Lettera a Rosa, madre in carcere in Messico

La lettera che segue è scritta da una compagna indigena di poco più di vent’anni, imprigionata ingiustamente in un penitenziaro del Chiapas. Come lei, moltissimi uomini e donne indigene riempiono le celle sovraffollate di queste carceri. Per la maggior parte accusati di delitti che non hanno commesso, vengono messi in prigione solo perchè il potere ha bisogno di un colpevole e gli indigeni, che spesso non parlano lo spagnolo, sono le vittime più semplici di questo sistema spietato e ferocemente razzista. Rosa, come moltissimi altri e altre, ha subito pesanti torture al momento dell’arresto, con lo scopo di fargli firmare una falsa confessione. Picchiata, umiliata, sfregiata nel corpo e nella mente, la testa infilata in un sacchetto di plastica, poi sott’acqua fino a toglierle l’aria. Ma Rosa è una prigioniera che lotta, è una donna che ora ha preso coscienza dei propri diritti e che si è organizzata insieme a altri prigionieri del carcere in un collettivo “Los solidarios de la Voz del Amate” per denunciare gli abusi subiti e per strappare ai suoi aguzzini e carcerieri la sua preziosa libertà. L’abbiamo conosciuta così e così si racconta in questa lettera. Per noi è un onore lottare al suo fianco e al fianco del collettivo la Voz Del Amate, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN e partecipante all’Altra Campagna in maniera attiva nelle carceri del Chiapas dal 2006.

Dal carcere Numero 5 di San Cristobal de Las Casas, Chiapas, Messico – 10 aprile 2011

Compagni e compagne delle differenti associazioni che oggi siete riuniti in questo incontro contro la turtura nelle carceri, buongiorno o buonasera a tutti e tutte voi. Vi manda un saluto la umile persona che sono io, e che la benedizione di Dio sia con voi, oggi e sempre.

Prima di tutto vi ringrazio per lo spazio che mi state dando. Oggi, per la prima volta, voglio raccontare con la mia voce quello che ho vissuto e sto vivendo in questi 4 anni di carcere.

Il mio nome è Rosa López Díaz e sono un’indigena di lingua tzotzil, nata in una famiglia di umili origini, con poche risorse. Mi hanno arrestata il giorno 10 maggio del 2007 insieme a mio marito. Ci hanno accusato di un delitto che non abbiamo commesso. Ho sofferto trattamenti inumani come le torture fisiche, le torture psicologiche, minacce di morte. E’ stata la cosa più triste della mia vita. Come donna mai potrò scordare i volti delle persone che mi hanno picchiata senza un motivo, uomini e donne che dicono di avere un’autorità, ma non si toccano mai il cuore e si dedicano solamente a violare i diritti umani e a imputare delitti alle persone che non danno loro denaro. E fabbricano i delitti di cui ci accusano e ci rinchiudono in carcere perchè non conosciamo i nostri diritti. E siamo calpestati, ignorati e privati dei nostri diritti come esseri umani.

Chiedo solo perdono a Dio, perchè un giorno possa curare le ferite che porto dentro e fuori. Quello che è il dolore più grande della mia vita è che io mentre mi torturavano ero incinta di 4 mesi e dopo 5 mesi ho dato alla luce un bambino che si chiama Nataniel López López che è nato malato, con una paralisi cerebrale e deformato in volto. Non può muovere il suo corpo, nulla. I dottori hanno detto a mia madre che il bambino è nato malato per le torture che ho ricevuto quando mi hanno arrestato.

Oggi continuo a chiedere misericordia a Dio perchè mio figlio possa ricevere una cura adecuata alla sua malattia. Ho toccato varie porte, ma nessuno mi ha fatto caso e oggi chiedo a Dio che tocchi il vostro cuore, perchè un giorno, insieme, mi possiate aiutare a superare questo dolore che mi trascino dentro giorno dopo giorno sola. Ma non ce la faccio più, ho bisogno di tutti voi, compagne e compagni, perchè insieme dobbiamo distruggere il mal governo che gestisce i nostri paesi. Ci meritiamo di essere trattati con dignità, ci meritiamo uguaglianza, pace, giustizia, democrazia. Perchè in un mondo di bambini, entrano molti mondi!

