La lotta No-tav non è terrorismo

Appello dai familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò

In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine. L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?

Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. E non è una libertà da dare per scontata.

Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla procura, protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti.

Questa lettera si rivolge:

Ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trobino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, avrebbe danneggiato una macchina o sarebbe stato presente quando è stato fatto..

Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista.

Alla società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi.

Grazie

I familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò

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Manifestazione ‘Via la divisa’ – Ferrara, 15 febbraio 2014

VIA LA DIVISA tre parole chiare e forti, per dire che è intollerabile che chi l’ha indossata per massacrare Federico Aldrovandi non può tornare a metterla, che non si può più far finta di niente.

“Fin da bambino e da adolescente la violenza fisica mi ha sempre turbato; addirittura con una scena forte ma di finzione nei film alla tv, capitava che cambiassi canale. Provavo un senso di fastidio sapendo che erano cose che potevano succedere davvero. Non riuscivo a concepire il perché una persona arrivasse ad usare le sue mani, i suoi piedi, la sua ferocia per fare del male a un altro essere vivente. Mi dicevo: “che senso ha?” Oggi io penso che chi usa la forza in maniera consapevole e provocando dolore senza pentirsene è una persona deviata e non si merita comprensione da nessuno. Mio fratello è morto a pugni, calci e manganellate per mano di 4 violenti in divisa non pentiti. Tali responsabili riprendono il loro lavoro dopo una condanna di omicidio. La domanda è sempre la stessa: che senso ha?”
Questo scriveva Stefano Aldrovandi qualche giorno fa.
Con questo spirito sabato 15 febbraio 2014 torniamo in piazza a Ferrara:

– per chiedere la destituzione dei 4 poliziotti condannati (per omicidio colposo) per la morte di Federico Aldrovandi;
– per chiedere la democratizzazione delle forze dell’ordine;
– per chiedere l’introduzione del numero identificativo per gli appartenenti alle forze dell’ordine;
– per chiedere l’introduzione del reato di tortura.

CORTEO
ore 14 – concentramento via ippodromo
ore 15 – partenza
Percorso: via ippodromo-via bologna-via kennedy-piazza travaglio-porta reno-corso martiri-largo castello-ercole d’este-prefettura

Promuove l’Associazione “Federico Aldrovandi”

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Ricordare per Resistere – Restituzione e Grazie! Poggio Mirteto 25 gennaio 2014

Grazie a tutte e a tutti!
un grazie particolare a chi ha condiviso e abbracciato questa iniziativa tra gli entusiasmi ed i timori, le perturbate emozioni, i silenzi. Grazie a chi è venuto a curiosare, entrando in sala Farnese e meravigliandosi della trasformazione di un luogo fino a ieri freddo, solo e abbandonato in un caldo spazio accogliente e ricco di persone che lo hanno animato.
Grazie LauraDaniela per aver aperto la Biblioteca, luogo di incontro delle culture che oggi, Ancora e ancora e ancora per l’ennesima volta, come hai raccontato è chiuso negato e oscurato nella violazione del diritto dell’incontro, dello scambio dei saperi e delle conoscenze, dell’accoglienza e dell’ascolto, del realizzare idee… Grazie per le tue letture e per essere con noi
Grazie ad Andrea e Valentina che ci hanno raccontato la storia…. che ancora oggi non è cambiata negli abusi del potere disposto ad uccidere per il fastidio della richiesta massiva dell’affermazione di un diritto…
Grazie a Renzo Ricci, nonno Partigiano testimone di una resistenza mai interrotta, oggi più che mai lucida
Grazie al coraggio e alla determinazione di Stefania, Rosa, Lucia e di tutte le madri e sorelle. Grazie! Donne che donano la loro energia di rinascita, il loro sostegno e il loro cuore rivolto ai ragazzi che lottano quotidianamente per realizzare i loro sogni liberi dalle ingiustizie, discriminazioni, abusi, soprusi, violenze….
Grazie a Laura e Monica testimoni di un racconto lungo….tre generazioni…. La Val di Susa e la sua gente che nel silenzio delle sue montagne, nei suoni delle persone che vivono e lavorano non ha mai chiesto di fare tanto rumore e addirittura…pubblicità. Di fronte alla totale sordità, cecità e arroganza di un potere che decide “il bene e lo sviluppo” di quel territorio e di quel popolo, come di tanti altri in Italia e nel mondo, le persone hanno deciso di resistere e di difendersi, come possono e quanto possono d avanti al sopruso e alla violazione dei diritti ovviamente anche di espressione di opinioni….. e per questo chiusi nelle carceri…
Grazie a chi ci ha raggiunto da lontano con la voce portandoci la testimonianza della resistenza dei popoli nel mondo
Grazie a Francesco e alla sua preziosissima criticità che ci ha riportate con “i piedi in terra” ogni qualvolta è stato necessario e grazie a tutti i SAM, ad Andrea, Paolo, Stefano, Marco per aver condiviso e costruito con noi questa avventura….. realizzata!
GRAZIE a Gianfranco per la sua pazienza e la sua professionalità….”per i suoi preziosissimi ricami…” e per le risate!!!…Senza te …. Grazie per il tuo abbraccio!
Grazie a Giorgio per l’amicizia, il lavoro, la partecipazione, gli stimoli e l’elicottero….che ci ha fatto sollevare la testa!
Grazie a Paolo e Giannantonio per il prezioso aiuto e con gli occhi e le orecchie all’erta sulle vibrazioni di suoni puliti!
Grazie a Barbara per la tua supervisione e le preziose sintesi. Grazie per averci aiutate ad alleggerire ed armonizzare ed aver raccolto armonie!
Grazie a Raffaella, Paolo e Alberto che con la loro maestria ci hanno fotografati e ripresi. Questa raccolta ci consentirà di realizzare un documento da presentare e distribuire a tutte le realtà interessate

Gazie a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi!!! a cui questa iniziativa e questo lavoro è dedicato con l’impegno, il sostegno e il cuore delle madri

