Per non dimenticare. 5 Gennaio muore Giuseppe Fava, una vita contro, una vita per la libertà

Giuseppe Fava

Giuseppe Fava nasce a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il 15 Settembre del 1925. Profondamente innamorato del paese natale, dove i genitori abitarono sino alla fine degli anni ’90, lo visitava spesso e lo ha celebrato nei suoi scritti. Negli anni ’40 si trasferì a Siracusa per frequentare il Ginnasio ed il Liceo. Fu tra i migliori alunni del Liceo Gargallo, che recentemente ha intitolato all’illustre allievo la Biblioteca dell’Istituto. Visse a Siracusa gli anni della guerra in Sicilia, dedicando a quel soggiorno splendide pagine.
Dopo gli studi liceali si trasferì a Catania e si laureò in Giurisprudenza. Alla carriera di avvocato preferì la professione di giornalista, che iniziò come cronista al giornale Sport Sud di Catania. Dal 1951 al 1954 fu capocronista al Giornale dell’isola, e successivamente al Corriere di Sicilia.
Alla fine degli anni ’50, col cambiamento di gestione di quel quotidiano, passò al giornale L’Isola – Ultimissime, prima di approdare, sempre come capocronista, al quotidiano catanese del pomeriggio Espresso sera, ove lavorò per oltre venti anni. In quel periodo, oltre l’impegno quotidiano al giornale, fu inviato speciale del settimanale milanese Tempo, e corrispondente del Tuttosport di Torino.
Oltre alle numerose inchieste giornalistiche, raccolte successivamente nei volumi Processo alla Sicilia (1970) e I Siciliani (1980), negli stessi anni maturò una straordinaria vocazione artistica, letteraria e pittorica.
Nel 1966 vinse il Premio Vallecorsi con Cronaca di un Uomo, e nel 1970 il Premio IDI con La Violenza, da cui Florestano Vancini trasse il film di successo Violenza Quinto Potere (1974). Gli anni successivi videro la pubblicazione dei romanzi Gente di rispetto (Bompiani, 1975) da cui Luigi Zampa trasse il film omonimo, Prima che vi uccidano (Bompiani, 1977) e Passione di Michele (Cappelli, 1980) dal quale Werner Schroeter trasse il film Palermo oder Wolfsburg, vincitore dell’Orso d’oro al festival di Berlino del 1980, e delle opere teatrali de Il Proboviro (1972), Bello Bellissimo (1975), Foemina ridens (1980). Opere di grande maturità e complessità che hanno consacrato lo scrittore siciliano come acuto testimone del suo tempo e come profondo studioso ed esperto del fenomeno della mafia siciliana.
Nel decennio 1965-1975 realizzò a Catania e Roma quattro personali degli oli e delle grafiche realizzate in quegli anni.
Nel 1980 fu chiamato alla direzione del Giornale del Sud, idea editoriale maturata all’interno dell’ambiente imprenditoriale, politico e giornalistico della Catania di quegli anni. Fu subito un giornale irriverente, senza prudenze, né ossequi. I notabili furono chiamati a rispondere dei loro misfatti, il sacco edilizio, l’arrembaggio dei mafiosi, la rassegnazione degli onesti. La reazione al pericolo rappresentato da Fava e dal Giornale del Sud fu immediata e forte: la censura, le minacce, gli attentati ed infine il licenziamento. Pochi mesi dopo la rottura di Fava con l’editore il giornale cessava le pubblicazioni.
Nel 1982 Giuseppe Fava costituisce, insieme alla parte della redazione del Giornale del Sud che ne aveva condiviso le scelte di fondo, fonda la cooperativa editoriale Radar e registra una nuova testata I Siciliani. Con quel mensile, dall’elegante veste tipografica, Fava aveva scelto di raccontare la Sicilia come metafora di quei tempi: la devastazione dell’ambiente, la trappola nucleare di Comiso, la sfida della mafia. Temi che aveva già affrontato nella attività letteraria e che trattava ora col rigore del giornalista. Giornale di inchieste in tutti i campi della società: politica, attualità, sport, spettacolo, costume, arte, che vuole essere appunto il documento critico di una realtà meridionale che profondamente, nel bene e nel male, appartiene a tutti gli italiani. Un giornale che ogni mese sarà anche un libro da custodire. Libro della storia che noi viviamo. Scritto giorno per giorno.
I temi sviscerati quotidianamente nelle inchieste, strettamente contestualizzati nel decennio italiano che tentava disperatamente di lasciarsi alle spalle gli anni di piombo, maturarono la forte idea teatrale de Ultima Violenza, andata in scena al Teatro Stabile di Catania nel novembre-dicembre 1983. Dramma documento di quello che può succedere quando la società ferita e morente farà l’ultimo tentativo di salvezza; un processo a sette personaggi coinvolti forse in un solo assassinio, politici, finanzieri, terroristi e mafiosi, emblematici di tutta la violenza. Il palazzo di giustizia stretto in assedio; fuori l’imminenza della tragedia; può essere una terribile rivolta popolare, oppure il trionfo degli assassini. Una tragedia collettiva dalla quale emerge la vicenda di un uomo solo in cui si aggrovigliano tutte le componenti drammatiche, il dolore, la paura, l’ironia, la vendetta, la speranza, il sogno. Un personaggio che si eleva solitario e misterioso nel cuore della tragedia fino alla rivelazione finale. Arcangelo o diavolo? Domanda giusta, poiché non sappiamo chi sarà presto o tardi il padrone della società italiana e quindi della nostra vita.

