trovava ai “lavori
coatti” in questa zona durante la seconda guerra mondiale testimonia nel giornale
triestino Il Piccolo (5 novembre 2001):” Sono stati i fascisti i primi che
hanno scoperto le foibe ove far sparire i loro avversari”. La vicenda “ con
esito letale per tutti” che racconta questo testimone, cittadino italiano, fa
venire i brividi.

Le camicie nere hanno eseguito numerose fucilazioni di massa
e di singoli individui. Tutta una gioventù ne rimase falciata in Dalmazia,
Slovenia, in Montenegro. A ciò bisogna aggiungere una catena di campi di
concentramento, di varia dimensione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud
dell’Adriatico, fino ad Arbe, di fronte a Fiume. Spesso si transitava in questi
luoghi per raggiungere la risiera di San Saba a Trieste e, in certi casi, si
finiva anche ad Auschwitz e soprattutto a Dachau. I partigiani non erano protetti
in nessun Paese dalla Convenzione di Ginevra e pertanto i prigionieri venivano
immediatamente sterminati come cani. E così  molti giunsero alla fine della guerra
accaniti:”infoibarono” gli innocenti, non solo di origine italiana. Singole
persone esacerbate, di quelle che avevano perduto la casa e la famiglia, i
fratelli e i compagni, eseguirono i crimini in prima persona e per proprio
conto. La Jugoslavia di Tito non voleva che sene parlasse. Abbiamo comunque
cercato di parlarne. Purtroppo, oggi parlano a loro modo soprattutto i nostri
ultranazionalisti, una specie di “neo-missini” slavi.

Ho sempre pensato che non bisognerebbe costruire i futuri
rapporti in questa zona sui cadaveri seminati dagli uni e dagli altri, bensì su
altre esperienze. Ad esempio culturali… Non mi sembra giusto proclamare solo un
“giorno del ricordo”, sarebbe meglio il giorno dei ricordi. Aggiungo infine che
capisco Boris Pahor. Lui, da lavo e sloveno, come anche Zoran Music, un caro
amico defunto, grandissimo pittore, ad un tempo sloveno e veneziano, ci sono
stati nei campi di sterminio fascisti………

(traduzione di Silvio
Ferrari)

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Bolzano – Blitz contro gruppo neonazista


Blitz contro gruppo neonazista
Sedici arrestati tra i 16 e i 27 anni

Agli indagati sono contestati almeno otto episodi di violenza per motivi
razziali
Gli affiliati dell’associazione si riunivano in una costruzione in legno nel
bosco di Saltusio

BOLZANO – Sono accusati di incitamento alla discriminazione, odio e
violenza, per motivi razziali, etnici e nazionali: 16 giovani tra i 16 e i
27 anni sono stati arrestati dalla polizia di Bolzano sta eseguendo a
Merano, Scena, Tirolo, Lagundo e dintorni nell’ambito di un’operazione che è
stata chiamata Odessa, dal nome del piano predisposto dai nazisti con la
caduta di Hitler per mettere in salvo all’estero i gerarchi del Terzo Reich.

L’operazione, condotta dalla Digos della questura di Bolzano, arriva dopo
una complessa ed articolata indagine che ha individuato un consolidato e
consistente gruppo neonazista sudtirolese. Al gruppo sono contestati in
particolare 8 episodi di violenza (lesioni personali e intimidazioni)
consumati ai danni di giovani italiani e stranieri ritenuti dalle persone
indagate ‘diversi’ per motivi etnici, razziali e sociali.

Le indagini hanno permesso di ricostruire l’inquadramento gerarchico
all’interno del gruppo, i cui vincoli ‘camerateschi’ si rinsaldavano
sistematicamente attraverso contatti quotidiani, con incontri nella zona
boschiva di Saltusio dove veniva utilizzata una costruzione in legno (sulla
porta d’accesso la scritta ‘ein tirol’) con tutte le dotazioni iconografiche
tipiche della ideologia espressa dal gruppo (drappi, emblemi nazisti
inneggianti al reich tedesco, bandiere di guerra della marina tedesca, ecc.)
o in incontri rituali finalizzati a consacrare l’ingresso formale nel gruppo
di nuovi affiliati che in qualche modo restavano ‘affascinati’ da tali
modalità simboliche e immaginifiche.

