Ronde. Incubatrici di squadrismo

Da Umanità Nova.

Ronde. Incubatrici di squadrismo

Ancora prima di essere nominato Ministro dell’Interno, il leghista Roberto
Maroni, promettendo "pulizia e polizia" ha assicurato il suo pieno appoggio
all’istituzione delle ronde, più o meno padane, contro la criminalità.
A seguire, tutta la stampa ha registrato il proliferare in varie città del
nord, dalla Liguria al Friuli, di squadre e squadrette di ogni tipo a base
volontaria, sovente sponsorizzate dalle amministrazioni locali, anche di
centrosinistra.
Secondo una stima della Lega Nord, sarebbero circa tremila i volontari
coinvolti su tutto il territorio italiano, un numero difficile da verificare
e comunque non particolarmente significativo, ma tale fenomeno è comunque
divenuto il fulcro della propaganda dello stato d’assedio.
In realtà, in questi ultimi anni, il fenomeno è apparso assai diversificato,
sia per composizione che per appartenenza politica nonché per metodi: si
sono viste guardie padane, comitati cittadini "né di destra né di sinistra",
manipoli fascisti e quant’altro, ma sempre sul punto d’essere denunciate
come bande illegali.
Adesso, con il clima paranoide venutosi a creare, gli imprenditori politici
del razzismo tornati nuovamente al governo, si apprestano a legittimarle e
ad incentivarle, anche calpestando quel codice penale che dicono di voler
difendere strenuamente.
D’altronde, siamo giunti al punto in cui un procuratore della Repubblica (di
Treviso e non di uno sperduto villaggio del Far West!) è arrivato ad
affermare: "Le forze di polizia non ce la fanno più da sole ed è
fondamentale che ogni cittadino sia controllore del proprio habitat".
Parallelamente, le amministrazioni comunali, provinciali e regionali stanno
potenziando le polizie locali, sia sul piano numerico che investendole di
nuovi compiti inerenti l’ordine pubblico e, in particolare, il controllo
dell’immigrazione. Inoltre, risulta accresciuto il ruolo delle guardie
private nell’ambito della cosiddetta sicurezza pubblica.
Ecco qualche esempio illuminante, tra il Veneto e l’Emilia Romagna.
A Verona le camicie verdi della Guardia nazionale padana fecero il loro
debutto già alla fine degli anni Novanta, incorrendo anche in varie denunce
giudiziarie, ed ora il sindaco Tosi le ha ufficializzate istituendo e
finanziando pure un bando per l’arruolamento degli "assistenti civici"; in
tale contesto il comune stipulerà anche delle convenzioni con alcune
associazioni di volontariato che sarà senz’altro interessante conoscere. Nel
trevigiano, lo scorso anno, fu l’allora vice-presidente della giunta
regionale Zaia a sostenere e a partecipare in prima persona alle ronde dei
volontari di "Veneto Sicuro".
A Padova, l’amministrazione del sindaco Zanonato pur essendo di
centrosinistra ha tollerato il recente sorgere di un pattuglione misto,
composto da commercianti, residenti e guardie private armate che avrebbero
pure la pretesa di allontanare dalle piazze le persone ritenute sgradite;
d’altra parte la giunta Zanonato oltre ad avere praticato la politica dei
muri ha di recente sposato il nefando "editto antisbandati" del sindaco
leghista di Cittadella, così come i sindaci, anch’essi di centrosinistra, di
Ceggia e Noventa di Piave nel veneziano. Nella bassa padovana, a Monselice,
il Comune di centrodestra ha invece stanziato 20 mila euro per arruolare
guardie armate private da destinare al controllo del paese dove, in verità,
l’unico rischio è quello di morire di noia.
A Venezia, da anni circolano i "Cittadini non distratti", pure premiati
pubblicamente, ma il loro compito è limitato a tenere d’occhio i
borseggiatori, dato che ci pensano già i poliziotti comunali di Cacciari a
rendere difficile la vita ai migranti che vendono per le calli. Tale caccia
talvolta ha degli epiloghi tragicomici come lo scorso 23 aprile, quando una
mega-operazione contro gli ambulanti con l’impiego di ben 40 vigili ha
portato al sequestro di un centinaio di palline antistress e di alcuni libri
venduti da un senegalese (!).
A Rovigo, l’amministrazione di centrosinistra ha invece creato gli
"Ausiliari della sicurezza", retribuendoli con 260 euro mensili.
Nella Bologna del sindaco-sceriffo Cofferati, l’assessore alla sicurezza
Mancuso ha annunciato che una ventina di studenti arruolati come "assistenti
civici" avranno il compito di vigilare sulla zona universitaria contro un
imprecisato degrado, mentre da un mese è entrata in servizio una ventina di
attempati volontari nel quartiere Borgo Panigale. Il responsabile di
quest’ultimi, tale Vladimiro Luti, in un’intervista ha fatto un’affermazione
meritevole d’essere riportata integralmente: "Il quartiere con voi è più
sicuro? Lo era già prima".
A Parma, il sindaco Vignali di centrodestra ha deciso di far affiancare i
vigili della polizia urbana da un corpo di 28 militari in congedo
(ex-carabinieri e finanzieri) battezzati "Volontari della Sicurezza";
d’altra parte l’esordio delle ronde padane nello scorso novembre non era
stato dei più brillanti quando una ventina di leghisti aveva fatto una
patetica sortita nell’Oltretorrente sotto la scorta della polizia dato che
si erano mobilitati pure 300 antirazzisti/antifascisti. Intanto nella
provincia modenese i giovani padani imitano i metronotte, evitando così
simili disavventure.
Il tutto, in una situazione in cui già troppe volte si è assistito a
spedizioni punitive contro gli immigrati e ad incendi di campi nomadi, da
parte di sedicenti comitati spontanei, di conosciuti squadristi o di ambigui
figuri come si è visto con il caso Sandalo a Milano.
Uno che, in materia, ha una certa esperienza è il noto Mario Borghezio,
autonominatosi presidente nazionale del coordinamento delle ronde dei
volontari verdi, che ha ammesso la partecipazione extra-servizio di agenti
delle forze dell’ordine alle ronde ed ha annunciato l’organizzazione di
specifici corsi di formazione che prevedono lezioni tecnico-pratiche, anche
su come effettuare "rastrellamenti" (!) e sulle possibilità di aggirare
l’articolo 380 del codice penale che, per i privati cittadini, limita la
possibilità di arrestare qualcuno solo in presenza di gravi delitti .
Di fronte a tale sindrome poliziesca, con evidente sfondo xenofobo e
filofascista, ancora una volta da sinistra sono venute soltanto delle prese
di posizioni legalitarie che tendono a denunciare il carattere
anticostituzionale e giuridicamente inammissibile di tali associazioni
paramilitari, dimenticando peraltro l’analogia con le squadre di vigilanza
del Pci che alla fine degli anni Settanta furono attivate contro il
cosiddetto "terrorismo rosso".
Detto questo, rimane quindi aperto il problema sulle possibili contromisure
nei confronti di quello che a tutti gli effetti appare come uno squadrismo
embrionale ma già forte delle protezioni istituzionali che conosciamo.
Infatti, se attualmente la funzione di questa sedicente "polizia civile"
risulta soprattutto di coagulo per l’intolleranza contro gli
"extra-comunitari", in un prossimo futuro potrebbe vedere un’ulteriore
attivazione politica, così come evidenziato dalle recenti parole di Bossi
che ha minacciato la sinistra dicendo "noi siamo pronti, se vogliono fare
gli scontri".
Per questo sarebbe interessante che, in risposta a questa crescente
aggregazione reazionaria, tornassero utili le esperienze mai passate degli
arditi del popolo, delle volanti rosse o delle ronde proletarie.
Se è vero, come si sente affermare da più parti, che sta affermandosi un
nuovo fascismo, diventa vitale ritrovare la capacità di riconoscerlo e
fermarlo prima che sia padrone di ogni strada.