Ancora una reazione al pericolo Fava, questa volte ancora più forte, cinque pallottole umide di pioggia la sera del 5 Gennaio del 1984, alle 21,30.
Non fa in tempo a voltarsi né a stupirsi. Probabilmente non si accorge neppure di morire. Sarà l’unico effimero conforto per la famiglia.
da http://www.fondazionefava.it/sito/biografia/

dedicato agli “Angeli di Borsellino”

http://nuke.alkemia.com/Home1/Lemafie/GiuseppeFavaunuomocontrounavitaperlaliber/tabid/861/Default.aspx

“La causa umana fondamentale della mafia è la miseria senza vie d’uscite, cioè la miseria che riunisce l’ignoranza, la malattia, la superstizione, la sporcizia, la violenza. Anche le cose futili della vita diventano essenziali. In un paese dove ogni individuo maggiorenne ha la possibilità di lavoro ben retribuito, non si troverà mai un uomo disposto ad uccidere per centomila lire o per un milione“.

G. Fava, La morte addosso, in Processo alla Sicilia, Catania, Ites, 1967, p. 192

I siciliani. Storia di un giornale antimafia


Il 5 gennaio del 1984 moriva a Catania, assassinato in un agguato mafioso, Giuseppe Fava. Quasi sessantenne, Fava era uno scrittore di fama nazionale oltre ad essere principalmente un giornalista e autore di teatro. Da un anno aveva fondato, insieme ad un gruppo di giovani giornalisti suoi soci nella cooperativa Radar, il mensile I Siciliani. Nell’editoriale del primo numero aveva elencato i temi di cui la rivista avrebbe cominciato ad occuparsi: la crescita spaventosa della mafia, il sogno fallito dell’industria, la corruzione politica, l’inquinamento delle coste e la campagna pacifista in risposta allo stanziamento di missili nucleari nelle Basi Nato della regione. I giornalisti, attraverso lo strumento dell’inchiesta, riuscivano così ad approfondire temi e questioni che l’informazione siciliana fino a quel momento non aveva preso in considerazione. Il tutto condito da una cronaca di stampo letterario, il continuo racconto delle storie di vita, un grande laboratorio di scrittura e nuovi linguaggi.
Così quel mensile di approfondimento diventava il manifesto della libertà di stampa in Sicilia: un giornale “senza padroni e né padrini” che si era rivelato un vero e proprio terremoto nel mondo della stagnante informazione regionale siciliana, oltre a diventare una spina nel fianco dei politici collusi e dei mafiosi.
Nel primo numero era presente l’inchiesta probabilmente più importante di tutta la storia de I Siciliani: “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, un servizio dedicato ai quattro maggiori imprenditori catanesi, Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro. Di loro aveva parlato il generale dalla Chiesa prima di essere ucciso dalla mafia, rispondendo all’intervista di Giorgio Bocca: “I quattro maggiori imprenditori catanesi oggi lavorano a Palermo – aveva detto dalla Chiesa – lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?”.
C’era una nuova mappa del potere mafioso, e I Siciliani, che avevano seguito le cronache di quegli anni, lo avevano capito e ne cominciavano a delineare i contorni. Non fu un caso così scoprire che uno degli imputati dell’omicidio dalla Chiesa era stato proprio Nitto Santapaola, boss in ascesa della mafia catanese, fino all’anno precedente ritenuto un semplice imprenditore rampante, amico delle istituzioni e del mondo degli affari, nonché protettore dei cavalieri del lavoro.
