ROSA LOPEZ DIAZ: una madre nelle carceri in Chapas

ROSA LOPEZ DIAZ

 Data di nascita: 2 Dicembre 1978

Luogo di nascita: San Cristobal de las Casas.

Stato civile: Coppia di fatto

Lingua: Tsotsil

Numero familiari: 1 figlio di 3 anni (più uno di 4 anni, morto il 26 ottobre 2011) e il compagno Alfredo, detenuto.

Domicilio attuale della famiglia: Jardin de Nuevo Eden, Teopisca. Il figlio vive con lei.

Organizzazione: Solidarios de la Voz del Amate

Incarico nella comunità: non ha incarico nella sua comunità

Occupazione: Commerciante di abiti e accessori

Pratica Penale: 056/2007

DETENZIONE
Rosa Lopez Diaz fu arrestata il 10 maggio 2007 insieme a suo marito nel parco centrale di San Cristobal de las Casas, da alcune persone vestite in abiti civili. La gettarono immediatamente a terra. Non si identificarono, sentì che il suo partner (il compagno Alfredo) chiese loro di identificarsi però non lo fecero. La condussero fino ad una camionetta e la sdraiarono, mettendole un piede sopra. Le bendarono gli occhi. Trascorso un tempo la gettarono in un luogo che teneva foglie secche nel suolo. Senza levarle la fascia dagli occhi cominiciarono a picchiarla. Si misero a torturarla coprendole la  testa con una busta mentre le tapparono la bocca mettendole uno straccio bagnato con l’intenzione di asfissiarla. La colpirono allo stomaco.

Rosa chiese loro di fermarsi perché era incinta ma non si fermarono.

Dopo la riportarono sulla camionetta e la condussero in un luogo sconosciuto.Qui capì che era sola, ossia che non stava con il suo compagno. La tennero inginocchiata, ammanettata e con gli occhi bendati. Rosa chiese loro: “Cosa sta succedendo?”. Le risposero: “Questo non ti importa, perché ora sei finita”.

Rosa ci racconta: “Piansi, piansi, perché non sapevo cosa mi stava succedendo, piansi per la mia famiglia, per la mia mamma. Non saprei come descrivere la paura che sentii.” I poliziotti continuarono gridando: “Da qui non ti salverai. Da dove ti porteremo, non uscirai”. Dopo gli aggressori abbandonarono la camionetta e dissero a Rosa: “Non ti muovere. Se fai qualcosa, ti ammazziamo”.

Approssimativamente 40 minuti più tardi la portarono nella stessa casa dove tenevano imprigionato Alfredo. La fecero sedere contro la parete, ammanettata, con gli occhi bendati e iniziarono a colpirla.  Ripresero a torturarla. Con uno straccio umido coprirono il suo viso e sopra misero una busta di plastica. Intanto le colpivano lo stomaco. Gli aggressori le dicevano: “Quando vorrai parlare muovi la testa”. Rosa scalciava perché si sentiva asfissiata. Le tolsero la busta e le diedero tre schiaffi. “Dicci dove la tieni. Non fare la finta tonta, sai  bene di chi stiamo parlando”.

La portarono in un’altra stanza. Nell’interno della stanza  la denudarono e subì un abuso sessuale, la toccarono in tutte le parti del corpo, minacciando di violentarla. Le spiegarono che volevamo che lei ammettesse il sequestro di Claudia Estefani. Rosa piangeva e supplicava che non le facessero niente, che lei non aveva sequestrato nessuno. “Come posso dire qualcosa che non ho fatto?”, domandò Rosa.

Uno degli aggressori la buttò sul pavimento, altri due la tenevano, e Rosa sentì che qualcuno le si mise sopra, con l’intenzione di violentarla. Rosa racconta che in quel momento non ne potè più e disse: “non mi violentate, sono incinta” e uno dei suoi aggressori le disse: “Se confessi, non ti facciamo niente”. A quel punto Rosa disse loro di sì, che aveva sequestrato, sebbene fosse falso.