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Renato, Stefania e la Costituzione

 
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Pasolini e l’antifascismo

 
Pier Paolo Pasolini

Il vero
fascismo e quindi il vero antifascismo

«Che cos’è la cultura di una nazione?
Correntemente si crede, anche da parte di persone colte, che essa sia la
cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati, dei
cineasti ecc.: cioè che essa sia la cultura dell’intelligencija. Invece
non è così. E non è neanche la cultura della classe dominante, che,
appunto, attraverso la lotta di classe, cerca di imporla almeno formalmente.
Non è infine neanche la cultura della classe dominata, cioè la cultura
popolare degli operai e dei contadini. La cultura di una nazione è l’insieme di
tutte queste culture di classe: è la media di esse. E sarebbe dunque astratta
se non fosse riconoscibile – o, per dir meglio, visibile – nel vissuto e
nell’esistenziale, e se non avesse di conseguenza una dimensione pratica. Per
molti secoli, in Italia, queste culture sono stato distinguibili anche
se storicamente unificate. Oggi – quasi di colpo, in una specie di Avvento –
distinzione e unificazione storica hanno ceduto il posto a una omologazione che
realizza quasi miracolosamente il sogno interclassista del vecchio Potere. A
cosa è dovuta tale omologazione? Evidentemente a un nuovo Potere. 
     Scrivo "Potere" con la P maiuscola – cosa
che Maurizio Ferrarà accusa di irrazionalismo, su «l’Unità» (12-6-1974) – solo
perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo
rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né
nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche
nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero
limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto
(industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano
(transnazionale).
     Conosco, anche perché le vedo e le vivo, alcune
caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza volto: per esempio il suo
rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di
abbandonare la Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di
trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e soprattutto la
sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo
"Sviluppo": produrre e consumare. 
     L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo
Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti "moderati", dovuti
alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma
anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti
falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista
come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una
decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai
conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e
dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se proprio
vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma "totale" di
fascismo. Ma questo Potere ha anche "omologato" culturalmente
l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso
l’imposizione dell’edonismo e della joie de vivre. La strategia della
tensione è una spia, anche se sostanzialmente anacronistica, di tutto questo.
     Maurizio Ferrara, nell’articolo citato (come del resto
Ferrarotti, in « Paese Sera », 14-6-1974) mi accusa di estetismo. E tende con
questo a escludermi, a recludermi. Va bene: la mia può essere l’ottica di un «
artista », cioè, come vuole la buona borghesia, di un matto. Ma il fatto per
esempio che due rappresentanti del vecchio Potere (che servono però ora, in
realtà, benché interlocutoriamente, il Potere nuovo) si siano ricattati a
vicenda a proposito dei finanziamenti ai Partiti e del caso Montesi, può essere
anche una buona ragione per fare impazzire: cioè screditare talmente una classe
dirigente e una società davanti agli occhi di un uomo, da fargli perdere il
senso dell’opportunità e dei limiti, gettandolo in un vero e proprio stato di
«anomia». Va detto inoltre che l’ottica dei pazzi è da prendersi in seria
considerazione: a meno che non si voglia essere progrediti in tutto fuorché sul
problema dei pazzi, limitandosi comodamente a rimuoverli.
     Ci sono certi pazzi che guardano le facce della gente
e il suo comportamento. Ma non perché epigoni del positivismo lombrosiano (come
rozzamente insinua Ferrara), ma perché conoscono la semiologia. Sanno che la
cultura produce dei codici; che i codici producono il comportamento; che il
comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio
verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del
comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza.
     Per tornare così all’inizio del nostro discorso, mi
sembra che ci siano delle buone ragioni per sostenere che la cultura di una
nazione (nella fattispecie l’Italia) è oggi espressa soprattutto attraverso il
linguaggio del comportamento, o linguaggio fisico, più un certo
quantitativo – completamente convenzionalizzato e estremamente povero – di
linguaggio verbale.
     È a un tale livello di comunicazione linguistica che
si manifestano: a) la mutazione antropologica degli italiani; b) la loro
completa omologazione a un unico modello.
     Dunque: decidere di farsi crescere i capelli fin sulle
spalle, oppure tagliarsi i capelli e farsi crescere i baffi (in una citazione
protonovecentesca); decidere di mettersi una benda in testa oppure di calcarsi
una scopoletta sugli occhi; decidere se sognare una Ferrari o una Porsche;
seguire attentamente i programmi televisivi; conoscere i titoli di qualche best-seller;
vestirsi con pantaloni e magliette prepotentemente alla moda; avere rapporti
ossessivi con ragazze tenute accanto esornativamente, ma, nel tempo stesso, con
la pretesa che siano «libere» ecc. ecc. ecc.: tutti questi sono atti culturali.

     Ora, tutti gli Italiani giovani compiono questi
identici atti, hanno questo stesso linguaggio fisico, sono interscambiabili;
cosa vecchia come il mondo, se limitata a una classe sociale, a una categoria:
ma il fatto è che questi atti culturali e questo linguaggio somatico sono
interclassisti. In una piazza piena di giovani, nessuno potrà più distinguere,
dal suo corpo, un operaio da uno studente, un fascista da un antifascista; cosa
che era ancora possibile nel 1968.
     I problemi di un intellettuale appartenente all’intelligencija
sono diversi da quelli di un partito e di un uomo politico, anche se magari
l’ideologia è la stessa. Vorrei che i miei attuali contraddittori di sinistra
comprendessero che io sono in grado di rendermi conto che, nel caso che lo Sviluppo
subisse un arresto e si avesse una recessione, se i Partiti di Sinistra non
appoggiassero il Potere vigente, l’Italia semplicemente si sfascerebbe; se
invece lo Sviluppo continuasse così com’è cominciato, sarebbe indubbiamente
realistico il cosiddetto «compromesso storico», unico modo per cercare di
correggere quello Sviluppo, nel senso indicato da Berlinguer nel suo rapporto
al CC del partito comunista (cfr. «l’Unità », 4-6-1974). Tuttavia, come a
Maurizio Ferrara non competono le «facce», a me non compete questa manovra di
pratica politica. Anzi, io ho, se mai, il dovere di esercitare su essa la mia
critica, donchisciottescamente e magari anche estremisticamente. Quali sono
dunque i miei problemi?
     Eccone per esempio uno. Nell’articolo che ha suscitato
questa polemica («Corriere della sera», 10-6-1974) dicevo che i responsabili
reali delle stragi di Milano e di Brescia sono il governo e la polizia
italiana: perché se governo e polizia avessero voluto, tali stragi non ci
sarebbero state. È un luogo comune. Ebbene, a questo punto mi farò
definitivamente ridere dietro dicendo che responsabili di queste stragi siamo
anche noi progressisti, antifascisti, uomini di sinistra. Infatti in tutti
questi anni non abbiamo fatto nulla:
     1) perché parlare di « Strage di Stato » non divenisse
un luogo comune, e tutto si fermasse lì;
     2) (e più grave) non abbiamo fatto nulla perché i
fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra
coscienza con la nostra indignazione; e più forte e petulante era
l’indignazione più tranquilla era la coscienza.
In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli
giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto
credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di
fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. E non
nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che quando uno di
quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non
era che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola
parola perché ciò non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a
loro. Li abbiamo subito accettati come rappresentanti inevitabili del Male. E
magari erano degli adolescenti e delle adolescenti diciottenni, che non
sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto nell’orrenda avventura
per semplice disperazione.
     Ma non potevamo distinguerli dagli altri (non dico
dagli altri estremisti: ma da tutti gli altri). È questa la nostra
spaventosa giustificazione.
     Padre Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito
saputo distinguere, tra tutti quelli che si erano ammassati nella sua cella,
Dmitrj Karamazov, il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggioletta ed è
andato a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come avrebbe detto più tardi
al Karamazov più giovane) perché Dmitrj era destinato a fare la cosa più
orribile e a sopportare il più disumano dolore.
     Pensate (se ne avete la forza) a quel ragazzo o a quei
ragazzi che sono andati a mettere le bombe nella piazza dì Brescia. Non c’era
da alzarsi e da andare a prosternarsi davanti a loro? Ma erano giovani con
capelli lunghi, oppure con baffetti tipo primo Novecento, avevano in testa
bende oppure scopolette calate sugli occhi, erano pallidi e presuntuosi, il
loro problema era vestirsi alla moda tutti allo stesso modo, avere Porsche o
Ferrari, oppure motociclette da guidare come piccoli idioti arcangeli con
dietro le ragazze ornamentali, si, ma moderne, e a favore del divorzio, della
liberazione della donna, e in generale dello sviluppo… Erano insomma giovani
come tutti gli altri: niente li distingueva in alcun modo. Anche se avessimo
voluto non avremmo potuto andare a prosternarci davanti a loro. Perché il
vecchio fascismo, sia pure attraverso la degenerazione retorica, distingueva:
mentre il nuovo fascismo – che è tutt’altra cosa – non distingue più: non è
umanisticamente retorico, è americanamente pragmatico. Il suo fine è la riorganizzazione
e I’omologazione brutalmente totalitaria del mondo.

 
24 giugno 1974.


Pier
Paolo Pasolini

"Che cos’è questo
golpe?"


Io so. Io so i nomi dei responsabili di
quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes
istituitasi a sistema di protezione del potere). 
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre
1969. 
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi
mesi del 1974. 
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi
fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle
prime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi
più recenti. 
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi opposte, fasi della
tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969), e una seconda fase
antifascista (Brescia e Bologna 1974). 
Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l’aiuto della Cia (e in
second’ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del
resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e,
in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono
ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del
referendum. 