Il gruppo era in contatto con movimenti di estrema destra attivi in Austria,
Svizzera e Germania . Nel corso dell’operazione, condotta anche con
l’ausilio del reparto prevenzione crimine di Padova, sono state eseguite
anche numerose perquisizioni domiciliari.

(17 aprile 2008)

Da
http://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/cronaca/neonazisti-bolzano/
 

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De la démocratie en Amerique, di Alexis De Tocqueville, 1840

«Può
tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a
mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella
vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il
gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civilità e
dell’abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano
trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per
conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo
stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In
casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui
godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri… Se un individuo abile e
ambizioso riesce a impadronisrsi del potere in un simile momento critico,
troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un
po’ di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del
resto. Che garantisca l’ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo
il solo mantenimento dell’ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del
suo benessere e da un momento all’altro può presentarsi l’uomo destinato ad
asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri
affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere. Non è raro
allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da
pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono
in mezzo all’universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa:
cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si
può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli
possa cadere un grande popolo».

 

Da: 
De la démocratie en Amerique,  di Alexis De Tocqueville,
1840.

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CHI FABBRICA I NAZISTI? di Wu Ming

CHI FABBRICA I NAZISTI?

Violenza
nera, fascino del male e fallimento della Legge Mancino

di Wu Ming

 

1

Alla
carogna verminosa di Augusto Pinochet, in
memoriam

 La spina
dorsale di quest’intervento è una serie di appunti presi dal sottoscritto (o
meglio, dal mio alter ego) nel 1992 e 1993, e messi in circolazione nelle
primitive reti telematiche dell’epoca.
Rinvenuti su un vetusto floppy mentre cercavo altro (che non ho trovato), li
ripropongo come reperto e pre-testo perché, a dispetto delle mille ingenuità e
della fraseologia schizo-situ-estremistoide, li ritengo in gran parte attuali.

Più attuali
di quando furono scritti.

 Il 1992-93 è considerato, da chi lo ricorda,
un biennio terribile di aggressioni, lame fasciste, centri sociali incendiati.
Quella "naziskin" (che gli skin originali chiamano però
"bonehead") era la sottocultura giovanile più discussa e
rappresentata nei media. In quella temperie nacquero canzoni come “Rigurgito
antifascista” dei 99 Posse (descrizione realistica del clima che si viveva) e
libri come “Skinhead” di Riccardo Pedrini [poi "Wu Ming 5"]
(tentativo donchisciottesco di far capire che gliskin non sono tutti nazi). Non
era un problema solo italiano: l’intera Europa si interrogava su comeaffrontare
il problema. E i Sonic Youth incidevano Youth Against Fascism: "E’ la
canzone che odio / è la canzone che odio".

 E’ del
giugno 1993 la cosiddetta "Legge Mancino" (n.205/93) sull’istigazione
all’odio razziale, che i giornali strombazzarono come "legge
anti-naziskin" e sulla quale non pochi si fecero illusioni.
Uno sparuto drappello di scettici cercò di far notare che non sarebbe servita a
nulla, perché mettere fuori legge parole ed enunciati equivale a cercare di
fermare l’acqua con una forchetta, e anche perché – aggiungevano i maligni – ha
poco senso aspettarsi che il controllato faccia il controllore. Il numero di
neofascisti all’interno delle forze dell’ordine garantiva la chiusura di più di
un occhio a destra, mentre si continuava a manganellare e sgomberare a manca.
Quod erat demonstrandum, demostratus est. Altri osservatori andavano ancor più
in là, dicendo che la legge avrebbe contribuito a peggiorare le cose, conferendo
ancor più fascino maligno a naziskin e camerateria. Chi va in cerca di un’attitudine
"antisistema" non si scoraggerà per la sua messa al bando, anzi, è
probabile che la cosa lo entusiasmi. Al primo riluttante sequestro di
volantini, alla prima perquisizione all’acqua di rose in una sede d’ultradestra,
la legge avrebbe trasformato in ribelle e finto martire anche il più scalzacane
dei nazistelli di quartiere. Aggiungici una diffida dallo stadio, ed ecco uno sfigato
tramutato in eroe e role model per i
ragazzini. I fought the law. Certamente
la legge Mancino non è la causa principale di quel che accade oggi, però
possiamo dire senza tema di smentita che:

1) non è servita
assolutamente a niente;

2) la
situazione è senz’altro peggio di com’era nel ’92-’93, con un’importante
differenza: ieri i media amplificavano, oggi tacciono o al più minimizzano.
Cinque anni di governo post-fascista si fanno sentire tutti. La violenza
d’ultradestra è all’ordine del giorno (e soprattutto della notte). Non si
contano, negli ultimi tre anni, accoltellamenti, pestaggi, aggressioni, incendi
e attentati di vario genere. L’elenco è impressionante, basta dare un’occhiata
all’ Archivio delle aggressioni fasciste 2005 e all’ Archivio delle aggressioni
fasciste 2006, curati dai compagni di ecn.org/antifa. Ferme restando gradazioni
e differenze, oggi intere curve di stadio, interi quartieri, intere città sono
"zona nera", politicamente, culturalmente, antropologicamente. Torna
a testimoniarlo la toponomastica: è del tutto normale dedicare vie o piazze ad
Almirante, a Balbo, a Pavolini, a Graziani. Alla faccia del "brodo di
coltura"! Ci si straccia le vesti per giorni ogni volta che qualcuno
(senza peraltro passare a vie di fatto) grida uno slogan su Nassiryah. Si
continua a parlare della "violenza rossa" di trent’anni fa. Si
imbastiscono grandi operazioni editoriali e mediatiche sulle vittime dell’antifascismo
di ogni epoca. E intanto la violenza nera di oggi, di stanotte, è occultata in
modo sistematico.

Davide
"Dax" Cesare (a Milano) e Renato Biagetti (a Ostia) sono già stati uccisi
da fascisti di varia natura. La lista corre il pericolo di allungarsi, se non
ci si rende conto del problema. E il problema è la classica candela che brucia
da due lati. Perché uno diventa fascista, nazista o comunque lo si voglia
definire? Se non ci interroghiamo su questo, non capiremo nemmeno per quale
motivo la condanna istituzionale, il bel discorso democratico, il divieto, la proibizione,
lo spauracchio dell’azione legale… tutto questo non solo non serve, ma
ottiene l’effetto contrario. Del resto, il fenomeno neo-nazi non si sta
ripresentando con rinnovata virulenza proprio in Germania, il Paese europeo con
le leggi più severe e restrittive? E
la
Francia
,
la nazione della legge Gayssot contro il negazionismo e di altre leggi che
cercano di sopprimere enunciati, non è forse il paese in cui il neofascismo è
divenuto emergenza addirittura costituzionale, e in cui l’antisemitismo si
riaffaccia
in forme ogni volta più perniciose? Insomma: chi fabbrica i nazisti? Ma soprattutto: chi sono oggi i nazisti? Li
conosciamo davvero? E loro conoscono se stessi? E non sarà che la forchetta non
ferma l’acqua anche perché non è ben chiaro quali siano, questi enunciati che
si vorrebbero sopprimere? Non sarà che, anziché a un ordinato mini-sistema
solare di enunciati-pianetini che girano nelle loro orbite ordinate e
prevedibili, ci troviamo invece di fronte a una nube quantica di segni, di
enunciati in perenne oscillazione"? In fin dei conti, è facilissimo
"camuffare" l’istigazione all’odio razziale. E’ facile far rientrare
enunciati nazisti nei confini del discorso "accettabile". Tutti elementi
per la discussione. Invito a mandare commenti, ché riprenderemo il discorso.

Intanto,
gli appunti. Il primo stralcio è datato 24/11/1992, il secondo gennaio ’93, il
terzo 8/9/1993.