Grazie a Celeste e Sara giovani universitarie che ci avete raccontato l’assurda esperienza di aver scontato quattro giorni di carcere, prese durante le “retate itineranti” durante la manifestazione del 19 ottobre a Roma, ree di aver partecipato… Grazie per il diario di quei giorni che avete voluto condividere con tutti noi. Grazie per la generosità, l’attenzione e la sensibilità che avete dedicato alle donne carcerate che vi hanno raccontato….. abusi e soprusi che vivono quotidianamente. Grazie per averci con le vostre semplici e chiare parole messi, ancora una volta, di fronte alla durezza e malvagità di un mondo reale che molti continuano a non voler ascoltare, non vogliono sapere…. Grazie figlie dolcissime!
Grazie a Flavia, Wolf, Mattia, a tutti gli Acrobati, alle ragazze e ai ragazzi di Alexis che avete portato il filo della risposta e avete unito le generazioni presenti nell’ascolto attento e rispettoso
Grazie ai Grazie Mario e alle melodie che hanno accompagnatole le parole e le emozioni non sempre facili da esprimere. Con gioia ti abbiamo ascoltato e abbiamo cantato insieme
Grazie a Paolo e ai Minimo Sindacale che hanno rallegrato l’incontro delle persone nelle danze di chiusura per un arrivederci presto
Grazie ad Andrea L. e AndreaB. del comune di Poggio Mirteto. Grazie ad Andrea L. per l’amicizia, la disponibilità continua, la sua sensibilità. Grazie ad Andrea B. che ha permesso ai “Funghi” di essere con noi e aumentare il calore tra le persone, grazie per la disponibilità e la gentilezza
Grazie a Francesco e Federico che hanno contribuito e ci hanno affiancate e accompagnate nei giorni e nelle notti, con il sole, le nubi e le stelle!!!
Grazie amica Silvia, e amico Flaviettoooo!!!!!
Grazie alla cooperativa sociale Ermes per l’amicizia, la partecipazione e il contributo e il lavoro che svolgete ogni giorno.
Grazie alla cooperativa sociale Folias per l’amicizia, la partecipazione, il contributo e il lavoro che svolgete ogni giorno. I ragazzi duplicheranno la struttura dei pannelli per le foto….
Grazie alle istituzioni presenti che hanno ascoltato in silenzio. Forse troppo in silenzio.
Grazie a tutte le donne e gli uomini che hanno preparato buonissime pietanze e donato allegria alle papille…

Il Comitato delle madri per roma città aperta ringrazia tutte e tutti con il cuore
L’intento, – oltre le storie drammatiche vissute e raccontate dalle madri e dalle sorelle, oltre il dovuto impegno a seguire percorsi indicibili, quali i processi per cui da persone lese, sono divenute per lo stato, colpevoli di ……..perseverare ed esistere…. – è di continuare a sollevare l’attenzione sui temi delle azioni di abuso, di violenza e di tortura che le donne, i ragazzi, le persone comuni, subiscono quotidianamente, (le storie da raccontare, purtroppo sono davvero tantissime) spesso senza alcuna motivazione espressa, non solo da parte di uomini e donne che indossano la divisa del potere di stato. I governi che si sono susseguiti nei decenni, hanno tutelato e coperto, alle volte fatte proprie, le azioni e gli atteggiamenti di una cultura fascista che abbiamo continuato a vivere nei decenni e che…. torna ad organizzarsi forte e determinata, non solo in Italia……

…” Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti”. Primo Levi

WE WERE MADE FOR THESE TIMES
” Siamo fatti per questi tempi…. Stavamo aspettando di incontrarci in questo punto di questa storia…. Perchè il cambiamento sia profondo è necessario accumulare azioni su azioni, aggiungere, aggiungere ancora, perseverare. Sappiamo che non è necessario l’aiuto di ogni singolo essere umano sulla Terra per portare pace e giustizia. Basta un gruppo piccolo, determinato, che non si arrenda alla prima, alla seconda, nè alla centesima tempesta”. Clarissa Pinkola Estes

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La nostra memoria – Ricordare per Riconoscere

La nostra memoria – Ricordare per Riconoscere
Fascismo, carcere e malapolizia

locandina memoria bassa riso

PROLOGO E PRESENTAZIONE
Ricordare è resistere. Mai come in questo momento c’è bisogno di resistere. Resistere alla voglia di andare via, resistere a questi politici collusi e corrotti, resistere a questo sistema globalizzato che ha come unico obiettivo il bene di pochi a scapito della povertà di molti, resistere a questi mezzi di informazione schiavi del potere che raccontano solo una certa “verità”. C’è bisogno di resistere a tutto questo e di credere che c’è qualcosa di migliore, di più giusto e più equo per tutti. Ricordare è un atto piccolo se confrontato con altri più impegnativi, ma è il contributo che ciascuno può dare per continuare una battaglia che è cominciata quasi 70 anni fa e che è lungi dall’essere terminata. Purtroppo il fascismo e le miserie umane che lo hanno prodotto e alimentato sono ancora al nostro fianco tutti i giorni ed è una guerra quotidiana che non possiamo smettere di combattere. Neanche per un minuto. Ricordare significa resistere

1-Immagine di sfondo con la lapide e il manifesto dell’eccidio (Power point: Eccidio Canneto)
1-Racconto Breve dell’eccidio Canneto 1920…” brano di Andrea Maurizi – “Teatro delle Condizioni Avverse”

I “Grazie Mario” suoneranno La canzone del Maggio .

2-Immagine di sfondo con tutte le foto dei campi , delle violenze della polizia……..(Power point: Presentazione)
2-Presentazione iniziativa ( Comitato madri e associazioni)
Abbiamo voluto ricordare nel giorno della memoria come primo evento un fatto accaduto in Sabina nel 1920 perché si possa capire, anche dall’esperienza del territorio, la storia del nostro paese, che portò due anni dopo questo eccidio alla presa del potere da parte del fascismo. Crisi economica, negazione dei diritti al lavoro, cieca repressione, furono lo scenario dell’eccidio di Canneto, così come sono lo scenario dell ‘attuale periodo storico.
La Repubblica italiana con la legge 211 del 2000riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte,.in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.]
Con questa iniziativa vogliamo ricordare i molti atti di ingiustizia avvenuti e che ancora avvengono nel nostro paese, perchè ci consentano di riconoscere quegli elementi che rivelano la persistenza di varie forme di fascismo, che trovano un terreno fertile in uno stato che è sempre meno di diritto e sempre più di repressione.
Il Comitato delle Madri per Roma città Aperta nasce come risposta forte ad un atto di violenza di stampo fascista agito nei confronti di Renato Biagetti, un ragazzo di 26 anni , ammazzato a coltellate all’uscita di un concerto reggae, per il solo motivo di essere diverso dai suoi assassini. Il Comitato si è posto come compito quello di raccontare e denunciare i tanti episodi di sopruso che accadono e che evidenziano la sistematica riduzione degli spazi di libertà e di diritto, che dovrebbero essere garantiti da una costituzione antifascista, atti che parlano invece di forme costrittive e repressive (soprusi, violenze e carcere), come unica risposta all’attuale disagio sociale ed economico del paese

VIOLENZA FASCISTA
3-Immagine di sfondo (Power point-Violenza fascista)
Bella Ciao – video Modena City Rambler

3-Intervento ANPI
Grazie Mario – 2/3 strofe POI SOLO CHITARRA CHE ACCOMPAGNA LA LETTURA SU CLEMANT E PAVLOS.

4-Immagini di sfondo di Clemant e Pavlos (Power point: PPclement_pavlos)

4-Un breve ricordo

Giugno 2013 – Clemant un ragazzo di 18 anni, appartenente alla Azione Antifascista Parigi-Banlieue è stato ammazzato da quattro militanti dell’estrema destra. Tre uomini. E una donna. Tutti della Gioventù nazionalista rivoluzionaria (Jnr), un gruppo neonazista composto da skinhead. Clement, studente di Scienze Politiche, con alcuni suoi compagni era in un mercatino quando si sono avvicinati dei giovani con la testa rasata. Spintoni, insulti. Sono arrivati altri militanti di estrema destra. Clement Meric è stato prima colpito con un «pugno di ferro», poi sbattuto con violenza contro un palo.

