I cani neri ringhiano, Stefania sorride

I cani neri ringhiano, Stefania sorride

(A Renato Biagetti)


Stefania sorride sempre.

Stefania sorride a tutti.

Stefania ha il viso tondo e paffuto di chi non sa mentire e di chi sa ridersela di gusto.

Stefania ha l’abbraccio di chi ti abbraccia perchè vuole fortemente farlo, col vigore dei buoni, col calore dei giusti.

E devi vederla mentre non lesina carezze e buffetti, con la mano libera dalla perenne sigaretta. E i suoi occhi che dalla fessura delle palpebre ti inchiodano e ti coprono di luce, e se sai reggere quello sguardo è solo perché anche il tuo cuore è vero e onesto. Altrimenti guarda altrove, da’ retta a me.

Non lo diresti mai. No, proprio non lo diresti, vedendola, parlandole, ascoltandola, osservandola.

Non lo diresti che la notte tra il 26 e il 27 agosto 2006 a Stefania hanno strappato via un pezzo.

Un pezzo di nome Renato.

Di Renato Biagetti s’è parlato poco in questi sei anni, forse per pigrizia, forse per distrazione.

La gente ha altro da fare che stare a riflettere su un ventiseienne accoltellato otto volte da due fascisti di diciannove e sedici anni sul litorale di Focene. La gente ha di meglio da fare che stare a interrogarsi su come un ragazzo bello come il sole possa essere interrotto sul più bello mentre torna da una festa in spiaggia.

Su come e perché una macchina grigia gli si è avvicinata, su come e perché chi è sceso da quell’auto aveva già in mano un coltello, su come e perché lo abbia colpito otto maledette volte, su come e perché abbia ferito la sua ragazza e un amico che erano con lui. Su come e perché Renato abbia fatto in tempo a parlare coi Carabinieri al Grassi di Ostia mentre attendeva per due inspiegabili ore di entrare in sala operatoria per poi non uscirne più.

La gente ha di meglio da fare che stare a pensare che i fascisti non sono morti, ma al contrario: uccidono ancora.

Nello stesso, identico, preciso, rituale modo di sempre: vigliaccamente.

Quando, alla fine di agosto del 2006, i giornali romani aprirono le pagine di cronaca dando la notizia dell’arresto dei due “balordi” che, la notte tra il 26 e il 27, avevano ucciso a coltellate un ragazzo sul lungomare di Focene, il lettore distratto sarebbe passato oltre credendo di avere a che fare con la solita rissa tra ubriachi: un gruppo di giovani sovraeccitati dalla droga e dall’alcol che litigano nel parcheggio di una discoteca arrivando prima a riempirsi di botte e poi ad ammazzarsi tra di loro. Dei fatali esiti di una «rissa tra balordi», parlavano anche i commenti forniti a corredo della notizia: articoli scritti in punta di penna ma terribilmente preoccupati di specificare come la politica, con quel fattaccio, non avesse nulla a che fare: essendo la conflittualità sociale soltanto un brutto sogno vissuto negli anni Settanta e, oggi come oggi, completamente dimenticato.

Stronzate: Renato era un Compagno, come il fratello Dario. Insieme frequentavano e animavano il centro sociale Acrobax, sorto sulle rovine dell’ex cinodromo di Ponte Marconi. Renato, fresco di laurea, lavorava come tecnico del suono e si prodigava in manifestazione che usavano la musica come veicolo per contrastare razzismo, fascismo e sessismo.

«E’ finita la festa? Sì? Allora ritornatevene a Roma, merde!» uscì dall’abitacolo di quell’auto grigia. Poi l’aggressione, poi le coltellate. Niente balordi, nessuna rissa.

Qui stiamo parlando di un agguato dalla metodologia squadristica, uno dei tanti perpetrati soprattutto a Roma, città dove la legittimazione, dapprima implicita, poi fin troppo esplicita, del fascismo è ormai radicata e in costante ascesa. Un dossier compilato dopo la morte di Renato raccoglie informazioni riguardanti ben 134 aggressioni a sfondo razzista, omofobo e fascista compiute a Roma e nel Lazio tra il 2004 e l’estate del 2006.

Vittorio Emiliani (uno degli aggressori) ha una croce celtica tatuata sul braccio e guidò la sua auto in direzione di quello che i cani neri come lui chiamano “il ritrovo delle zecche”. E mirò bene. E uccise, insieme al suo amichetto minorenne.

Perché morire nel corso di una rissa tra balordi non è assolutamente uguale a essere uccisi in virtù di un’aggressione subita a causa della propria differenza morale ed esistenziale. E allora fa male, malissimo, prendere atto che nella sentenza che condannò Emiliani e l’amico minorenne per omicidio volontario aleggi l’espressione “rissa tra balordi” e nemmeno l’ombra della matrice politica dell’aggressione.

I fascisti sono vivi, i fascisti uccidono. E mirano bene. Non scordiamolo, è nostro dovere.

Lo dobbiamo ai compagni aggrediti o uccisi, come Renato.

Lo dobbiamo alla nostra coscienza, o a ciò che ne rimane.

Di Renato s’è parlato poco, dicevo.

Per fortuna c’è Stefania, che col suo faccione da mamma mai doma ce lo viene a sbattere sul muso.

E la ascolti.

E poi la abbracci.

E daresti la vita per ridarle quel pezzo che due luridi cani neri le hanno strappato.
La vita darei, stupenda Stefania

Matteo PEDRINI IL CANTASTORIE, che ha cantato a Ferrara sabato al concerto per Federico.

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