 1

"Perché
chiamare nazisti questi ragazzotti? Sono rozzi, folkloristici, plebei. Devono
studiare, dirozzarsi. Loro non riflettono, non meditano. E invece servono
soldati disciplinati: inizia l’epoca delle guerre razziali. Al colore
dell’ideologia si sostituirà quello della pelle" Franco Freda, da Epoca,
18/11/1992

Appunto: i
naziskin (intesi come soldataglia, base, "corpo militante") non meditano
né studiano. Non è stata certo un’analisi approfondita e convincente della
società a fare di loro un aggregato e una comunità, come invece piacerebbe
all’aristocratico Freda (e alla Nuova Destra di Tarchi, che li definisce
addirittura "paccottiglia umana"). Su questi ragazzini 17-18enni si è
esercitata per anni la capacità istituzionale di suscitare in negativo un
immaginario vincente, di definire una sottocultura che portasse alla luce e
valorizzasse, in un apparente rifiuto della massificazione e della miseria
quotidiana, tutte le peggiori pulsioni razziste, sessiste, scioviniste che
fanno del sociale una cloaca, il cui puzzo era ieri appena temperato dal
persistere di ideologie universalistiche come il marxismo, il liberalismo, il
solidarismo cattolico…

 Anni di
antifascismo bolso, retorico e "ufficiale" da parte della "Repubblica
nata dalla Resistenza", anni di schifezze da "arco costituzionale",
di propaganda maldestra e demonizzante – e, in definitiva, realmente
massificante – da parte di Hollywood o di Cinecittà, hanno fatto del nazista un
eroe negativo, ne hanno circondato la figura di vitalismo e di dannazione, un
angelo caduto la cui sagoma maledetta si stagliava beffarda sopra e contro il
quieto vivere quotidiano. E’ così sorprendente che le frustrazioni, il
malessere, la voglia di muovere le gambe e le mani di un lunpenproletariat giovanile o di una piccola borghesia fottuta e proletarizzata
trovino proprio in questa subcultura (laida ma dalla facciata splendente)
simboli ed espressioni?

 Ricordo che
la gente che disegnava le svastiche al mio liceo nella metà degli anni ‘
80 in realtà non ne sapeva un cazzo:
capiva che la simbologia nazista era un tabù e che disegnarla era andare in
qualche modo "contro". Oggi la cosa è andata incancrenendosi: l’immaginario
suscitato da una croce uncinata – simbolo dalla pregnanza icastica
indiscutibile, e proprio per questo il più antico del mondo – è suggestivo
proprio perché la "comunità democratica" (il cui linguaggio è
immediatamente identificato col Potere, è il linguaggio dei telegiornali, del
Preside della tua scuola, di Biscardi al "Processo del lunedì"…)
dichiara di provarne repulsione. Più la noiosa Miriam Mafai incita le forze dell’ordine
alla repressione, più si sprecano aggettivi di deprecazione
("orribile", "spaventoso", "agghiacciante", "ripugnante")
da parte del giornalismo sportivo, e più chi espone striscioni razzisti si
convince di essere contro il sistema. E’ questo che intendevo più sopra con
"capacità istituzionale di suscitare in negativo un immaginario
vincente". Dato per scontato che allo Stato i nazi servono (Ordine
pubblico, regolazione dei flussi immigratori…) non sarà questo il gioco dello
spettacolo? Non sarà una mossa suicida – dal punto di vista dello sviluppo di
una coscienza veramente antagonista – chiedere che "le Autorità"
condannino, impediscano, si dissocino, etc.?

Se ad
impedire a David Irving di tenere una conferenza non sono i compagni, la gente,
gli ebrei autorganizzati, ma la Polizia che lo blocca all’aeroporto, allora
l’ultimo dei cretini rapati lo pensera’ un reietto, un perseguitato, etc…E si
crederà antagonista e trasgressivo per il fatto di stare dalla sua parte […]

Abbiamo
sottovalutato, in nome della Storia e della sua dialettica , il divenire
incostante e inafferrabile della Memoria, la sua manipolabilità, l’estrema
scomponibilità del suo non-quadro. Abbiamo pensato che la realtà fosse
pienamente attingibile con la parola, la scienza, gli strumenti della Ragione
("logocentrica", direbbe Derrida), e di fronte al Mito siamo rimasti disarmati.
Quando lo abbiamo denunciato, lo abbiamo fatto ancora in una prospettiva non
pienamente antiideologica, senza saper scardinare il suo impianto aggregativo,
la sua capacità di produrre comunità.