Settembre 2013 -Pavlos Fissas Pavlos Fissas, un giovane di 34 anni, rapper e militante antifascista, conosciuto con il nome di Killah P, è stato ucciso da un esponente del partito neonazista Alba Dorada partito apertamente xenofobo e neonazista. E’ stato assalito da un gruppo di circa 20 persone che indossavano caschi da motociclista, felpe nere e pantaloni mimetici, all’uscita da un bar, in cui aveva assistito alla partita di Champions League fra l’Olympiakos e il Paris St Germain. Il rapper, che era in compagnia della fidanzata e di altri due amici, era riuscito inizialmente a scappare ma è stato poi raggiunto da un’auto da cui è sceso un uomo che lo ha accoltellato ed è scappato. La polizia che aveva assistito a tutta la scena, ha raggiunto, solo dopo l’aggressione, e fermato, l’assassino.
Dal 2012 è stata costituita una sezione italiana di Alba Dorata.

4-Immagini di sfondo del G8(Power point: G8)

POLIZIA VIOLENTA

5-Intervento teatrale “G8” di Andrea Maurizi

Grazie Mario – stacco musicale – propongono 2/3 brani

FASCISMO E POLIZIA
6-Immagini di sfondo Violenze fasciste (Power point: violenza fascista)

Flavio Insinna in una trasmissione radio presenta una lettera apparsa in rete dove Renato Biagetti scrive alla madre Stefania. Renato si domanda e domanda alla madre se il fascismo sia stato effettivamente sconfittoo nell’aprile del 45.
Sconfitto come regime, il fascismo si è infiltrato occultamente in molti spezzoni dello stato democratico, dove ha prosperato ed ha trovato tutele e alimento. Nelle forze dell’ordine e nell’esercito, dal dopoguerra ad oggi, nei servizi segreti, nelle squadre di stampo fascista che si sono rese responsabili di tanti omicidi di militanti antifascisti , nei gruppi del fascismo del terzo millennio.
Le storie raccontate dalle madri di ragazzi ammazzati dai fascisti e forze dell’ordine in questi ultimi anni, vogliono testimoniare la persistenzai di molte forme di fascismo e delle coperture ancora in atto.
6- Video “Polizia Violenta – e i banditi non stanno a guardare

6-Intervento dei ragazzi dell’Associazione 16 marzo – presentazione “malapolizia – e i Banditi non stanno a guardare

Grazie Mario cantano “Clandestino” – immagini dal video “Dax libero e ribelle”-

7-Intervento di Rosa

8- Foto di Renato (dal video Dax libero e ribelle)?

musica: Stalingrado

8-Intervento di Stefania Z. 5 minuti
Lettura “Lettera di Renato” – Stefania F.

8-video Renato video Focene “Spezza le Lame”

POLIZIA E REPRESSIONE

Immagini di sfondo Val susa (Power point: Val susa e Sabina)

In momenti di grande crisi economica e occupazionale come quella attuale, lo Stato tenta di imporre le proprie ricette, scaturite da una logica capitalistica e globalizzata, dove sempre meno le condizioni sociali ed umane della collettività vengono rispettate. Vale per il nostro paese, ma vale per ogni parte del mondo. Le tensioni tra governi e popoli diventano sempre più forti e lo Stato fa sempre più spesso ricorso alle forze di polizia come strumento di repressione, insieme all’introduzione di leggi liberticide.

9-Immagini della militarizzazione della Val Susa / immagini della cementificazione in sabina
musica

9-Testimonianze dalla Valle: Patrizia , Laura e Monica

Stacco musicale – Grazie Mario – “La ballata del Michè”

FASCISMO E VIOLENZA IN CARCERE

Le leggi liberticide in risposta alle tensioni e al disagio sociale stanno riempiendo le carceri, che diventano la nuova frontiera di lotta contro lo Stato repressivo . E’ proprio in questi luoghi (carceri, caserme) luoghi chiusi e senza il controllo civile che si sta consumando una delle più violente aggressioni dello Stato nei confronti dei cittadini. Morti, soprusi in carcere sono all’ordine del giorno. Decine di persone , quasi tutti giovanissimi sono vittime di violenze, torture, come quelle che fascisti e nazisti misero in atto nelle celle di via Tasso.

Audio di Fabio e Nina presentato da Teresa

11-Immagine di sfondo con i morti in carcere e altro(Power point: Violenza in carcere)

11- Lettura di una Lettera di tortura/soprusi in carcere

12-Testimonianza Lucia Uva …….

13- Intervento delle ragazze arrestate il 19 ottobre a Roma

14-Team Legale di Acrobax –

“Grazie Mario” – Il Giudice

Apericena

SUONANO I “MINIMO SINDACALE”

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Dalla valle

da globalist.it

da globalist.it

Fate qualcosa.
La rete di persone che in questi lunghissimi anni è stata tessuta in Italia e anche all’estero si fa viva con telefonate, e-mail, sms per chiedere che si faccia qualcosa (con urgenza), che ci si materializzi per cercare di arginare la valanga di fango che scientificamente orchestrata tenta di sommergerci. (Fate qualcosa). Ma come, ancora? Pensavamo di aver fatto e detto/di tutto. Cos’altro ci dobbiamo ancora inventare? Strano come questa domanda rappresenti bene il quotidiano femminile (domanda storica). Sempre pronte ad interrogarci a inizio come a fine giornata: Ho dimenticato qualcosa? E’ tutto a posto? Ho fatto tutto? (come sempre e sempre di più delegate a coprire le mancanze dello stato sociale).

Questa volta in ballo c’è la difesa di un grande movimento popolare, di più, c’è una storia di oltre vent’anni dove ogni giorno è stato vissuto con intensità. Migliaia di persone quotidianamente hanno contribuito a renderla concreta mettendoci la faccia, portando idee, rendendosi disponibili, finanziandola. Una lotta, un’esperienza di territorio che molti non esitano a definire unica e che è partita e ha messo le sue basi non su un preconcetto ideologico ma studiando i progetti, i flussi di merci, l’impatto ambientale, i costi, verificando sul campo i dati in possesso. Negli anni è cresciuta anche la consapevolezza di avere fra le mani, di veder crescere qualche cosa che va oltre la semplice opposizione ad una grande opera inutile e devastante. Un modello di presa di coscienza collettiva che difficilmente può retrocedere, anzi, si allarga assumendo in sé tutti i temi più attuali: dal lavoro, ai servizi, alla sanità ecc. Partecipando e interrogandosi sempre.

Come ora. Ci si interroga sui fatti accaduti, sul significato che tutto questo assume, è un clima pesante, opprimente e sentiamo soprattutto ingiusto. E’ tale la violenza del linguaggio usato, la sproporzione dei racconti sui fatti realmente accaduti che vengono a mancare le parole per spiegare ai nostri figli increduli (e smarriti). Vediamo e sentiamo raccontare da giornali e Tv una storia che Non ci appartiene. Non siamo un problema di ordine pubblico, siamo una risorsa per questo Paese, siamo una risorsa perché in tutti questi anni il movimento è diventato una comunità critica, consapevole, che sa scegliere. E’ questo che fa paura?