Negli anni de I Siciliani, nella Sicilia scossa dall’“effetto dalla Chiesa”, si scopre così da quel giornale che la mafia a Catania è ben radicata, che il territorio etneo sta diventando di primissimo piano nello scacchiere della criminalità organizzata, rivelandosi centro nevralgico degli equilibri economici di Cosa nostra. Tutto ciò sebbene i catanesi non lo avessero ancora sospettato, tranquillizzati dalle istituzioni e dalla grigia informazione di palazzo che cercavano di minimizzare gli accadimenti in una città investita da una ondata di violenza senza precedenti che aveva fatto meritare il titolo di “città nera” d’Italia.
Catania farà i conti con la mafia proprio il 5 gennaio del 1984, davanti all’omicidio di un intellettuale, di un uomo che era riuscito a parlare davvero alla gente e a proporre strumenti razionali per la lotta alla mafia. Il segnale era chiaro, l’ennesimo giornalista ucciso in Sicilia. Al ricatto mafioso I Siciliani non cederanno, continuando nel proprio lavoro, denunciando con forza le collusioni tra mafia, magistratura e imprenditoria. Essi riusciranno ad essere, per qualche anno, i protagonisti del movimento antimafia siciliano, coagulando intorno a loro la società civile, dopo aver sensibilizzato una nazione intera. Continueranno ad essere così il punto di riferimento, insieme al quotidiano L’ora di Palermo, dell’informazione antimafia, seppur soffrendo parecchi problemi finanziari dovuti al fatto di essere un giornale libero e senza padroni. Questa sarà la causa che ne comporterà chiusure transitorie e purtroppo quella definitiva nel 1996.
Questo lavoro vuole ripercorrere la storia di quegli anni, cercando di ricostruire, attraverso gli avvenimenti di mafia e di antimafia che la Sicilia ha attraversato dagli anni Ottanta fino a metà anni Novanta, un senso di quella vicenda. Attraverso lo specchio del giornale I Siciliani, e il suo stile a metà tra cronaca e letteratura, si racconteranno alcuni profili dei siciliani stessi, quelli potenti e impuniti, i corrotti e i collusi, quelli semplici, gli onesti, i poveri e i disperati. Si approfondirà la figura di Giuseppe Fava, padre della testata, maestro di un giovane gruppo di giornalisti negli anni Ottanta. Conosceremo le storie di giudici che hanno perso la loro vita per lottare contro la mafia, insieme a quelli messi sotto inchiesta per collusione e associazione mafiosa. Parleremo dei politici siciliani, quelli onesti e quelli amici di Cosa nostra e di fatto “terzo livello” della stessa. Poi ancora racconteremo le storie dei giornalisti con la schiena dritta, che con le loro inchieste hanno sancito la loro condanna a morte da parte della mafia, e dei giornalisti di palazzo, creatori di consenso e complici degli equilibri dell’assurdo monopolio dell’informazione siciliana. E ancora le storie dei cavalieri del lavoro, di avvocati, di poliziotti, e di semplici cittadini. I siciliani insomma, nel bene e nel male.

http://isicilianidigiuseppefava.blogspot.it/

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