Io so i nomi di coloro che, tra una messa e
l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a
vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un
potenziale colpo di Stato), a giovani neofascisti, anzi neonazisti (per creare
in concreto la tensione anticomunista) e infine ai criminali comuni, fino a
questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva
tensione antifascista). 
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei
personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto
operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi bruciavano), o a dei
personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. 
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici
ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni,
siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killers e
sicari. 
Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e
stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto
ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto
ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette
insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro
politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà,
la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che
sia difficile che il "progetto di romanzo" sia sbagliato, che non
abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone
reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri
sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la
ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il
1968 non è poi così difficile.
Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una  grande
quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè  non di
immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. 
Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, 
dietro all’editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre
1974  [L’editoriale di Paolo Meneghini era intitolato "L’ex-capo del
Sid,  generale Miceli arrestato per cospirazione politica]. Probabilmente
i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o,  almeno, degli
indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo 
forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque
compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo  ha il necessario coraggio,
ma, insieme, non è compromesso nella  pratica col potere, e, inoltre, non
ha, per definizione, niente da  perdere: cioè un intellettuale. Un
intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei  nomi: ma
egli non ha né prove né indizi. Il potere e il mondo che, pur non essendo del
potere, tiene rapporti  pratici col potere, ha escluso gli intellettuali
liberi – proprio per  il modo in cui è fatto – dalla possibilità di avere
prove ed indizi. Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale,

inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente  politico
(del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e  quindi
partecipare del diritto ad avere, con una certa alta  probabilità, prove
ed indizi. Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché
è  proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che
si  identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la 
verità: cioè a fare i nomi. Il coraggio intellettuale della verità e la pratica
politica sono due  cose inconciliabili in Italia. All’intellettuale –
profondamente e visceralmente disprezzato da  tutta la borghesia italiana
– si deferisce un mandato falsamente alto  e nobile, in realtà servile:
quello di dibattere i problemi morali e  ideologici. Se egli vien messo a
questo mandato viene considerato traditore del  suo ruolo: si grida subito
(come se non si aspettasse altro che  questo) al "tradimento dei
chierici". Gridare al "tradimento dei  chierici" è un alibi
e una gratificazione per i politici e per i   del potere. Ma non esiste solo il potere:
esiste anche un’opposizione al potere.  In Italia questa opposizione è
così vasta e forte da essere un potere  essa stessa: mi riferisco
naturalmente al Partito comunista italiano. È certo che in questo momento la
presenza di un grande partito  all’opposizione come è il Partito comunista
italiano è la salvezza  dell’Italia e delle sue povere istituzioni
democratiche. Il Partito comunista italiano è un paese pulito in un paese
sporco, un paese onesto in un paese disonesto, un paese intelligente in
un  paese idiota, un paese colto in un paese ignorante, un paese  umanistico
in un paese consumistico. 

In questi ultimi anni tra il Partito comunista
italiano, inteso in  senso autenticamente unitario – in un compatto
"insieme" di  dirigenti, base e votanti – e il resto
dell’Italia, si è aperto un  baratto: per cui il Partito comunista
italiano è divenuto appunto  un "paese separato", un’isola. Ed è
proprio per questo che esso può  oggi avere rapporti stretti come non mai
col potere effettivo,  corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di
rapporti diplomatici,  quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali
sono  incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro
totalità.  È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel
"compromesso",  realistico, che forse salverebbe l’Italia dal
completo  sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una
"alleanza" tra  due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati
uno nell’altro. Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito
comunista  italiano ne costituisce anche il momento relativamente
negativo. La divisione del paese in due paesi, uno affondato fino al
collo  nella degradazione e nella degenerazione, l’altro intatto e
non  compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività. Inoltre,
concepita così come io l’ho qui delineata, credo  oggettivamente, cioè
come un Paese nel Paese, l’opposizione si  identifica con un altro potere:
che tuttavia è sempre potere. Di conseguenza gli uomini politici di tale
opposizione non possono 
non comportarsi anch’essi come uomini di potere. Nel caso specifico, che in
questo momento così drammaticamente ci  riguarda, anch’essi hanno deferito
all’intellettuale un mandato  stabilito da loro. E, se l’intellettuale
viene meno a questo mandato – puramente morale e ideologico – ecco che è, con
somma soddisfazione  di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno –  come
probabilmente hanno – prove o almeno indizi, non fanno i nomi  dei
responsabili reali, cioè politici, dei comici golpes e delle  spaventose
stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella  misura in cui
distinguono – a differenza di quanto farebbe un  intellettuale – verità
politica da pratica politica. E quindi,  naturalmente, neanch’essi mettono
al corrente di prove e indizi  l’intellettuale non funzionario: non se lo
sognano nemmeno, com’è del 
resto normale, data l’oggettiva situazione di fatto. L’intellettuale deve
continuare ad attenersi a quello che gli viene  imposto come suo dovere, a
iterare il proprio modo codificato di  intervento. Lo so bene che non è il
caso – in questo particolare momento della  storia italiana – di fare
pubblicamente una mozione di sfiducia  contro l’intera classe politica.
Non è diplomatico, non è opportuno.  Ma queste categorie della politica,
non della verità politica: quella  che – quando può e come può – l’impotente
intellettuale è tenuto a  servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei  tentativi
di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo)  io non posso
pronunciare la mia debole e ideale accusa contro  l’intera classe politica
italiana. E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei  principi
"formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei  partiti.
E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è  quella di un
comunista. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto 
altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità,  cioè
non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la  possibilità
di tale momento – deciderà di fare i nomi dei  responsabili dei colpi di
Stato e delle stragi, che evidentemente  egli sa, come me, non può non
avere prove, o almeno indizi. Probabilmente – se il potere americano lo
consentirà – magari  decidendo "diplomaticamente" di concedere a
un’altra democrazia ciò  che la democrazia americana si è concessa a
proposito di Nixon –  questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli
saranno uomini che  hanno condiviso con essi il potere: come minori
responsabili contro  maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso
americano, che  siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero
colpo di Stato.

 Corriere
della sera" del 14 novembre 1974

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Lista di aggressioni neofasciste a Verona

Lista di aggressioni neofasciste a Verona presenti in archivio ·

E¹ innegabile che a Verona i militanti di estrema destra responsabili di
aggressioni e tentati omicidi negli ultimi anni sono vicini a strutture
organizzate e non sia possibile parlare di ³cani sciolti² o ³pazzi dementi².
E¹ innegabile che le forze dell¹ordine siano sempre state a conoscenza dei
fatti e perfettamente informate.

L¹episodio più grave è l¹aggressione il 18 luglio del 2005 da parte di 30
naziskin a cinque esponenti del movimento antagonista: due vengono feriti
con gravi ferite da armi da taglio. Il giorno dopo vengono arrestati 5
neofascisti militanti di Forza Nuova e ultras dell¹Hellas Verona.
Pochi mesi fa, il 17 dicembre 2007, 4 ultras vicini a Fiamma Tricolore
vengono arrestati dopo avere malmenato tre militari che avevano la colpa di
essere meridionali colpendone uno con una sprangata in testa.
Il 15 novembre 2007 viene picchiato un compagno de La Chimica, figlio di un
consigliere comunale del PdCI.
Il 26 novembre 2006 10 neofascisti colpiscono in modo grave tre minorenni.
Nel 2005 e nel 2006 gruppi di neofascisti attaccano il csa La Chimica
lanciando bottiglie molotov.
Il 26 settembre 2005 viene aggredito un consigliere comunale dei Verdi:
³difendi gli zingari².

Prima del 2005 sono riportati i seguenti due episodi nel rapporto dell¹ORSO.

17 aprile 2003 , Verona : una macchinata di fasci lancia alcune bottiglie
molotov contro l¹entrata del c. s. o. a. La Chimica, appiccando il fuoco nel
campo vicino e sul vialetto d¹entrata. I compagni, immediatamente avvertiti
da un ragazzo che ha visto l¹accaduto, escono mentre i 3 o 4 balordi stanno
scappando. pag. 56

2 gennaio 2004 , Verona: venerdì sera verso l¹una e mezza, un gruppo di 16
nazifascisti entra in un¹osteria frequentata abitualmente dai compagni,
subito parte una rissa e i compagni riescono a cacciare gli aggressori fuori
dal locale. pag. 56

Nell¹archivio di antifa.ecn.org sono riportati i seguenti fatti relativi a
Verona.