Rivendichiamo il diritto alla partecipazione e alla gestione della cosa pubblica nel rispetto del bene comune e della volontà della popolazione.

Fate qualcosa, ci chiedono da tutte le parti.
Possiamo per esempio fare due conti (siamo abituate a far quadrare bilanci), e dunque siamo consapevoli dello spreco enorme di denaro pubblico sia per l’opera e sia per la badanza armata all’opera. E’ evidente che le dichiarazioni dei ministri che si dicono pronti a sborsare laute ricompense facciano venire l’acquolina in bocca a molti: imprenditori avvezzi a trafficare con fatture false, giri strani, fallimenti e nuove società a scatole cinesi. A chi ha sperato di guadagnare dalle olimpiadi costruendo mega hotel (che neppure in riviera potrebbero trovare clientele tali da soddisfare centinaia di posti letto), ed ora non ha gli occhi per piangere fa tanto comodo buttare la croce addosso ai notav e invocare lo stato di crisi sperando nelle compensazioni.

Chiediamo alle donne (e però non solo alle donne), di prendere parola su quello che sta succedendo.
Conosciamo direttamente sulla nostra pelle la violenza, per questo la rifiutiamo, per questo deve fermarsi lo stupro della nostra valle, e deve finire l’autoritarismo militare su un intero territorio.
Fate qualcosa. Ci verrebbe da ribaltare la domanda e dire noi a voi: fate qualcosa.
Aiutateci ad impedire lo stato di polizia permanente in cui ci vogliono far vivere.
Fate qualcosa per denunciare questa campagna di stampa (che non si pone domande, non fa distinzioni, non esamina fatti e cose decisamente incongruenti che pure sono sotto gli occhi di tutti).
Fate qualcosa perché la storia di un movimento popolare come il nostro non venga liquidata manu militari fra le carte di una procura.
Stiamo resistendo perché vogliamo andare avanti, vogliamo vivere in pace nella nostra valle, vogliamo raccogliere i frutti di oltre vent’anni di crescita collettiva su tutte le questioni a noi care: il futuro delle prossime generazioni, le risorse del nostro territorio, intervenendo per risparmiarlo, risanarlo, non per rapinarlo; mettendo a disposizione le nostre capacità come alternativa al consumo dissennato e per un uso responsabile e consapevole delle risorse. Vogliamo riappropriarci del nostro tempo per partecipare alla gestione e alla cura della nostra comunità. Liberarci dal tav.

Donne in Movimento Valle di Susa

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L’attualità dell’antifascismo

PAVLOS VIVE!

da favacarpendiem.wordpress.com

da favacarpendiem.wordpress.com


 La Grecia rappresenta per molti di noi un chiaro esempio della violenza con cui le misure economiche di austerità si scatenano contro la classe lavoratrice, i disoccupati e i più deboli; al tempo stesso però, è anche un esempio della resistenza che questi soggetti esprimono giorno dopo giorno.

Ma se la crisi e le sue ricadute materiali generano resistenza osserviamo anche il preoccupante riaffacciarsi nell’attualità dello scontro politico, in molti Stati europei ed in forme diverse, di un fenomeno che pensavamo di aver sconfitto: il fascismo.

In Grecia Alba Dorata agisce nei modi classici della dottrina fascista, con le stesse collusioni con ampi settori dello stato – padroni, esercito, forze di polizia – che coprono e finanziano i suoi membri, garantiscono loro impunità e trasformano la paura per il futuro in necessità di sicurezza: è così che il fascismo torna a rappresentare per la classe dominante un modo possibile di gestione della crisi.

I fascisti di Alba Dorata hanno iniziato con la caccia all’immigrato e le ronde passando poi all’aggressione fisica nei confronti dei militanti di partiti e sindacati di sinistra con agguati e attacchi alle loro sedi.

È in questo contesto che si inserisce l’assassinio del compagno Pavlos Fyssas, avvenuto mercoledì  17 settembre a Amfiali da parte di una squadraccia di Alba Dorata.

Pavlos Fyssas era un rapper e militante antifascista noto come “Killah P”: dal punto di vista artistico la sua attività e i suoi testi rappresentavano sicuramente un riferimento per l’antifascismo ellenico e per questo è stato ucciso.

da antiwarsong.com

da antiwarsong.com

L’assassinio di Pavlos, arriva, non a caso, in un momento di particolare tensione sociale e politica mentre sono in corso gli scioperi di insegnanti, funzionari pubblici, medici e lavoratori della sanità contro i nuovi pesantissimi tagli che arriveranno entro la fine dell’anno.

Noi siamo a fianco degli antifascisti che hanno preso d’assalto le sedi di Alba Dorata e affrontato la polizia posta a difesa dei fascisti di cui sono complici. Alle ultime elezioni infatti Alba Dorata è stata votata dal 40% degli agenti delle forze di polizia e sono numerose le immagini che ritraggono la polizia e i militanti di Alba Dorata mentre reprimono fianco a fianco le manifestazioni della sinistra contro l’austerità.

In molte occasioni la cacciata dei fascisti dalle strade e dalle piazze di molte città è stato il pretesto per un intervento in forze dei reparti antisommossa che hanno causato ore di scontri e arresti. Le questure hanno funzionato come luoghi di tortura per gli antifascisti e di protezione per i fascisti che spesso hanno ottenuto informazioni per portare a termine le loro aggressioni.

Crediamo che la risposta che gli antifascisti greci stanno dando in questi giorni sia la sola possibile.

La solidarietà che invece possiamo dare noi di fronte all’ennesimo compagno morto per mano fascista è intensificare la lotta sul nostro territorio e impedire ai fascisti, sotto qualsiasi sigla si presentino, di affermarsi e imporre una politica di maggiore controllo, sfruttamento e repressione.

 Con Dax, Clement e Pavlos nel cuore!

 In Grecia, in Italia, ovunque, chiudere le sedi fasciste.

Contro il fascismo con ogni mezzo necessario.

 FIRENZE ANTIFASCISTA fipviavillamagna27a

Da youtube.com

Da youtube.com

da https://athens.indymedia.org/front.php3?lang=en&article_id=1492738

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8 settembre – I civili nella difesa di Roma

Corriere della Sera  Garbatella e i ragazzini dell’8 settembre

La Garbatella dista da Porta San Paolo meno di un paio di chilometri. È un tragitto che si può fare in superficie ma che settanta anni fa era possibile anche sottoterra tramite un tunnel allora in uso che partendo dal Lotto 22 sbucava sull’Ostiense. La Garbatella era un po’ come il Quadraro, un covo di vipere secondo i tedeschi che rimproveravano ai fascisti le spese sostenute nel rione diventato poi diffusamente antifascista.

Ma torniamo a quel tunnel e alla storia che ancora qualche novantenne del Lotto 22 ricorda con passione. Nel tunnel quelli che si infilavano con maggiore allegria erano i ragazzini di Garbatella che lo usavano come il loro rifugio segreto: nonostante la guerra e gli allarmi aerei, quel tunnel era anche un luogo di giochi, divertimenti, scappatelle. Tra i frequentatori più assidui un giovanissimo Maurizio Arena, che ancora a Garbatella chiamano col vero nome di Maurizio Di Lorenzo. Aveva solo 10 anni e abitava in via Garbatella 24, dove oggi una targa lo ricorda.