Così la sollevarono, la fecero uscire dalla stanza e la lasciarono sola in casa. All’improvviso ritornarono e Rosa ascoltò le grida di suo marito, Alfredo. Rosa ci riferisce: “Dissi , Grazie a Dio. È vivo”. Aveva pensato che lo avessero ammazzato.

DICHIARAZIONE

Da lì furono condotti al Pubblico Ministero, dove ricevettero nuovamente minacce di morte da parte di alcuni uomini di cui Rosa non conosce nè i loro nomi  né i loro incarichi. La obbligarono a firmare un foglio in bianco. In questi uffici potè parlare finalmente con il suo compagno Alfredo e gli chiese se sapeva perché li tenevano lì. Alfredo le raccontò che suo cugino aveva “rubato” la fidanzata, che in questi villaggi significa che la fidanzata va con suo marito senza che questo paghi la dote. “Cose da uomini” dice Rosa.

Rosa  non ha mai avuto accesso a un traduttore qualificato che conoscesse la lingua e i costumi  tsotsil. Nella dichiarazione il suo difensore di ufficio Joaquin Dominguez Trejo fu presente solo in una parte. Le lessero la dichiarazione, ma non la capì, senza il traduttore  non comprese i termini giuridici. Per questo Rosa non era d’accordo, ma la obbligarono a firmare.

Quindi la trasferirono al carcere CERSS n°5 de San Cristobal de las Casas accusata di sequestro. C’è da aggiungere che Rosa non ricevette mai cure mediche per la tortura, sia fisica che psicologica, che subì.

PROCESSO

Trascorsi 14 mesi dal momento della detenzione la sentenziarono a 27 anni, 6 mesi e 17 giorni. Lei si appellò alla sentenza, e la ridussero di 17 giorni.  Il 13 aprile 2009 fu  l’ultima volta che vide il suo avvocato.

CONDIZIONI IN PRIGIONE

Rosa soffre di forti dolori alle spalle da circa due anni. Infatti  la fa soffrire l’ora della passeggiata. Soffre forti dolori di testa e febbre. Ha un’ernia ombelicale che mette in grave pericolo la sua vita. Non ha ricevuto cure mediche sebbene le abbia sollecitate varie volte e lo abbia denunciato pubblicamente.

Rosa non ha sufficienti entrate economiche per sostenere la sua famiglia.

IMPATTO DELLA DETENZIONE SULLA FAMIGLIA E/O LA COMUNITA’

L’impatto sulla sua famiglia è stato molto grande a livello psicologico e di salute, poiché le malattie delle quali soffre la famiglia si sono aggravate per l’impatto emozionale derivato dalla reclusione di Rosa.

Rosa era incinta di 4 mesi quando la torturarono. Suo figlio nacque con paralisi cerebrale, molto probabilmente questo fu causato dalle differenti  forme di tortura che subì durante la detenzione. A causa della sua malattia, il figlio Natanael è morto lo scorso 26 ottobre 2011, a 4 anni di età.

Rosa fa parte dell’organizzazione di LOS SOLIDARIOS DE LA VOZ DEL AMATE. Dalla prigione Rosa ha denunciato in varie occasioni  il trattamento subito e le condizioni generali del settore femminile del CERSS n° 5 de San Cristobal de las Casas, così come le ingiustizie che stanno vivendo per le politiche del mal governo.

Rosa ha digiunato per 39 giorni, durante la protesta dell’ottobre 2011 organizzata nel carcere dov’èdetenuta. C’è da ricordare che durante il suo digiuno, Rosa ricevette in varie occasioni  minacce e osteggiamenti per obbligarla a lasciare la sua protesta, la quale  aveva come obiettivo esigere la sua libertà immediata così come quella dei suoi compagni di lotta.

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