8.05.08 Due articoli basati sui dati di ecn.org/antifa
7.05.08 2008/05/17 Verona: sabato 17 Manifestazione
7.05.08 Verona rassegna stampa – 3 –
7.05.08 Verona rassegna stampa – 2 –
7.05.08 Verona rassegna stampa – 1 –
6.05.08 Altri due arrestati per l’omicidio. Sono "bravi ragazzi"
6.05.08 C’è un collegamento tra questi gruppi e politica istituzionale
5.05.08 Verona: arrestati altri due aggressori neonazisti
5.05.08 Verona, aggressione a Nicola: comunicati
4.05.08 Verona: ragazzo picchiato in fin di vita, confessa un ultras
neofascista
28.04.08 Verona 25 Aprile, cariche contro migranti e antifascisti
18.03.08 Verona: 2 giorni antifascista
23.12.07 Verona Articolo sulla manifestazione antifascista del 22/12
23.12.07 Verona, manifestazione Fiamma Tricolore – interrogazione
parlamentare
23.12.07 Verona: Corteo nazi e caccia ai «terroni»
22.12.07 Verona: Intimidazioni al quotidiano l¹Arena
22.12.07 2007/12/22 Verona manifestazione antifascista
17.12.07 Verona: Violenza razzista in centro 3 feriti
16.12.07 Verona: La destra estrema in marcia, blindato il Centro
15.11.07 Verona: agguato neofascista contro compagno della Chimica
3.11.07 Verona: terminato il processo per l’aggressione fascista a VoltoS.
Luca del luglio 2005
21.08.07 Verona: Gli spettri neri della Brà
31.07.07 Verona: Miglioranzi (Fiamma tricolore, ex Veneto Front Skinhead) si
dimette dall’Istituto storico per la Resistenza
22.07.07 Verona La nostra Storia dice che nel 1945 ha vinto la Resistenza.
Ma qualcuno non se lo ricorda
29.06.07 Verona: 17 denunce Fronte Veneto Skinheads
27.11.06 Verona: continue aggressioni
28.05.06 Verona: il questore vieta il corteo di Forza Nuova
23.04.06 Verona: commemorazione
5.04.06 2006/04/07 Verona Presidio antirazzista
7.03.06 Il fascista e generale Amos Spiazzi candidato in Veneto
1.03.06 Nazi e mercenari a Verona
31.01.06 – Verona: Molotov contro il csoa La chimica
8.11.05 11/13 Verona: presidio per Giorgio
24.10.05 Verona: arrestato compagno antifascista
5.10.05 Verona: scarcerati tre nazi indagati per le aggresioni a San Luca
26.09.05 – Verona: aggredito consigliere comunale dei Verdi
13.09.05 Verona Bomba esplode nel negozio dello skin
2.08.05 08/04 Verona Assemblea alla Chimica
1.08.05 – Verona Attentato incendiario al c.s.o.a. La Chimica
24.07.05 Verona – rassegna stampa manifestazione 23/07
22.07.05 07/23 Verona manifestazione
18.07.05 Verona 5 arresti e 30 denunce. Forza Nuova e nazisti
18.07.05 – Verona: Aggressione e accoltellamento da parte di una ventina di
nazisti
11.03.05 Strage di Verona, Arrigoni
21.02.05 02/26 Verona: manifestazione

Da
http://isole.ecn.org/antifa/article/2005/lista-di-aggressioni-neofasciste-a-
verona-presenti-in-archivio-

pubblicato il 7.05.08

Pubblicato in Dossier | Commenti disabilitati su Lista di aggressioni neofasciste a Verona

Stefania vs Santoro

Meravigliosa Mamma Stefania……
sono Dile che  scrive nel blog di Federico,
ho appena finito di guardarti ad Anno zero.
Oggi
sono stata fuori tutto il giorno e, non avendo avuto modo di
connettermi al blog degli Aldro; non sapevo della tua partecipazione ad
Anno zero.
Sapevo che avrebbero parlato del ragazzo ucciso a Verona
e avevo deciso di guardarne una parte almeno; a un certo punto stavo
per andare in camera quando a un tratto ho sentito la voce dolce e
composta di una signora dall’accento romano  che diceva la parola
‘Focene’….ti giuro che non potevo crederci!!
Ho detto a tutti a
casa mia, mamma , papà , nonna , fratello sorella e pure la cagnolina
‘Quella è Stefania, la mamma di Renato!’…
Sono stata felicissima
di vederti….sei bella e bionda proprio come ti avevo immaginato, è
incredibile; e somigli tanto a Renato, o forse è lui che somiglia a te.
Cara mamma Stefania…sono davver contenta di averti potuto vedere… e volevo dirtelo per questo ti ho inviato questa mail.
Era
terribile pensare alla vicenda di Renato e sapere che mai , in nessuna
trasmissione, ne avevano parlato. Adesso qualcuno vedrai, metterà i
tuoi video su youtube, la vicenda di Renato sarà piu conosciuta….
vorrei metterlo io il video con te su yt ma purtroppo non so come scaricare le puntate.

Sei
stata bravissima alla fine, quando hai detto che bisogna chiamare
queste metodiche comportamentali con il loro nome, FASCISTE.
quando hai detto che non dirlo sarebbe stato troppo brutto, e sbagliato, e che lo dovevi a Renato.
Quando
hai detto ‘Santoro, noi cosi li legittimiamo questi
comportamenti’…quando hai parlato del rispetto dei valori
costituzionali….
noi da casa ti abbiamo detto BRAVA BRAVA..

Brava Mamma Stefania….avrei voluto essere in studio per abbracciarti.

A
dispetto di questa assurda società orwelliana in cui tutti si fanno i
fatti  loro, denunciano il collega, nominano il collega concorrente e
criticano il prossimo per farsi spazio, che berlusconi vuole trascinare
nell’abisso, ci saranno SEMPRE tante persone che continueranno a tenere
vivi i valori dell’antifascismo.

certe volte penso che sia quasi
un miracolo che ci sia ancora metà del paese che non lo voti dopo 20
anni di lobotomizzazione mediatica.

Ma questa sera sono contenta di averti visto.
e siccome penso che non sia giusto che io abbia visto te e tu non conosca me ti mando una mia foto.

In
questo paese, a dispetto  di tutto, ci saranno sempre, e sempre, e
sempre , coloro che terranno vivi i valori dell’Antifascismo.

una carezza dolce a Renato, quel bellissimo ragazzo di tuo figlio…laureato a 24 anni e sorridente come il sole….

un grandissimo abbraccio

Diletta

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Lettera aperta

 

Ancora una volta, nel nostro
paese, a Verona, una vita è perduta per l’aggressione
da parte di giovani che hanno come idea guida il razzismo, l’intolleranza del
diverso.

L’uso della violenza fisica
e verbale è segno di una scomparsa
della capacità critica che spinge il violento a proclamarsi giudice e boia del
suo avversario dichiarato o anche di qualsiasi categoria egli senta come
nemica.

Il
razzismo,come
caccia al diverso, allo
straniero, al povero, al deviante, a chi non accetta di appartenere al gruppo;

la cultura sessista, omofoba, intollerante, escludente che
nasconde la paura e l’incapacità di misurarsi con altre culture, di mettersi in
discussione; 

la mitizzazione e l’uso
della forza, delle armi, dei coltelli che vengono sfoderati e mostrati in ogni
occasione;

la diffusione di numerose
bande di adolescenti che incombono sui quartieri di periferia; portano un unico
segno, quello dell’ideologia della sopraffazione, dell’odio per le minoranze e
le diversità. Sono figli di una mistica razzista che si richiama ai principi
fondanti dell’ideologia fascista e nazista.

Nelle stanze di chi ha
ucciso Nicola Tomassoli a Verona sono stati trovati i simboli del fascismo e del nazismo. Sulle braccia di chi ha
ucciso Renato Biagetti a Roma  erano
tatuati i simboli della estrema destra.

Non vedere le dimensioni di
questi fenomeni, anzi continuare a darne interpretazioni riduttive significa
non capire che non stiamo parlando di ‘gruppetti’ e meno che mai di nostalgici
ma di una parte di giovani italiani che guarda al passato non solo come insieme
di simboli ma come prova che si può passare all’azione contro un mondo che non
funziona e non può funzionare proprio perché è democratico e tollerante.

Eppure questa  violenza non si cancella con le rivisitazioni
della nostra storia ma piuttosto nel cercare di conoscere e capire come e
perchè  si senta "escluso" e "potente" chi  vive
come una gara e una sfida costante la  vita della polis, qualunque sia la
sua situazione geografica e anagrafica.

Le istituzioni, i massmedia,
gli uomini di cultura sono chiamati a rispondere rispettivamente della loro
inerzia e dei tanti opportunismi che anche in queste ore permettono di dare
dignità di analisi socio-politica a quelle che sono solo pericolose
farneticazioni.

Se solo, al primo assalto,
alla prima aggressione, al primo saluto romano, fossero state applicate tempestivamente
le leggi che in Italia mettono al bando il fascismo e il razzismo,.

Se solo la parola sicurezza  fosse interpretata come battaglia per una cultura
della tolleranza e del rispetto delle diversità.

Se solo la parola antifascismo invece di essere messa ad
equa distanza dalla parola fascismo, fosse interpretata come l’azione continua
dei cittadini democratici contro ogni forma di razzismo e intolleranza. Se
continuassimo a considerarlo un valore fondante

Nicola e Renato sarebbero
ancora qui con noi.

E’ necessario interrogarci
su cosa è oggi o che cosa può essere oggi l’antifascismo.

Noi ne siamo convinte:
l’antifascismo oggi significa   diritti, uguaglianza,  partecipazione,  pace.