 Se da un
giorno all’altro potessimo liberarci dei nostri cascami teorici, realizzando
pienamente l’importanza dell’ordine simbolico, delle pulsioni, dell’economia
libidica, allora potremmo pensare a come detournare la violenza skinhead dentro
e contro la classe in violenza della classe contro – stavolta davvero contro –
lo stato , il capitale e i linguaggi dominanti

 
2

[…] la
destra radicale non ha mai inventato nulla, limitandosi a recuperare e
corrompere le forme di espressione-comunicazione dei movimenti realmente
antisistemici ( la forma organizzativa del"Fascio", la bandiera nera
degli anarchici…). Questa verità è già contenuta tutta nel termine "controrivoluzione",
e dovremmo insospettirci quando sentiamo qualcuno prendere le distanze dalla
"destra classica", dalla "destra tradizionale": noi
sappiamo che non esiste una destra "classica"; nel corso del XX
secolo i fascismi -che si presentassero come movimenti o come regimi – hanno instaurato
una tradizione mutagena, sempre rimanipolabile; non hanno mai avuto forme
"pure" di discorso, sempre aperti a rappresentare le trasformazioni
nel rapporto di capitale (quando al potere, nei linguaggi del Diritto e della
Propaganda; quando all’"opposizione", nella tenzone ideologica). L’informe
"area storica" della destra radicale ha ruminato imperturbabile prima
il sansepolcrismo ( la retorica socialisteggiante e anticlericale), poi Hegel
filtrato da Gentile, ma anche il misticismo paganeggiante, l’"idealismo
magico" di Evola e l’oscurantismo di Meister Eckhart, e poi -finissima
acrobazia!- il tradizionalismo cattolico […] , passando nel frattempo
dall’imperialismo eurocentrico e conclamatamente razzista al "culturalismo
antropologico" post-Lévi-Strauss, fino all’apparente antioccidentalismo.
Un eclettismo talmente spericolato da farci dubitare dell’esistenza di
"modelli" a cui ricondurre le odierne teorie della N[uova] D[estra] o
da cui essa possa prendere le distanze […]

 Tutto ciò
va sicuramente detto, ma non basta se non ci si inquadra nel contesto generale
dei rapporti tra istanze politiche, economiche e ideologiche […]
La N.D. così non può essere considerata
solo un’area di dibattito, un’esoterica corrente teorico-politica: essa incarna
perfettamente le caratteristiche dell’innovazione dello spettacolo, forgia
discorsi di guerra che rielaborano in forma "nobile" ciò che la
"gente" già pensa (es. cita il Lévi Strauss di "Razza e
storia" per dire che "ognuno deve stare a casa sua", e lo chiama
"antirazzismo differenzialista"!). Discorsi che, nelle diverse forme
"nobili" o "ignobili", si spandono a macchia d’olio in
tutti gli ambiti, dal Bar Sport alle aule universitarie a quelle di tribunale. Seguire
la N.D. non è quindi una perdita di tempo, l’espressione di una vis
speculativa da intellettualini […]

 La cazzata
degli "opposti estremismi", degli estremi che si toccano, etc.
-portata a dignità teorica da Hannah Harendt e da tutti i successivi discorsi
sul "totalitarismo"- non è che la descrizione strumentale di una situazione
in realtà non infrequente; Jean Pierre Faye, in alcune opere dove a scanso di
equivoci veniva rigettato qualsiasi tentativo di assimilare violenza rossa e
violenza nera, descriveva lo scambiarsi di alcuni "enunciati" tra
comunisti e destra nazionalista durante Weimar, per il tramite delle varie
sette nazionalrivoluzionarie, nazionalbolsceviche etc…

 Esisteva in
Germania una "curvatura dello spazio semantico proprio alle forze
politiche […] oltrepassata da un modo di enunciazione molto strano, situato
proprio nella parte centrale che collega i poli estremi senza passare dal
centro […] Un ‘campo di forze’: non una zona di chiacchiere, ma un luogo dove
delle forze circolano e oscillano pericolosamente, fra due poli
incompatibili" (Critica ed economia del linguaggio, Cappelli, Bologna 1979).