Il tunnel era frequentato da molti ragazzini, e quando le mamme li vedevano sbucare fuori tiravano un sospiro di sollievo. E veniamo al dieci settembre del 1943. A Garbatella le notizie che arrivano da Porta San Paolo sono drammatiche. Parlano di scontri, di morti, di feriti, di soldati italiani che si stanno opponendo ai tedeschi. Notizie confuse, contraddittorie, dopo l’8 settembre e l’armistizio. Nel pomeriggio del 10 settembre un gruppo di ragazzi imbocca il tunnel e decide di andare a vedere. Quando poco dopo le cinque del pomeriggio fanno capolino dal tunnel si trovano di fronte una scena di sangue. A Porta San Paolo molti soldati giacciono feriti gravemente per terra, qualcuno ha ricevuto colpi di baionetta tedesca, perfino verso la gola.

Che fare? I più grandi prendono subito una decisione: aiutare i feriti. Come? Trasportandoli al sicuro dentro il tunnel. I più piccoli tornano trafelati a Garbatella, vanno in cerca di aiuto, tornano con i rinforzi.
Inizia così una trafila di salvataggio, che pian piano riesce a introdurre nel tunnel della salvezza una ventina di soldati italiani feriti. Tutt’intorno si odono ancora colpi e spari, però i ragazzi di Garbatella continuano nella loro spola, trascinando quei corpi esanimi e doloranti dentro il tunnel. Il trasporto dura molte ore e impegna tutti i ragazzini che accorrono a frotte. Quando il primo ferito esce dall’imboccatura del tunnel al Lotto 22 è ormai notte. Dove sistemare i feriti? I lavatoi del Lotto sono lì vicino. L’assistenza durerà fino al 4 giugno del 1944. Per mesi i venti soldati saranno accuditi dal Lotto e dai suoi ragazzi.
Dopo l’arrivo degli Americani i carabinieri identificano i venti militari superstiti. Da qualche parte, in qualche archivio, un’informativa dei carabinieri di Garbatella elenca i nomi dei venti soldati salvati dai ragazzi del tunnel.

8 settembre 2013

LA BATTAGLIA DELLA MONTAGNOLA.“ i caduti della Montagnola  sono stati –  59, di cui 11 civili e 48 militari. –

La storia di Suor Teresina merita di essere ricordata: una suora, im- provvisatasi infermiera sul cam po di battaglia, Suor Teresina di S. Anna (Cesarina D’Angelo) ha affrontato in modo eroico un te desco che rovistava tra i cadaveri
dei soldati italiani in cerca di ca tenine d’oro e vedendolo nell’atto di strappare una medaglietta d’oro dal collo di un granatiere caduto e composto poco prima con mani giunte e rosario sul petto, messo da Suor Teresina. Il tedesco venne sorpreso e, come una madre la suora si lanciò sul predatore, colpendolo in fronte con il crocefisso d’ottone e
non si turbò della minaccia del mi tra che il ladro le puntò al viso. La jena, davanti alla coraggiosa suora, dovette desistere dal suo comportamento e ritirarsi. Suor Teresina, nel prosieguo della
battaglia, cercando i feriti rimase colpita e dopo tre mesi per le ferite morì. Il suo nome figura nell’epigrafe con i nomi dei caduti dellabattaglia della Montagnola.
 Il fornaio Quirino Roscioni, mutilato della prima guerra mondiale,  il mattino del 10, dalla palazzina del suo forno, si oppose assieme ai suoi lavoranti ai tedeschi e una volta espugnato gli fu permesso, assieme alla cognata Pasqua D’An geli, madre di quattro figli, di recarsi presso la Chiesa ma vennero mitragliati, alle spalle, cadendo in un lago di sangue. Quella mattina aveva panificato le “ciriole” (pane tradizionale romano) per darle ai soldati italiani impegnati nei combattimenti contro i tedeschi.
da http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2013/itinerari_montagnola.pdf

 

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8 settembre – L’inizio della resistenza

La battaglia contro l’ occupazione dei nazisti si combatte’ a Roma attorno a Porta San Paolo per cercare di impedire l’ occupazione della citta’ da parte delle truppe tedesche. In quella battaglia caddero 414 militari e 156 civili.

Dal sito reistenzaitaliani.it http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenza2c5.html

Il 10 settembre1943, la zona sud di Roma è teatro di uno degli episodi più drammatici ed eroici della Resistenza: la battaglia di Porta San Paolo: l’estremo, disperato tentativo da parte dei militari e dei civili italiani di opporsi all’occupazione tedesca della capitale avviata subito dopo l’annuncio dell’armistizio.

A seguito della caduta del fascismo e della formazione del governo Badoglio, nella capitale erano confluite alcune divisioni dell’esercito regio. Contemporaneamente i partiti di sinistra, tornati allo scoperto e appena tollerati dal nuovo presidente del consiglio, iniziarono ad organizzare i primi nuclei militari composti da militanti antifascisti, coordinati da una Giunta militare nata alla fine d’agosto e diretta dai comunisti Luigi Longo, Giorgio Amendola e Mauro Scoccimarro; dagli azionisti Riccardo Bauer, Ugo La Malfa ed Emilio Lussu; dai socialisti Pietro Nenni e Giuseppe Saragat.

Dunque, al momento dell’annuncio dell’armistizio, la sera dell’8 settembre, la possibilità di difendere la città dall’imminente attacco nazista non è da escludere. Ma all’alba del 9 il re         Vittorio Emanuele III, Badoglio e le autorità militari abbandonano Roma senza impartire nessuna direttiva precisa, lasciando l’esercito nella più assoluta incertezza.

Sin dalla notte dell’8 settembre avvengono combattimenti alla periferia della capitale: i militari italiani hanno la peggio e sono costretti a ritirarsi. La mattina del 10 una parte di questi si riunisce intorno a Porta San Paolo dove li attendono i civili giunti spontaneamente od organizzati dai partiti antifascisti. Si ritrovano così fianco a fianco, tra gli altri, i superstiti della Divisione «Granatieri di Sardegna», i Lancieri del battaglione «Genova Cavalleria», alcuni reparti della Divisione «Sassari» e moltissimi civili armati alla meglio.

Nonostante la schiacciante superiorità numerica e d’armamento delle truppe tedesche comandate dal maresciallo Kesselring, Il fronte resistenziale riesce ad attestarsi lungo le mura di Porta San Paolo, innalzando barricate e facendosi scudo delle vetture dei tram rovesciate.

Nel corso della battaglia si distinguono militari come il generale Giacomo Carboni, comandante del Corpo d’armata motocorazzato, che si prodiga nel tenere alto il morale dei soldati: manda i carabinieri a staccare i manifesti disfattisti che danno per imminenti le trattative con i tedeschi, fa spargere la notizia dello sbarco ad Ostia degli alleati e dell’arrivo a Roma delle divisioni «Ariete» e «Piave». Combattono valorosamente i tenenti colonnello Enzo Nisco e Franco Vannetti Donnini, i capitani Giulio Gasparri e Camillo Sabatini, i tenenti Francesco Saint-Just, Gino Nicoli, Guido Bertoni, Vincenzo Fioritto, il carrista Salvatore Lo Pizzo e tanti altri soldati.