 

 

                                                                              
Comitato Madri per Roma Città Aperta

 

http://madrixromacittaperta.noblogs.org/

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Dedicato a Ornella Serpa

Ciao
Ornella

No
n ci mancherà,
è con noi
«HIC SUNT LEONES» direbbe
Ornella, accattivante leonessa pronta al conflitto a suon di citazioni in
latino.
Quante risate ci siamo fatte con lei giocando con il suo piglio da
avvocata.
Nelle sue battaglie, affilate quanto disarmanti, emergeva tutta la
sua cultura e intelligenza di nuova donna del sud. Prostituta per necessità e
virtù, femminista indomita.
In altre parole, un disastro e una
meraviglia.
Con Ornella abbiamo capito ed elaborato che non esistono le donne
biologiche, che ogni cosa nella vita non è data, ma determinata. Lasciare la
prostituzione le ha portato tante complicazioni con le quali non ha fatto in
tempo a fare i conti. Ornella ha vissuto sulla propria pelle, con la lucidità
della contraddizione, le ingiustizie di questa società: la violenza sessista, il
ricatto del lavoro, la "normalità" assassina, la violenza delle speculazioni che
a Roma hanno reso un privilegio il diritto alla casa.
Le ha attraversate
tutte, ne ha portato i segni addosso. Ha sempre lottato, con rabbia e dolcezza,
e la pensiamo così.
Ma non ci mancherà. Perché Maria Ornella Serpa è e sarà
parte del nostro percorso, delle nostre vite e dei nostri progetti.
A/matrix

amatrix@inventati.org

Umanità, dolcezza,
rabbia
Ornella Serpa,
una delle primissime militanti di Facciamo Breccia, è morta.
La ricordiamo
attiva in molte circostanze, in particolare durante l’organizzazione del primo
"no vat", quando è stata una delle pochissime presenti su Roma, o durante le
contestazione di Ratzinger alla Sapienza.
Una vita sulla strada, una vita
nelle lotte glt e femministe, una vita sulle barricate.
Una vita coraggiosa:
il coraggio e l’orgoglio di non essere l’uomo d’onore che avrebbe dovuto, ma di
essere una donna incazzata e tenera al contempo.
Ha vissuto le sue
contraddizioni visceralmente, con umanità, dolcezza e rabbia: davvero troppo per
questo mondo.
Una vita coraggiosa che ha pagato fino in fondo.
Per ora
semplicemente possiamo dire che è morta una di noi, ma che proprio per questo
abbiamo un motivo in più per vivere e combattere. Anche per lei, per la vita che
ha fatto, perché aveva scelto anche noi come compagn* di strada del suo
riscatto.
Hasta la breccia, Ornella!
Facciamo Breccia

La ricordano
sex workers
di tutta Europa
Ornella è stata una compagna di lotta,
un’attivista appassionata che ha avuto spesso il coraggio di denunciare e
gridare scomode verità. Non si è mai tirata indietro ed ha avuto il coraggio di
esporsi non solo per battersi contro le ingiustizie sociali, ma anche contro gli
abusi di potere e l’arroganza che lei stessa ha subito dalle istituzioni. Le
minacce e la violenza le ha provate sulla propria pelle, e anche gli affronti e
quelle ferite psicologiche che incidono profondamente e restano incancellabili.

Ornella ha speso molta parte della vita per affermare il proprio diritto ad
esistere. Perché quando non viene riconosciuta la propria soggettività, il
proprio orientamento sessuale e il proprio genere di fatto ci viene impedito di
esistere.
Siamo pervasi da modelli dominanti che pretendono di mettere al
bando chi fa scelte non conformiste. Società la nostra fondata su quelle sacre
famiglie patriarcali, benedette e bigotte che non esitano a chiudere le porte e
il cuore anche ai propri figli pur di salvare le apparenze. Perfino l’aiuto e
l’assistenza delle istituzioni viene meno quando non si è "conformi", anche
questo lo ha toccato con mano Ornella.
Questa primavera si sta rivelando non
solo sfortunata ma anche crudele, si è portata via una compagna combattiva e
generosa che si era unita alle lotte di tante compagn* non solo per le cause che
la riguardavano di persona, ma per le tante lotte per le libertà e i diritti di
tutt* . Io non la dimenticherò, e tutte le sex workers del movimento europeo non
la dimenticheranno.
Pia Covre

Occuperemo
una casa insieme
La
materialità della vita pesa come pesano le cicatrici stampigliate sui corpi, e
fanno la differenza. Mi sento una straniera e mi sento piccola di fronte a lei.
Non ci sono parole possibili per colmare la distanza, mi sembra. E’ il suo
sguardo denso che mi dice che non c’è vicinanza. Parole parole parole che
risuonano a lato, come se non avessero la forza di mutare nulla.
Ma la
chiacchierata di oggi è autentica, è diversa da sempre forse perché ci troviamo
a parlare delle condizioni materiali delle nostre vite. Ci troviamo a parlare di
case. La casa di cui abbiamo bisogno entrambe. Vogliamo una casa. Scopriamo che
è l’obiettivo concretissimo che ci accomuna. La casa è un sacrosanto diritto,
siamo accordo. Che fare? Dobbiamo costituirci in associazione, mi dice. Una
associazione di donne, per organizzare una occupazione di donne. Occuperemo uno
stabile a Roma, possibilmente nella zona centrale. Dobbiamo darci da fare da
subito. Entusiasmo! Occupazione, autogestione. Risolveremo il nostro problema
principale. Ma daremo alla cosa una valore aggiunto. Sarà una occupazione tutta
al femminile. Ci inventeremo attività culturali, iniziative politiche, renderemo
quello spazio un luogo di produzione di idee, con spazi condivisi, aperti
all’esterno. Dopo l’esito elettorale ci metteremo a lavoro. Ci salutiamo piene
zeppe di futuro dentro il corpo.
E’ passato meno di un mese da quel
pomeriggio. E io la prendo alla lettera. Ci metteremo al lavoro da subito, cara
Ornella.
Linda Santilli del Forum delle donne Prc

Oltre il femminismo
"biologico"
Ornella è stata una presenza importante negli incontri della Rete
femminista, non solo per le sue analisi sul "lavoro sessuale", ma soprattutto
per la scioltezza con cui ci ha messo a confronto con la sua fisicità
transgender. In questa è stata certamente al di là di ogni luogo comune, senza
mai rivendicare una posizione particolare, ma assumendo fino in fondo la sua
nuova identità. L’agio con cui stava nel giardino della Casa internazionale
delle donne, mettendo al bando ogni curiosità morbosa, testimoniava del lavoro
su di sé che indubbiamente aveva compiuto. La semplicità dei suoi saluti,
affettuosi e fisici, e dei suoi interventi nel corso delle assemblee,
contribuiva a cullarci nella soddisfazione di essere andate avanti rispetto a
quel femminismo "biologico" che, almeno per le più grandi, rimaneva il nostro
orgoglio, ma anche il nostro dubbio. Non era facile intravvedere nella sua calma
sicurezza la difficoltà e la solitudine di un percorso di vita così innovativo,
così radicalmente rivoluzionario. Di questo ci parla la sua morte prematura. Di
questo e dell’incapacità di accogliere la diversità senza, in un modo o
nell’altro, volerla normalizzare. Ancora – dunque – grazie, Ornella.
Bianca
Pomeranzi della Rete femminista

Sembrava pronta
a lottare
ancora
Ornella Serpa era una bellissima donna, bruna, dagli occhi scuri che
ti guardavano dritto in faccia mentre dalla bocca le uscivano parole sincere,
anche dure, critiche, senza indulgenza e senza diplomazia. Era molto colta,
preparata giuridicamente sui diritti delle persone e in particolar modo di
quelle che avevano deciso di non conformarsi, di non subire le imposizioni dei
bigotti, dei campioni della doppia morale, degli ipocriti contro i quali
combatteva strenuamente. L’ultima volta che ci siamo incontrati mi ha raccontato
delle difficoltà esistenziali che stava vivendo, era piuttosto depressa ma la
luce dei suoi occhi non si era spenta, sembrava fosse pronta a risollevarsi per
continuare a lottare e infatti stava per cominciare a lavorare, a guadagnare il
necessario per superare almeno gli ostacoli più vicini. Ciao Ornella, grazie per
quello che ci hai insegnato, non ti dimenticheremo.
Saverio Aversa

Il
libro
che non ha scritto
«Quando andrò in pensione scriverò un libro di
fuoco sulle prostitute e sui clienti». Così mi prometteva Maria Ornella al
termine di una intervista, nel dicembre 2006. Ci eravamo incontrate nel suo bar
preferito di San Lorenzo, dove servono té e biscottini, e avevamo chiacchierato
sul mondo della prostituzione. Scherzava, Ornella: «Con quei capelli biondi
potresti farmi concorrenza». Infarciva il discorso con dotte citazioni in
latino, il residuo degli studi di giurisprudenza. Era contraria alla
legalizzazione della prostituzione perché, diceva, avrebbe legalizzato il
dominio dell’uomo sulla donna. «In fondo tutti gli uomini sono clienti», amava
ripetere. E così, quando le avevo chiesto come si immaginava a 60 anni, si era
fermata un attimo per pensare, e poi aveva risposto che le sarebbe piaciuto
scrivere un libro-denuncia per squarciare il velo di ipocrisia che circonda
clienti e prostitute. Purtroppo quel tempo non è arrivato. E questo è il ricordo
indelebile che ho di lei: un pomeriggio di lavoro trasformato in una
chiacchierata piacevole e colta. Che la terra ti sia lieve, dolce
Ornella.
Laura Eduati