Compagni e compagne non perdetevi d’animo, non vi lasciate turbare. Bisogna continuare ad andare avanti senza guardarci indietro. Dobbiamo perseverare per vincere. E animo in tutte le vostre attività.

Tutti quelli che sono presenti oggi non mi conoscono, però sento comunque che siamo una grande famiglia unita, perchè dove siete voi, ci sono io e dove sono io, ci siete voi. Vi porto nel mio cuore oggi e sempre, in questo incontro indimenticabile vi saluto.

Dio benedica ognuno di voi e le vostre famiglie. A presto.

Rosa López Díaz

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Cara Rosa,
un poeta italiano ha scritto che la pancia di una donna è una culla, che una donna non è il cielo, ma terra che non vuole la guerra, e se pensiamo a una donna pensiamo a tutta l’umanità.
Questo ci è venuto in mente quando abbiamo letto la tua lettera. Solo una donna poteva scrivere cose così semplici e profonde insieme, solo una donna parlando di sé ha parlato a tutti, solo una donna poteva parlare di un figlio con la struggente commozione con cui ne hai parlato tu.
Noi, donne e madri italiane, siamo state profondamente colpite dalle parole che ci hai scritto.
Sappiamo che non c’è futuro per i nostri popoli se non si parte dalla difesa delle donne nella società.
Parità e dignità vuol dire dare a tutte le Rose del mondo la possibilità vera di veder crescere i propri figli, di poterli svegliare ogni mattina, di accompagnarli a scuola. Vuol dire permettere ai bambini di essere bambini e vivere la loro infanzia serenamente. ‘Prima le donne e i bambini’ non può essere una frase priva di senso ma un impegno fondante per uomini e governi.
Accade anche nel nostro Paese che lo Stato possa sottrarre un figlio e restituirlo morto: negando ogni possibilità di avvicinarlo, di esercitare il diritto di ogni madre di constatare la salute e le condizioni del proprio figlio, anche di chi si trovi in carcere.
Accade anche nel nostro Paese che lo Stato “sequestri” le persone , attraverso i fermi: sospendendo ogni diritto umano e costituzionale di comunicazione con i legali e le famiglie.
Accade nel nostro paese che l’immigrazione, le mobilitazioni sociali , la diversità e i comportamenti non conformi a regole non condivise stiano riempiendo le carceri
Cresce la rabbia per tutto questo ma anche la speranza. La speranza che il vento di libertà arrivi ovunque. Anche in Italia, dove si dice che viviamo tutti in democrazia.
Democrazia è una parola ambigua come libertà e forse come felicità. Libertà per noi non è una idea, non rincorriamo la sua inesistente assolutezza. Piuttosto la libertà è qualcosa che si fa. Democrazia è un concetto politico che per esser vero chiede una economia giusta e una società felice. Altrimenti non è democrazia.
In ricordo di Renato, accoltellato per odio e intolleranza nel 2006, le Madri per roma città aperta si sono da allora mobilitate per la difesa delle maternità negate che costituiscono la negazione dei diritti di ogni individuo.
Come le madri argentine di Plaza de Majo, le madri cinesi di Piazza Tien a men e le madri iraniane hanno chiesto giustizia e verità per i loro figli, le Madri per Roma Città Aperta vogliono sostenere e dar voce ad ogni madre che voglia rivendicare la propria dignità e i diritti dei loro figli.
Ci rivolgiamo alle donne e agli uomini che ancora credono nel valore del diritto e della giustizia e li sollecitiamo affinchè uniscano le loro voci alle nostre per richiamare l´opinione pubblica di fronte alle proprie responsabilità.

Madri per romacittaperta

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