Nazionalrivoluzionari
come Ernst Junger erano considerati, da benpensanti e conservatori, persino
"al di là" dei nazisti, ancora più inquietanti e pericolosi. Ancora
più "a sinistra" di Junger -stiamo sempre parlando di uno "spazio
vuoto" tra i poli estremi, di un "altrove" rispetto al discorso politico
ufficiale-, c’era il "Nazionalbolscevismo" di Ernst Niekitsch, intenzionato
a combattere
la KPD alleandosi però con l’Armata Rossa
–e questa era anche la posizione dell’"estrema sinistra" della NSDAP.

 E ancor più
"a sinistra", fino alla contaminazione degli enunciati, stava la scheggia
impazzita Richard Scheringer, uomo-simbolo della propaganda nazista che nel
1931 passò da Hitler al Partito Comunista poiché riteneva quest’ultimo più
intenzionato a lottare "per la liberazione nazionale e
sociale del popolo tedesco". E qui sta il punto, secondo Faye: "In
qualche modo egli accredita così all’estrema sinistra il sintagma ‘nazionalsociale’.
Tentando di spostare la credibilità dei nazisti a
profitto dell’estrema sinistra marxista e affermando che il nazismo è troppo ‘pacifista’
ai suoi occhi, in rapporto ai mezzi violenti necessari ad una rivoluzione
nazionale, in effetti opererà a sua insaputa a vantaggio del polo stesso da cui
si è appena allontanato […] Egli tende a dimostrare che l’impero del
nazionalsociale si estende fino al polo di estrema sinistra, ma che all’interno
di questo campo e grazie al suo enunciato, i nazisti fanno la figura di
personaggi più ‘misurati’, meno violenti, più degni di stima e più rassicuranti
agli occhi del piccolo borghese tedesco o dell’uomo del
giusto mezzo" (cit.)

 […] Ora,
noi siamo in un’altra situazione e su una scala considerevolmente ridotta;
eppure l’episodio dovrebbe insegnarci molte cose. Lo scambiarsi e confondersi
dei diversi enunciati è reso oggi ancora più possibile, poiché sono
innumerevoli gli angoli vuoti creati dalle curvature nello spazio transpolitico.
Le interzone sono luoghi molto pericolosi, anche se è importante starci dentro.
Sicuramente è da lì che uscirà tutto ciò che, bene o male o al di là di
entrambi, costruirà il nostro quotidiano negli anni a venire, quotidiano che
sarà ancora una volta nostro compito sovvertire. Ma per farlo dovremo essere
lucidi, saper distinguere i nostri enunciati da quelli del differenzialismo
identitario, saper scardinare la sintassi del linguaggio dominante.

 

 3

Il
dibattito in coda al film "Romper Stomper" di Geoffrey Wright
(trasmesso la sera del 6/3/93 su RAI 3) è stato l’ennesima dimostrazione di
come l’antifascismo ufficiale – democratico, paternalistico-pedagogico & pseudo-illuministico
– sia forse il principale alleato della demenza subnazista e xenofoba. Più i
campioni della democrazia televisiva (stavolta è toccato a Corrado Augias)
mobiliteranno maestrine, tromboni accademici ed eruditi maitres-à-penser, e più
i ragazzini innamorati delle icone hitleriane e della chincaglieria militaresca
si sentiranno dei ribelli, degli eretici maledetti, degli stormtroopers nella
grande guerra contro la noia e l’insignificanza. I fregni in questione
crederanno di essere diversi dai noiosi figuri che fanno loro la predica, e
invece non saranno che il prodotto di quella supponenza e di quel bla-bla-bla. […]
Non mi stupirei se tra qualche anno un leader nazi confessasse di essersi
convertito l’altra sera di fronte al teleschermo [..]