Gli articoli
che non firmerà più
Ornella
il giorno che l’ho conosciuta, alla Casa internazionale delle donne, per un
dibattito sui Pacs: la sua era la relazione più "quadrata", più documentata,
giuridicamente inattaccabile. Le sue mani le più curate.
Ornella durante un
forum su movimento glbtq e femminismo qui a Liberazione : lucida, radicale,
irriducibile nel chiedere meno leggi più diritti. Per tutte e tutti. Per le
donne, le/i trans, le prostitute. I mondi che aveva attraversato. Le persone che
le stavano a cuore. Con gli occhi a volte severi, a volte ridenti.
Ornella
alle assemblee femministe. Ornella alle manifestazioni.
Ornella con la sua
firma sul nostro giornale. Pochi pezzi, importanti, preziosi. Nati dal vivo
della vita vissuta, intelligenti, ironici, capaci sempre di dare
battaglia.
Ornella con la sua morte, per noi inattesa e ancora incredibile.
Ci manchi già, ci mancherai moltissimo strada facendo.
Carla
Cotti

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Violenza fascista a Verona

Un 19enne si è presentato in questura con il suo avvocato
Il legale: lite degenerata, i genitori distrutti da una situazione spaventosa

Ragazzo massacrato a Verona
confessa un ultrà neofascista

Identificati altri due dei cinque aggressori: sono già fuggiti all’estero
Ancora gravissime le condizioni del 29enne vittima del pestaggio

 

 

VERONA – Un giovane ha confessato di essere uno degli
autori dell’aggressione di Nicola Tommasoli, 29 anni, picchiato
e ridotto in fin di vita
la notte del primo maggio nel centro di Verona
solo perché si è rifiutato di offrire una sigaretta. Il ragazzo di 19 anni
interrogato dal magistrato Francesco Rombaldoni, titolare dell’inchiesta, ha
reso "piena confessione". E’ un ultrà neofascista già responsabile di
aggressioni a sfondo razzista e violenze negli stadi.

L’avvocato del diciannovenne parla di una lite degenerata e sostiene che il suo
assistito, che frequenta il liceo classico, non intendeva uccidere. Il legale
aggiunge anche che il padre e la madre del giovane "sono distrutti da una
situazione spaventosa".

Sono ancora molto gravi
le condizioni
di Nicola Tommasoli, ricoverato nel reparto di terapia
intensiva dell’ospedale di Borgo Trento. Momenti di angoscia per i genitori,
chiusi assieme agli amici più cari in una stanza accanto al figlio. "Sono
realista non voglio illudermi – dice il padre – "i medici dicono che c’è
stata una piccola ripresa poi rientrata. Non so che pensare". Secondo
fonti sanitarie, domattina inizierà il periodo di osservazione per l’eventuale
dichiarazione di morte cerebrale. Se non dovesse farcela, chi lo ha picchiato
potrebbe essere accusato di omicidio volontario o preterintezionale.

Il gruppo di neofascisti. La caccia agli altri quattro aggressori
continua. Due di loro sono stati individuati dalla polizia ma sono già fuggiti
all’estero dove sono ricercati. Il fermato è stato invece condotto in carcere a
Montorio.. Il giovane, che appartiene a
una famiglia benestante della città, si è costituito questa mattina presso la
Digos di Verona dopo che i poliziotti avevano di fatto stretto il cerchio
attorno a lui. Accompagnato da un avvocato di fiducia, il ragazzo ha così

confessato davanti ai magistrati

E’ stato proprio indagando su "ambienti
politicizzati" della città scaligera che la polizia è arrivata a
identificare gli aggressori. Il ragazzo fermato era infatti già noto alle forze
dell’ordine: come ultrà del Verona, per violenza negli stadi nello scorso
febbraio era stato sottoposto a Daspo. In precedenza, nel 2007 era stato indagato
dalla Digos insieme ad altre 16 persone
per associazione a delinquere
finalizzata a discriminazione razziale per alcune aggressioni avvenute a Verona
analoghe a quella del primo maggio.

Il giovane fermato si muove in ambienti vicini a Forza Nuova, ma l’associazione
di estrema destra nega qualsiasi coinvolgimento nella vicenda e minaccia di
querelare chiunque la associ all’episodio. "Nessuno si permetta di
associare Forza Nuova a tale vicenda" ha detto il coordinatore nazionale
Paolo Caratossidis. "I nostri militanti non compirebbero mai un atto di
così grave stupidità e cattiveria; se poi il ragazzo frequenta ambienti ultras
o piazze dove si ritrovano neofascisti, questo è un altro discorso, non
collegabile a Forza Nuova". Come movimento politico, aggiunge
Caratossidis, "prendiamo completamente le distanze da tale indegno e
vergognoso atto. Forza Nuova è contraria a ogni forza di violenza, tanto più se
insensata, illogica e incivile come quella compiuta da quella banda di pazzi
irresponsabili".

 

Verona, l’aggressore di Nicola Tommasoli membro di un gruppo neofascista
In passato la banda, vicina alla tifoseria dell’Hellas Verona, già indagata per
aggressioni

Insospettabili, estremisti, violenti
I colpevoli erano già noti alla polizia

 

<B>Insospettabili, estremisti, violenti<br>I colpevoli erano già noti alla polizia</B>

VERONA – Botte ai "diversi", ai
meridionali, ai giovani di sinistra e a tutti quelli che, secondo loro,
rovinavano l’immagine di Verona. Ci sarebbero numerosi episodi violenti nel
passato degli aggressori di Nicola Tommasoli, in fin di vita nel capoluogo
veneto per aver rifiutato una sigaretta. Secondo la polizia, il
ragazzo che ha confessato
di aver preso parte al pestaggio è membro di un
gruppo di estrema destra vicino al "Veneto Fronte Skinheads" e alla
tifoseria dell’Hellas Verona e già noto da almeno un anno alle forze
dell’ordine. Per l’ennesima volta la città scaligera torna alla ribalta per
azioni di matrice neofascista.

La gang si compone di circa 17 persone di età compresa tra i 17 e i 25 anni,
insospettabili figli di professionisti e irreprensibili operai. Tra le loro
"imprese" ci sono numerose aggressioni. Tra le vittime, ad esempio,
c’è un giovane con la maglietta del Lecce era stato apostrofato come
"terrone" e poi massacrato di botte. Un ragazzino che utilizzava lo
skate-board, invece, era stato preso di mira in quanto incapace nell’utilizzare
lo strumento. Problemi anche per alcuni venditori di kebab e per i loro
clienti, aggrediti perché mangiavano un prodotto non gradito alla banda.

Tra gli episodi piu cruenti, il 27 novembre del 2006 due giovani della
"Chimica", un centro sociale della zona, furono feriti a colpi di
spranga a San Michele Extra. In quello stesso giorno, alcuni degli indagati
avrebbero picchiato un giovane in piazza Erbe perché stando seduto su alcuni
scalini danneggiava l’immagine di Verona "città di Classe".

Nelle perquisizioni domiciliari effettuate un anno fa, gli agenti della polizia
scaligera avevano rinvenuto numerose cassette con filmati che documentavano le
azioni violente. Alcuni degli indagati avevano in casa simboli nazisti,
coltelli, armi, pugnali, simboli del "Veneto Fronte Skinheads". Gli
atti violenti servivano per mantenere una sorta di controllo del territorio. Il
materiale video circolava e, secondo gli inquirenti, le cassette venivano
persino vendute. Chi non riusciva a comprare il materiale originale si
accontentava dei video scaricati dal web.


L’estrema destra veronese è stata spesso al centro di episodi di cronaca. Tra
gli episodi più eclatanti, l’aggressione
in diretta televisiva
al leader dell’Unione del musulmani italiani, Adel
Smith. In quell’occasione, un gruppo di militanti veneti di Forza Nuova aveva
fatto irruzione negli studi dell’emittente di Verona Telenuovo provocando un
caso di rilevanza nazionale.

Il "Veneto Fronte Skinheads", associazione fondata nel 1986, ha
rapporti con altri gruppi di destra europei. I suoi membri, come viene
raccontato anche sul sito
dell’associazione
, sono stati in più occasione coinvolti in scontri con la
polizia e con militanti di sinistra e hanno preso parte a manifestazioni
neonaziste in giro per l’Europa.

Secondo il Viminale, in Italia gli ultras violenti sarebbero circa 20mila. Di
questi, tre quarti sarebbero vicini a posizioni di estrema destra, come i
principali gruppi della curva dell’Hellas Verona.

(4 maggio 2008)

La repubblica

 

Verona, confessa giovane neofascista

Un giovane si è presentato questa mattina in questura e ha
confessato di essere stato uno degli autori dell’aggressione di Nicola
Tommasoli, 29 anni, picchiato e ridotto in fin di vita la notte del primo
maggio nel centro di Verona solo perché si è rifiutato di offrire una
sigaretta. Il ragazzo di venti anni interrogato dal magistrato Francesco
Rombaldoni, titolare dell’inchiesta, ha reso “piena confessione”. Si tratta di
un ultrà neofascista già responsabile di aggressioni a sfondo razzista e
violenze negli stadi.