Molti anche i civili che pagano con la morte il loro eroismo: l’operaio diciottenne Maurizio Cecati è colpito a morte mentre incita i suoi compagni alla lotta; il fruttivendolo Ricciotti che, finito il lavoro ai mercati generali, si era improvvisato eccezionale tiratore; muore colpito da una scheggia Raffaele Persichetti, professore di storia dell’arte al liceo classico «Visconti».  Persichetti sarà la prima medaglia d’oro della Resistenza.

 

 

Complessivamente nella battaglia di Porta San Paolo muoiono quattrocento civili tra cui quarantatré donne.

Molti anche i dirigenti dei partiti antifascisti presenti sul luogo della battaglia: tra gli altri, Luigi Longo, Antonello Trombadori e Fabrizio Onofri del PCI; Emilio Lussu e Ugo La Malfa del PdA; Sandro Pertini, Eugenio Colorni, Mario Zagari del PSIUP; Romualdo Chiesa e Adriano Ossicini del Movimento dei cattolici comunisti; il sindacalista socialista Bruno Buozzi.

Nel primo pomeriggio la resistenza è travolta dai mezzi corazzati tedeschi e il capo di stato maggiore della Divisione «Centauro», Leandro Giaccone, firma la resa a Frascati, presso il Quartier generale tedesco.

La battaglia di Porta San Paolo è considerata il vero e proprio esordio della Resistenza italiana e in lei si può misurare emblematicamente il comportamento dei vari protagonisti. Le istituzioni, la cui assenza è ben rappresentata dalla fuga del re e del governo; l’esercito, diviso tra chi sceglie di combattere e chi, come il vecchio maresciallo d’Italia Enrico Caviglia, tratta con il nemico; gli organi politici antifascisti, che imboccano decisamente la strada della lotta di liberazione con la costituzione del CCLN ; infine la popolazione, che, nonostante la paura, sceglie numerosa, almeno in questa occasione, la solidarietà antinazista contro l’indifferenza.

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Nei secoli fedele…….2

Omicidio Cucchi, i dubbi dei Giudici sui Carabinieri

 Nelle motivazioni della sentenza torna alla ribalta l’Arma che La Russa aveva assolto prima dalle indagini
Sono parecchi gli appunti delle motivazioni sul cono d’ombra di un’inchiesta controversa che ha teso prima, a escludere dall’inizio un ruolo degli elementi dell’Arma coinvolti nelle operazioni di arresto, custodia e traduzione di Stefano. E poi è riuscita anche ad assolvere l’altra polizia, quella penitenziaria, derubricando il caso a una più banale colpa medica.A porre un diktat sulla Benemerita fu La Russa in persona: «il Ministro della Difesa aveva rivendicato la correttezza del comportamento dei Carabinieri; inoltre vi erano state dichiarazioni di parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici, il tutto veicolato da Radio Radicale, ( emittente nazionale), con la trasmissione “Radio Carcere”, molto popolare tra i detenuti», si legge nella sentenza.

E poi ci sono i “pasticci” delle carte che accompagnano il detenuto all’udienza di convalida, da cui risultava essere un albanese più anziano e senza fissa dimora così da precludergli i domiciliari. Oppure il “giallo” dell’avvocato: Cucchi ne aveva nominato uno ma l’Arma non l’ha cercato. E le dichiarazioni dei militari cozzano spesso tra loro.

Sempre quello che ha ricordato Giovanni Cucchi, il padre, «quando Stefano si era seduto sulla panca e si era visto avvicinare dall’avvocato di ufficio, appunto l’avvocato Rocca, si era arrabbiato con i carabinieri ai quali aveva detto: “ma come, non avete chiamato l’avvocato Maranella? Ma come, vi avevo detto ieri sera di chiamarlo, mannaggia”, al che un carabiniere, “cadendo dalle nuvole”, gli aveva risposto: “Maranella … Maranello, bah!”». «C’era un battibecco continuo nei confronti dei Carabinieri … si sentiva, verso la fine dell’aula un … battibecco che comunque non era consono all’aula”, “lui era molto risentito per … per l’arresto, secondo lui era un fatto totalmente inaccettabile».

Ma andiamo con ordine.

«E’ legittimo il dubbio che il Cucchi, arrestato con gli occhi lividi, (perché molto magro e tossicodipendente secondo la interpretazione di Mandolini) e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri». Così a pagina 39 delle motivazioni, 187 pagine diffuse ieri, della sentenza sulla morte di Stefano Cucchi. «Non è certamente compito della Corte – si legge ancora – indicare chi dei numerosi carabinieri che quella notte erano entrati in contatto con Cucchi avesse alzato le mani su di lui, e tuttavia sono le stesse dichiarazioni dei carabinieri che non escludono la possibilità di prospettare una ricostruzione dei fatti diversa da quella esternata da Samura Yaya (il teste chiave, ndr). Né si può dire che il Cucchi avesse esagerato con Colicchio (un altro carabiniere, ndr) le sue problematiche di salute fingendo di sentirsi peggio di come in realtà si sentisse, in quanto l’intervento dell’ambulanza non era partito da una sua richiesta, (ma da un’iniziativa di Colicchio) e quando questa era arrivata egli si era dapprima rifiutato di farsi visitare e infine si era rifiutato di recarsi al Pronto Soccorso, come lo sollecitava l’infermiere Ponzo». Le stranezze sono due: che con tutti questi dubbi la Corte non ha rinviato gli atti per una nuova indagine e che i carabinieri non si preoccuparono di stabilire le reali condizioni di salute dell’arrestato: « all’atto della presa in carico di un detenuto – ricorda il giudice – è regola di prudenza per chi lo riceve, al fine di non incorrere in indebite responsabilità, farlo sottoporre a visita medica affinchè vengano certificate le condizioni fisiche o comunque di salute nelle quali lo stesso si trovi, se queste non siano normali e si possano sospettare atti di violenza. E allora occorre ricordare che, per quanto riguarda Cucchi, il primo che aveva preso in considerazione in maniera quanto meno problematica le sue condizioni fisiche era stato proprio quel carabiniere Colicchio, piantone della Caserma dei Carabinieri di Roma-Tor Sapienza, cui il malcapitato era stato affidato per la notte dai Carabinieri della Stazione di Roma-Appia».

Più avanti si legge che «talune dichiarazioni rese da alcuni carabinieri e dall’infermiere Ponzo che dimostrerebbero che il giovane aveva subito delle violenze prima di giungere nelle celle di piazzale Clodio».

«L’arrestato veniva dunque prelevato dalla pattuglia mobile di zona Casilina, composta dai carabinieri Schirone Pietro e Mollica Stefano. Il carabiniere Schirone riferiva circostanze contrastanti con quelle riportate dal carabiniere Di Sano».

