Il saluto romano? In San Babila è reato – A Roma, per il sindaco Alemanno, è goliardia!

La sentenza Condannati in nove. «Un contesto che rievoca i neofascisti»

Il saluto romano? In San Babila è reato

Condanna per il gesto in piazza San Babila: il luogo-simbolo fa la differenza

 

MILANO — Fare il «saluto romano »? Sebbene l’aria che tira sia
quella dello sdoganamento di un gesto, derubricato a poco più che
innocua intemperanza (ad esempio di recente nell’entusiasmo dei
supporters di Alemanno in Campidoglio dopo la sua elezione a sindaco di
Roma), può essere ancora reato di apologia di fascismo. Come pure
gridare lo slogan «Camerati a chi? A noi!». O partecipare al coro «Me
ne frego». Dipende dalle condizioni di contesto, dal teatro delle
performance, dal «potenziale evocativo ». È questo il discrimine
tracciato dalle motivazioni (depositate prima delle elezioni) di una
sentenza con la quale il Tribunale di Milano il 20 dicembre scorso
aveva condannato nove persone a pene comprese fra gli 8 e i 2 mesi,
assolvendone altre dodici. Di fronte all’ottava sezione penale, nessuno
degli imputati negava di aver fatto i gesti e intonato i cori attestati
dai video della Digos e imputati dalla Procura a 21 dei 700
partecipanti alla manifestazione nazionale pubblica (con corteo in
corso Venezia e comizio in piazza San Babila) organizzata dal Movimento
Sociale-Fiamma Tricolore a Milano nel pomeriggio dell’11 marzo 2006, in
un clima già teso per i gravi disordini provocati invece di mattina dal
«corteo antifascista» di autonomi e centri sociali (costato 15 condanne
a 4 anni per devastazione).

LE MOTIVAZIONI – L’interesse delle motivazioni sta nel fatto che
esse distinguono tra i due tempi della manifestazione. Nel corteo di
corso Venezia, benché di saluti romani e inni fascisti si fossero resi
protagonisti alcuni degli impu-tati, scatta la loro assoluzione in
quanto «si trattò di episodi isolati, che coinvolsero i manifestanti a
gruppetti separati, senza che la gestualità o i canti abbiano (per
compattezza, vistosità o intensità) presentato una coralità
effettivamente suggestiva sulle folle». Qui i manifestanti esponevano
«striscioni con rivendicazioni (come il diritto alla casa e la
necessità del rispetto della legalità) dai contenuti squisitamente
politici e legittimi», e sfilavano accanto ad altre persone «che non
ostentavano simbologia fascista». Tutta diversa, per la relatrice delle
motivazioni Concetta Locurto e i colleghi Tremolada e Rispoli, la
valutazione di quegli stessi gesti e inni «nel momento cruciale del
comizio» di Maurizio Boccacci «in piazza San Babila, luogo non
irrilevante» perché «San Babila, in tutta Italia e soprattutto a
Milano, è un luogo già di per sé fortemente simbolico: al di là della
dimensione architettonica risalente all’epoca e allo stile del
ventennio fascista, la piazza evoca un immediato collegamento con le
formazioni "neofasciste" milanesi che, notoriamente, l’avevano eletta a
loro trincea negli anni ’70». È qui, per i giudici, che saluti romani e
inni cessano di essere «innocue parole o gesti che esprimano
semplicemente il pensiero o il sentimento occasionale di un individuo»,
e passano invece a costituire «una rievocazione evidente dei contenuti
e dei metodi del disciolto partito fascista, attraverso la spavalda
ripetizione di gesti e invocazioni abituali accompagnata a una
rivendicazione orgogliosa e compiaciuta delle proprie radici storico-
politiche». È qui che diventa reato «una ritualità potentemente
evocativa del clima del ventennio», una «chiara esortazione a
manifestare pubblicamente quella stessa fede politica anche a dispetto
dei divieti imposti dall’Autorità».

Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it
03 maggio 2008

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