Sono ancora molto gravi le condizioni di Nicola Tommasoli, ricoverato nel
reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Borgo Trento. Momenti di angoscia
per i genitori, chiusi assieme agli amici più cari in una stanza accanto al
figlio. “Sono realista non voglio illudermi – dice il padre che, come rileva
l’Arena si aggrappa a ogni flebile speranza – i medici dicono che c’è stata una
piccola ripresa poi rientrata. Non so che pensare”.

La caccia agli altri quattro aggressori continua. Due di loro sono stati
individuati dalla polizia ma sono già fuggiti all’estero dove sono ricercati.
Il fermato è stato invece condotto in carcere a Montorio. Il giovane, che
appartiene a una famiglia benestante della città, si è costituito questa
mattina presso la Digos di Verona dopo che i poliziotti avevano di fatto
stretto il cerchio attorno a lui. Accompagnato da un avvocato di fiducia, il
ragazzo ha così confessato davanti ai magistrati.

Gli aggressori, secondo quanto si apprende in ambienti investigativi,
apparterrebbero al “Fronte Veneto Skinheads” e farebbero parte di un gruppo di
giovani di estrema destra, molti dei quali ultras del Verona, il cui obiettivo
era la “caccia al diverso”. Nell’indagine chiusa un anno fa dalla Digos
scaligera, che ha portato alla denuncia di 17 ragazzi tra i 17 e i 25 anni, è
infatti emerso che le vittime della banda non erano solo extracomunitari ma
tutti coloro che in qualche modo venivano visti come non omologabili con le
loro idee.

Nel corso delle perquisizioni effettuate un anno fa nelle abitazioni degli
indagati, la polizia trovò cinghie, manganelli telescopici ma anche cassette
video e dvd che contenevano immagini di pestaggi e documenti e materiale del
“Fronte veneto skinheads”. L’accusa contestata dalla procura di Verona ai 17
giovani individuati dalla Digos un anno fa fu di associazione a delinquere
finalizzata alle lesioni personali e alla violazione della legge Mancino contro
la discriminazione
razziale, etnica e religiosa.

 

 

Restano gravissime le condizioni di Nicola Tommasoli, massacrato per una
sigaretta

Pestaggio di Verona, 19enne si costituisce

E’ un ultrà neofascista: si è presentato alla Digos dopo che
gli

VERONA – Mentre restano gravisime le condizioni di Nicola Tommasoli,
il tecnico di 29 anni picchiato
da un gruppo di balordi in centro a Verona
la notte del Primo maggio, un
giovane di 19 anni si è costituito e ha già confessato di essere coinvolto
nell’aggressione. Altri due presunti responsabili del pestaggio sono invece
ricercati all’estero.

ULTRA’ NEOFASCISTA – Il giovane è un ultrà neofascista che, a quanto
risulta alla polizia, è già stato responsabile di aggressioni a sfondo razzista
e violenze negli stadi. Il 19enne, che apparterrebbe ad una famiglia benestante
della città, si è costituito presso la Digos di Verona dopo che i poliziotti
avevano di fatto stretto il cerchio attorno a lui. Accompagnato da un avvocato
di fiducia, il ragazzo ha così confessato davanti ai magistrati. In passato, a
quanto si è appreso, era stato sottoposto a Daspo, ovvero il divieto di
accedere a manifestazioni sportive, previsto proprio dalle norme studiate ad
hoc contro la violenza negli stadi. Dopo essere stato sentito è stato
trasferito in carcere.
Un anno fa la banda di cui farebbe parte il giovane fermato per l’aggressione a
Nicola Tommasoli era stata individuata dalla Digos della Polizia di Verona
perché perseguitava i «diversi»: gente di colore, cittadini del meridione ma
anche persone vestite, secondo la banda, non in maniera dignitosa.

Un’immagine d’archivio del "Fronte
Veneto Skinheads". Apparterebbero questo gruppo i tre giovani
responsabili dell’aggressione (Ansa)

DUE AGGRESSORI ANCORA DA IDENTIFICARE – Un fermato, due altri
individuati, due invece ancora del tutto da identificare. Nelle indagini sulla
brutale aggressione a Verona a Nicola Tommasoli mancano ancora all’appello gli
ultimi due giovani del gruppo di cinque aggressori. Di loro, secondo fonti
investigative, mancano ancora le identità, e il 20enne costituitosi alla
Questura di Verona non avrebbe fornito elementi per arrivare alla loro
individuazione. Il gruppetto, appartenente all’area dell’estrema destra
veronese, sarebbe costituito tutto da giovani coetanei, intorno ai 20 anni. I
due che sono riusciti a sottrarsi per il momento alla cattura, sempre secondo
le stesse fonti, sarebbero fuggiti all’estero probabilmente in automobile.

L’AVVOCATO: UNA LITE DEGENARATA, NON VOLEVA UCCIDERE – Di certo non
voleva uccidere e si sarebbe trattato di una lite degenerata quella avvenuta a
Verona la notte tra il 30 ed il primo maggio a Verona e che ha portato al pestaggio
di Nicola Tommasoli, ridotto in fin di vita. E’ questa la tesi riferita
all’agenzia Adkronos da legale del giovane 19enne, sulla cui identità gli
investigatori mantengono il massimo riserbo. Si attende un nuovo
interrogatorio, ha spiegato il legale, e sopratutto la contestazione del reato;
l’accusa infatti potrebbe sfociare in omicidio volontario o preterintezionale
qualora Tommasoli, per le gravi ferite riportate, non ce la faccia a
sopravvivere. Il legale ha poi detto che i genitori del giovane che si è
costituito sono affranti. Secondo l’avvocato «ci troviamo davanti ad una
vicenda che ha piu vittime, la situazione è drammatica e i genitori dobbiamo
tutelarli: sono distrutti da questa situazione che è spaventosa». Il ragazzo,
che frequenta regolarmente il liceo classico, avrebbe riferito agli inquirenti
di essere stato lì al momento della rissa (bollata come banale litigio) e per
questo motivo si è presentato.

CONDIZIONI ANCORA DISPERATE – Lo stesso Tommasoli continua intanto a
lottare contro al morte nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Borgo
Trento: momenti di angoscia per i genitori che sono al suo capezzale chiusi
assieme agli amici più cari in una stanza accanto al figlio. «Sono realista non
voglio illudermi – dice il papà Luca che si aggrappa a ogni flebile speranza -.
I medici dicono che c’è stata una piccola ripresa poi rientrata. Non so che
pensare».


04 maggio 2008

Corriere della sera

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Il saluto romano? In San Babila è reato – A Roma, per il sindaco Alemanno, è goliardia!

La sentenza Condannati in nove. «Un contesto che rievoca i neofascisti»

Il saluto romano? In San Babila è reato

Condanna per il gesto in piazza San Babila: il luogo-simbolo fa la differenza

 

MILANO — Fare il «saluto romano »? Sebbene l’aria che tira sia
quella dello sdoganamento di un gesto, derubricato a poco più che
innocua intemperanza (ad esempio di recente nell’entusiasmo dei
supporters di Alemanno in Campidoglio dopo la sua elezione a sindaco di
Roma), può essere ancora reato di apologia di fascismo. Come pure
gridare lo slogan «Camerati a chi? A noi!». O partecipare al coro «Me
ne frego». Dipende dalle condizioni di contesto, dal teatro delle
performance, dal «potenziale evocativo ». È questo il discrimine
tracciato dalle motivazioni (depositate prima delle elezioni) di una
sentenza con la quale il Tribunale di Milano il 20 dicembre scorso
aveva condannato nove persone a pene comprese fra gli 8 e i 2 mesi,
assolvendone altre dodici. Di fronte all’ottava sezione penale, nessuno
degli imputati negava di aver fatto i gesti e intonato i cori attestati
dai video della Digos e imputati dalla Procura a 21 dei 700
partecipanti alla manifestazione nazionale pubblica (con corteo in
corso Venezia e comizio in piazza San Babila) organizzata dal Movimento
Sociale-Fiamma Tricolore a Milano nel pomeriggio dell’11 marzo 2006, in
un clima già teso per i gravi disordini provocati invece di mattina dal
«corteo antifascista» di autonomi e centri sociali (costato 15 condanne
a 4 anni per devastazione).