Schirone, che lo andò a prendere in cella, riferisce di un collega piantone che gli disse che «il detenuto, durante la notte aveva creato … aveva creato qualche fastidio dando, a suo dire, delle testate ai muri nella cella di sicurezza (…) scesi nelle celle con … con il collega e appunto aprii la cella del. .. del Cucchi. Stefano Cucchi era sotto le coperte, infatti quando siamo arrivati … quando siamo arrivati dormiva. A quel punto lo … lo svegliammo e si alzò. Si alzò e notai che comunque aveva sul viso … aveva il viso gonfio, aveva delle macchie sotto agli occhi, al che chiesi appunto al collega e gli dissi: “ma avete chiamato un’autoambulanza, qualcuno? “, e disse: “sì, abbiamo chiamato un’ autoambulanza, però non si è fatto … refertare “(…) A quel punto svegliato … svegliato il Cucchi, lo guardai un attimo e dissi: “ma … ma che hai fatto?” e lo stesso mi disse: “no no, amici miei, amici miei”, basta. Poi mi disse … ha aggiunto inoltre che dovevamo assumere una compressa perché era … era epilettico, al che avendo persone in famiglia che soffrono della stessa malattia, gli ho chiesto se volesse andare in ospedale e non a Piazzale Clodio, gli ho detto: “io ti porto all’ospedale, ti mando all’ospedale, così pigli tutto quello che devi prendere, a Piazzale Clodio ci pensiamo dopo” e lo stesso mi disse: “no no, andiamo, andiamo”.

Anche il carabiniere Mollica ha detto che «aveva dei … gonfiori intorno agli occhi, mi è venuto subito la domanda se aveva bisogno di un medico e lui ha rifiutato il medico, dopo di che gli ho chiesto come mai aveva questi “questi gonfiori, questi cerchi intorno agli occhi, ben visibili e … e lui mi ha risposto che erano stati dei suoi … dei suoi amici. Allora gli ho detto … gli ho ribadito dicendo: chi? Gli ho detto così e lui ha detto: no, so’ caduto dalle scale”».

Il carabiniere Colicchio riferiva che Cucchi, alla sua richiesta di togliersi la cintura che aveva la fibbia rotta, gli aveva risposto “che ve devo dà pure ‘sta cintura che mi hanno rotto?”, senza tuttavia chiarire chi gliela avesse rotta. Ma «Colicchio, esaminata la foto del Cucchi al suo ingresso in carcere, precisava che quando lo aveva visto lui, il ragazzo aveva solo un rossore sotto gli occhi, ma non era gonfio come risultava dalla foto scattatagli all’ingresso di Regina Coeli, (analoga risposta forniva il carabiniere Aristodemo).

A sentire il suo collega Di Sano, Cucchi «aveva sempre dormito, non si era lamentato di nulla, se non del freddo al risveglio, tanto che si era alzato sulla testa il cappuccio della felpa, nemmeno aveva voluto andare in bagno prima di uscire dalla caserma; camminava con un pò di fatica, (“claudicante”, “tremolante”, “ciondolante”)». Di Sano aveva attribuito ciò alla sua estrema magrezza e al suo stato di tossicodipendenza; aveva le occhiaie rossastre e il viso un po’ gonfio, simile a come era effigiato nella fotografia di Regina Coeli».

Le motivazioni stabiliscono dunque che al momento della perquisizione domiciliare «il giovane non presentava segni di patita violenza»; ma alla convalida dell’arresto «il giovane presentava evidenti segni di violenza che, tenuto pure conto dei limiti che può avere una riproduzione fotografica, erano quelli rilevabili dalla foto in atti scattata al momento dell’ingresso a Regina Coeli. Più arduo stabilire quali fossero le condizioni del giovane nella fase immediatamente precedente, cioè quando, effettuata la perquisizione domiciliare, ancora si trovava nella custodia dei Carabinieri».

Ricapitolando: «Il maresciallo Mandolini, e i carabinieri Tedesco e Aristodemo, (ovvero gli operanti della Caserma Roma-Appia), riferiscono che Cucchi già aveva occhiaie marroni non dissimili da quelle dalla foto, ancorchè forse meno accentuate, che in particolare il Tedesco aveva ritenuto connaturate alle condizioni di magrezza e alla lunga storia di tossicodipendenza di Cucchi; il carabiniere Nicolardi, (della pattuglia consorziata che aveva trasferito l’arrestato dalla Caserma Appia a quella di Tor Sapienza), lo vede in viso in condizioni normali, nel corpo non sofferente, né zoppo. Dopo di che, man mano che ci si allontana dagli operanti della Caserma Roma-Appia, (come è stato osservato dalle difese degli agenti di custodia), le patologie del Cucchi vengono riferite con maggior nettezza. Così il carabiniere Colicchio della Stazione Tar Sapienza, dove il giovane trascorre la notte prima della convalida, rileva il rossore sotto gli occhi, anche se il volto è meno gonfio di quello della foto; il carabiniere Di Sano, che alle h. 6,00 del 16 ottobre da il cambio a Colicchio, è ancora più esplicito e riferisce che aveva le occhiaie rossastre e il viso gonfio simile a quello della foto ed inoltre camminava con un po’ di fatica; addirittura il carabiniere Schirone, componente della pattuglia mobile di zona (P.M.Z.), che percorre con il Cucchi il tratto dalla Stazione di Tor Sapienza e al Tribunale di p.le Clodio, riferisce di avere appreso dal Di Sano che il Cucchi durante la notte aveva dato in escandescenze colpendo con testate i muri della cella; che aveva potuto direttamente costatare che lo stesso zoppicava, aveva il viso gonfio con macchie sotto gli occhi».

«Schirone, a seguito della contestazione del PM, ha confermato le dichiarazioni rese il 30110/2009: “Dopo averlo accompagnato in cella io chiedevo ai colleghi di Appia se si erano resi conto delle condizioni fisiche del detenuto e se avevano ritenuto di portarlo in Ospedale, al che il carabiniere Tedesco mi rispondeva che non era stato affatto collaborativo tanto che aveva rifiutato il fotosegnalamento. Concludevo la. conversazione raccomandando al Tedesco di tenere il detenuto sotto controllo anche in considerazione del fatto che mi aveva detto che era epilettico “; “il Cucchi ricordo che zoppicava, ricordo che aveva un malore a …. a una gamba, non ricordo adesso quale fosse, e ricordo anche che nel momento in cui siamo andati via dalle celle di sicurezza, le stesse avevano … cioè … per uscire … dalla Stazione Carabinieri comunque bisogna salire una rampa di scale. lo ovviamente ero avanti perché dovevo. andare a firmare tutti i registri, essendo capo equipaggio. Ricordo che … credo che il Mollica abbia dato una mano a Cucchi a salire le scale” e ancora penso comunque che il viso di Cucchi e gli ematomi che avesse sul viso Cucchi fossero più importanti dell’avere … un dolore a una gamba”, “Penso comunque che avere un viso in queste condizioni … “. In Aula un difensore di uno dei secondini gli domanderà se il Cucchi fosse stato pestato: «Pestato … beh, … qualche schiaffo in quelle condizioni penso di sì”», dice Schirone.