 L’alleanza
tra legislazione proibizionistica e democrazia spettacolare "pianifica"
l’economia libidinale, crea una finta interzona di cui sovradetermina i movimenti:
fascino del "proibito", frustrazione, insoddisfazione, smarrimento
del senso & forza dell’abitudine, e il risultato è una psicologia
autoritaria collettiva il cui caso-limite e’ proprio il subnazismo skinhead. Lo
spettacolo investe tutta la propria forza mitopoietica per fossilizzare i comportamenti
& disciplinare i soggetti; anche chi cerca di "ribellarsi" deve
solo credere di riuscirci, senza rinunciare al consumo di miti e di identità-ideologie,
senza staccarsi veramente dal conformistico "nichilismo passivo"
della massa.

 Difatti, il
presunto "nihilismo attivo" del subnazista è in realtà un puntello
libidico del sistema di cui egli si crede nemico, perché è il prodotto di un
incessante lavoro linguistico, è imitazione di imitazioni di imitazioni di
modelli imposti a monte della produzione culturale.

 Il nazista,
nella cultura e nell’immaginario politico dal dopoguerra a oggi, ha quasi
sempre rappresentato
la Ferinitas contro la
Humanitas
, la sanguinaria mostruosità; nell’inscenarne le gesta, se ne azzerava volutamente
la psicologia, per lasciare posto unicamente a un cieco e freddo furore, a un
totalizzante disprezzo per
la Zivilisation. Alla fine, il nazista è diventato pura, malvagia e
affascinante volontà di potenza, mentre l’antifascismo democratico gli contrapponeva
l’ "uomo medio", i buoni sentimenti, la mediocrità quotidiana, tutta
la solita merda. Ad esempio, qualche tempo dopo aver visto "I ragazzi venuti
dal Brasile", pochissimi ricordano che Sir Lawrence Olivier interpretava
un clone di Simon Wiesenthal, ma nessuno si è scordato lo sguardo genocida del
dr. Joseph Mengele, interpretato da un grande Gregory Peck. Il nazismo stimola
una sorta di memoria eidetica, e vi rimane impresso per sempre.

 Così oggi
lo spettacolo sa bene come incanalare l’inquietudine "postmoderna" sui
binari morti della falsa rivolta, dei particolarismi, del nichilismo prefabbricato,
dell’autoritarismo: basta vendere, allegata a questa instabile miscellanea di
sensazioni, un po’ di bigiotteria da III Reich, e poi proibire di indossarla o
rivenderla. Ha funzionato benissimo con l’eroina, perché non dovrebbe
funzionare con l’odio razziale?

 E’
perfettamente normale che, una volta intuito quali imbrogli nasconda il modello
di Humanitas appreso dalla famiglia e dalla scuola, si sospenda il giudizio
etico e (soprattutto) timico nei confronti della presunta Ferinitas; è normale
che in molti finiscano per subire il fascino "perverso" della croce
uncinata, e trovino (giustamente) barbosi Augias, la liberaldemocrazia e
la Ragion di Stato.

 Da questo
punto di vista, chiunque arrivasse a sostenere che, per capire l’ascesa di un
nuovo "fascismo", non serve indagare i travagli della coscienza e/o i
fantasmi dell’inconscio, opererebbe una grave e irresponsabile pseudo-riduzione
della complessità del problema, in nome di uno stanco e deficiente politicismo.
E purtroppo l’andazzo è quello: presto, durante le riunioni sull’antifascismo,
sentiremo versioni in politichese di questo botta-e-risposta raccolto da
"Il lupo e l’agnello", un vecchio film con Tomas Milian e Michel
Serrault: – Ti senti frustrato… – Ao’, ma che stai a ddi’? A me nun m’ha
frustato mai nisuno!

Pubblicato in Per approfondire | Commenti disabilitati su CHI FABBRICA I NAZISTI? di Wu Ming