LE MOTIVAZIONI – L’interesse delle motivazioni sta nel fatto che
esse distinguono tra i due tempi della manifestazione. Nel corteo di
corso Venezia, benché di saluti romani e inni fascisti si fossero resi
protagonisti alcuni degli impu-tati, scatta la loro assoluzione in
quanto «si trattò di episodi isolati, che coinvolsero i manifestanti a
gruppetti separati, senza che la gestualità o i canti abbiano (per
compattezza, vistosità o intensità) presentato una coralità
effettivamente suggestiva sulle folle». Qui i manifestanti esponevano
«striscioni con rivendicazioni (come il diritto alla casa e la
necessità del rispetto della legalità) dai contenuti squisitamente
politici e legittimi», e sfilavano accanto ad altre persone «che non
ostentavano simbologia fascista». Tutta diversa, per la relatrice delle
motivazioni Concetta Locurto e i colleghi Tremolada e Rispoli, la
valutazione di quegli stessi gesti e inni «nel momento cruciale del
comizio» di Maurizio Boccacci «in piazza San Babila, luogo non
irrilevante» perché «San Babila, in tutta Italia e soprattutto a
Milano, è un luogo già di per sé fortemente simbolico: al di là della
dimensione architettonica risalente all’epoca e allo stile del
ventennio fascista, la piazza evoca un immediato collegamento con le
formazioni "neofasciste" milanesi che, notoriamente, l’avevano eletta a
loro trincea negli anni ’70». È qui, per i giudici, che saluti romani e
inni cessano di essere «innocue parole o gesti che esprimano
semplicemente il pensiero o il sentimento occasionale di un individuo»,
e passano invece a costituire «una rievocazione evidente dei contenuti
e dei metodi del disciolto partito fascista, attraverso la spavalda
ripetizione di gesti e invocazioni abituali accompagnata a una
rivendicazione orgogliosa e compiaciuta delle proprie radici storico-
politiche». È qui che diventa reato «una ritualità potentemente
evocativa del clima del ventennio», una «chiara esortazione a
manifestare pubblicamente quella stessa fede politica anche a dispetto
dei divieti imposti dall’Autorità».

Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it
03 maggio 2008

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Sicurezza a Roma

RELAZIONE SULLA SICUREZZA NELLA REGIONE LAZIO
2004-2005


Prima “Relazione sulla Sicurezza nella Regione Lazio 2004-2005

a
cura dell’ “Osservatorio Tecnico Scientifico per la sicurezza e la legalità”.

 

L’Osservatorio
effettua un monitoraggio continuo dei fenomeni criminali. Con la prima
relazione l’Osservatorio fissa già un buon primato, grazie alla presenza di
rappresentanti delle forze dell’ordine al suo interno può presentare una
fotografia dello stato della sicurezza prima rispetto alle altre regioni
d’Italia che devono aspettare le rilevazioni Istat.

 

I dati contenuti nella relazione sono invece
estratti direttamente dal sistema di indagine (SDI) della Banca Dati Interforze
del Ministero dell’Interno. La nuova metodologia prende in considerazione,
oltre alle denunce acquisite dall’Arma dei Carabinieri, dalla Polizia di Stato
e dalla Guardia di Finanza, anche i delitti segnalati all’Autorità Giudiziaria
dalla Polizia penitenziaria e dal Corpo Forestale dello Stato.

 

Numeri ufficiali e numeri oscuri: È inutile
dire che anche queste risultanze statistiche riflettono la dimensione della
cosiddetta criminalità ufficiale o apparente, costituita
dall’ammontare dei reati che pervengono alla conoscenza delle agenzie di
controllo sociale, a seguito delle denunce dei cittadini o dell’attività
quotidiana delle forze dell’ordine.

Tali
dati sono, perciò, irrimediabilmente condizionati dall’entità del cosiddetto numero
oscuro
, vale a dire dalla quantità di delitti che ogni anno sfuggono alla
registrazione ufficiale perché, per diverse motivazioni, non vengono denunciati
dalle vittime e non risultano altrimenti perseguiti dagli organismi
istituzionali

• Per una più rapida ricognizione delle fattispecie
criminose si è proceduto ad una classificazione dei reati per macrocategorie
omogenee

 

La
rilevazione dei reati commessi sul territorio della Regione Lazio nel biennio
2004-2005 consente la realizzazione di una vera e propria analisi
georeferenziata del fenomeno
criminale nel Lazio attraverso accurate
rappresentazioni grafiche. Si nota in questo modo come l’indice di
delittuosità ( ovvero il rapporto tra i reati commessi e la popolazione
residente per ogni singolo comune, nella relazione è
stato calcolato ogni 10.000 abitanti)
sia
in aumento nelle province di Roma (l’85% del totale), Latina e Viterbo, resti
invece invariato in quella di Rieti e tenda a decrescere in quella di
Frosinone. Naturalmente il dato di incidenza dei reati nei capoluoghi di
provincia risulta essere più elevato e colpisce particolarmente la città di
Roma (70% del totale dei reati denunciati a livello regionale) che, sia per la
concentrazione degli interessi economici che per l’etereogeneità della
composizione etnica, appare di notevole entità. D’altro canto una maggiore
propensione alla denuncia dei reati da parte dei cittadini è certamente indice
di adesione convinta ai valori della legalità e di una presenza efficace e
ramificata sul territorio da parte delle forze dell’ordine.

Se
si analizzano i dati riguardanti le specifiche macrocategorie di reati individuate
dall’Osservatorio si può certamente evidenziare il calo complessivo delle
denunce che riguardano i “reati contro la vita”
(stragi, attentati e varie
tipologie di omicidi), meno che a Frosinone e a Latina.

Per
quanto riguarda i “reati della conflittualità quotidiana” (lesioni,
percosse, minacce e ingiurie), che costituiscono da sempre la percentuale
maggiore delle fattispecie criminose, hanno registrato un lieve aumento su
tutto il territorio regionale

Molto
difficile, come noto, la rilevazione dei “reati sessuali” da sempre
presenti anche in realtà private e familiari praticamente irraggiungibili dalle
rilevazioni ufficiali che pure evidenziano un andamento oscillante nelle varie
province. Si nota però una crescita delle denunce di violenza sessuale nei
comuni non capoluogo di tutte le province del Lazio.

In
crescita tutta quella categoria di reati contro il patrimonio che
l’Osservatorio ha inserito nella macrocategoria dei “reati predatori” (varie
tipologie di truffe, furti e rapine).

L’impegno
contro il crimine è riscontrabile invece grazie alla categoria dei “reati
individuati attraverso l’attività delle forze dell’ordine”
(contrabbando,
contraffazione, ricettazione, sequestri di persona e sfruttamento della
prostituzione), anche se il dato ha un’affidabilità numerica relativa. I dati
relativi alle denunce sono infatti frutto di lavori di indagine che durano nel
tempo, quindi è difficile avere un raffronto significativo. Oltre al fatto che
ovviamente per alcuni reati della categoria ci sono denunce che seguono un
preciso iter giudiziario.

Ciò che appare importante è l’andamento di reati che
evidenziano la crescente infiltrazione della criminalità organizzata nel
Lazio
, rilevabili ad esempio nel campo del contrabbando (con i dati delle
dogane di Roma San Lorenzo, Fiumicino e Civitavecchia). Per quello che riguarda
la contraffazione, il Lazio si configura come zona di distribuzione delle merci
e non di produzione. Le denunce in questo campo sono aumentate del 31% grazie
all’azione delle forze dell’ordine in certe realtà e in specifici periodi.
Diminuzione di quasi il 7% delle denunce per i casi di ricettazione

“Reati
indicatori della presenza della criminalità organizzata”
(associazioni a delinquere e di stampo mafioso, usura,
estorsioni, riciclaggio, stupefacenti). E’ questa la macrocategoria individuata
dall’Osservatorio che più delle altre rileva la crescita del fenomeno ed
evidenzia maggiormente il discostarsi tra la realtà dei numeri e la realtà
vera. La presenza della criminalità organizzata che sarà oggetto di una
relazione a parte dell’Osservatorio presentata in autunno, è evidente
soprattutto dai dati relativi al traffico di stupefacenti che si conferma
essere, soprattutto in alcune zone della regione, uno dei principali settori di
attività. Il radicamento è tale che in alcuni comuni del litorale è stata
denunciata la presenza di connivenze tra elementi della criminalità organizzata
e esponenti delle amministrazioni locali.

Una
macrocategoria a parte è stata individuata nei “reati di danneggiamento e
incendi”
(incendi, vandalismo) che appaiono generalmente in crescita e
vedono una differenziazione molto vasta delle denunce (dai fatti più esigui a
quelli che testimoniano nuovamente la presenza della criminalità organizzata).

Le conclusioni
della relazione
sottolineano soprattutto le conseguenze, o meglio la percezione
d’insicurezza
dell’opinione pubblica, in riferimento ai fenomeni della
microcriminalità e a prescindere dalla loro reale incidenza e persino dalla
loro effettiva pericolosità. Un elemento che le istituzioni, a partire dalla
Regione Lazio, devono considerare in modo da definire un intervento
istituzionale integrato anche di natura propriamente socioculturale (educazione
alla legalità e alla multiculturalità) che affianchi l’azione delle forze
dell’ordine e favorisca le varie forme di prevenzione (giovanile, sociale e
situazionale)

La
Regione Lazio, nel rispetto delle proprie competenze e secondo le norme
contenute dalla legge regionale del 2001 e successive modificazioni nel 2005 e
nel 2006, si è fatta

carico di garantire una serie
di finanziamenti per la creazione di un vero e proprio sistema regionale
integrato di sicurezza
che punta sulla riqualificazione delle aree urbane
degradate, su iniziative di carattere educativo tese alla prevenzione, sulla
ristrutturazione e il riutilizzo di beni confiscati. Importante anche
l’avvenuta istituzione del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio.

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