Una delle zone d’ombra è senza dubbio la circostanza dell’arrivo dell’ambulanza nella camera di sicurezza dove Stefano passò la notte dopo essere stato interrogato e prima di andare a Piazzale Clodio. «Va ricordato – scrivono i giudici – che il rifiuto opposto all’infermiere non era il primo eccepito da Cucchi in quanto egli già si era rifiutato di sottoscrivere gli atti redatti nella Caserma di Roma-Appia e si era sottratto altresì al fotosegnalamento, (la cui mancanza certamente non aiuta a sciogliere i dubbi sulla condotta tenuta quella notte dai carabinieri)». Viene formulata un’ipotesi: « Se qualcosa di anomalo si era verificato, ciò può verosimilmente collocarsi nel lasso di tempo che va tra il ritorno dalla perquisizione domiciliare, (verso le h. 2,00), e l’arrivo della pattuglia automontata condotta da Nicolardi, (intorno alle h. 3,40)». « In via del tutto congetturale potrebbe addirittura ipotizzarsi che il Cucchi fosse stato malmenato dagli operanti al ritorno dalla perquisizione domiciliare atteso l’esito negativo della stessa laddove essi si sarebbero aspettati di trovare qualcosa, (l’operazione dell’arresto era stata propiziata da una fonte confidenziale), mentre il giovane aveva mantenuto una comprensibile reticenza circa il luogo dove realmente egli abitava. In questo ipotetico contesto potrebbe trovare la sua collocazione la circostanza, risultata inspiegabile, del mancato “rintraccio” sul relativo albo, da parte dei Carabinieri, dell’avvocato Maranella, difensore “storico” del Cucchi oggetto delle sue recriminazioni in aula contro i Carabinieri».

A Regina Coeli, Cucchi aveva conosciuto Alaya Tarek, un altro detenuto che si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Costui aveva riferito che la sera in cui Cucchi era entrato nella cella aveva freddo, si sentiva male, aveva gli occhi cerchiati e camminava a fatica, tanto che lui gli aveva chiesto: “che è successo? “, ricevendo questa risposta: “mi hanno riempito di botte, tutta la notte preso botte dai Carabinieri “, “ho preso tante botte in Caserma dai Carabinieri “». Più o meno la stessa storia era stata riferita da una detenuta che avrebbe fumato una sigaretta con Stefano nei sotterranei di Piazzale Clodio: a lei avrebbe detto che lo avevano conciato così «gli agenti che l’avevano arrestato».

Un agente della polizia penitenziaria, Mastrogiacomo, ha ricordato ai pm che «quando l ‘ho visto, così, mi è venuto spontaneo dirgli se aveva fatto un frontale con un treno, perché l ‘ho visto diciamo un po’ con … violaceo sul viso, così, un po’ che camminava a stento … non riusciva a piegarsi perché aveva un segno su … sopra l’osso sacro “, “gli ho chiesto perché l’avevano arrestato e mi aveva detto che l’avevano fermato con un po’ di … roba, così, e che era stato diciamo menato all’atto dell’arresto …. cioè all’inizio ha detto così, i Carabinieri, poi dopo glielo ho richiesto dice: ‘all’atto dell’arresto’, mi ha detto, queste parole “, “che era stato pestato all’atto dell’arresto, sino a che è stato in piedi diciamo, ha … parato qualche colpo e poi per terra non … non si è potuto para’, ma da chi e come non lo so “, “e poi mi ha detto che faceva il pugile perché l ‘ho visto talmente secco, gli ho detto se era anoressico … dice: ‘no, guardi, devo stare al di sotto dei 44 chili perché faccio il pugile’ “, “quando l ‘ho fatto spogliare, è brutto dirlo, mi ha fatto pena, l ‘ho visto molto deperito e gli ho chiesto se era anoressico”».

Checchino Antonini da popoff

04 settembre 2013

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Le parole delle madri

Riportiamo le parole della madre di uno degli arrestati del 19 luglio scorso, durante la passeggiata notturna al cantiere di Chiomonte (attualmente agli arresti domiciliari come per altri di loro). Le parole della madre di un notav che non lasciano indifferenti di fronte al ricordo di quella che fu una notte in cui le forze dell’ordine, complici i Pm Rinaudo e Padalino (e affini), diedero libero sfogo al comportamento più ignobile che potessero mettere in atto. Una lettera che non solo trasmette il ricordo e le sensazioni di quella sera, ma che si fa ricca di forza e solidarietà verso i notav e la lotta contro l’alta velocità
La mamma di uno degli arrestati del 19 luglio 2013

Domani19. …..un mese fa, il 19 luglio, a quest’ora mio figlio si apprestava a prendere parte alla “passeggiata notturna” che quella sera avrebbe portato ancora una volta “i valsusini dentro” a manifestare contro lo sfregio del TAV Torino-Lione e a difesa del diritto di tutti alla autodeterminazione.

Ancora poche ore e si sarebbero perse di lui , come di tanti altri manifestanti come lui, le tracce. Per lunghe ore una ridda di voci contraddittorie frammentarie li avrebbe dati per presi, persi, feriti, in fuga tra i boschi…….E’ a fatica che finalmente nel corso della mattinata dalle autorità si riesce ad avere notizie: sono in 9 i fermati, per 7 il fermo è stato seduta stante trasformato in arresto. Dove siano a quel punto non si sa, questura, le Vallette, voci diverse si susseguono, si ha conferma però che tutti sono stati pestati, cominciano a circolare foto, c’è sangue, sguardi tesi, gesti di inutile sopraffazione, e la testimonianza di Marta, una dei fermati, rilasciata forse perché “impresentabile”, conciata com’è, col volto tumefatto e le parole pesanti di accusa che a fatica riesce a far passare tra le labbra lacerate e le ferite dell’anima, ne è prova inequivocabile.

Un mese è passato, e come in un copione che si ripete, proprio ora, in questi minuti, mentre trova finalmente forma quello che ho provato in quelle ore e giorni di terribile attesa, di nuovo un manipolo di persone è fermo in presidio davanti al carcere delle Vallette, a far sentire il proprio sostegno, e la presenza forte e solidale di tutti coloro che in Italia si schierano con i Valsusini, all’ultimo, in ordine di tempo, dei ragazzi notav arrestati : si tratta di Giobbe, che io non conosco personalmente ma verso il quale sento l’empatia di chi attraversa le stesse esperienze, per cui quello che viene fatto agli altri viene fatto a te….

Se si rinnova in me lo sdegno per il trattamento cui nel nostro “democratico “ paese viene sottoposto chi esprime un legittimo dissenso, insieme cresce la consapevolezza di una nuova forza ; ed è perciò proprio in questo momento che devo dire grazie a queste persone stupende , capaci di trasformare parole come solidarietà- comunità- determinazione- dedizione- gratuità- in realtà, a trasformare questi ideali che noi abbiamo sempre perseguito, inseguito, nella nostra solitaria quotidianità, in cose vere, tangibili, così reali che ti cambiano la vita.

Senza il loro sostegno, la loro presenza non ce l’avrei fatta, un mese fa, oggi voglio essere con loro a passare a Giobbe e a chi gli vuol bene la forza di cui abbiamo bisogno.

 

da notav.info

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