CONTRO LA VIOLENZA SESSISTA E RAZZISTA, NOI SIAMO TUTTE CON JOY E HELLEN!
Nella tua città c’è un lager. Alle porte di Roma, tra il Parco Leonardo
e la Fiera di Roma, c’è il centro di identificazione ed espulsione
(Cie, ex Cpt) di Ponte Galeria, dove vengono rinchiuse, in condizioni
disumane, le persone immigrate prive di documenti o che hanno perso il
lavoro. Con l’approvazione del “pacchetto sicurezza” e il prolungamento
della detenzione fino a sei mesi, lo stato vorrebbe privare le persone
immigrate di ogni dignità e costringerle a vivere in un regime di
violenza quotidiana e legalizzata. Nel corso dell’estate, sono
scoppiate numerose rivolte, da Lampedusa a Gradisca. Noi ci sentiamo
vicine e vogliamo sostenere le lotte delle recluse e dei reclusi contro
questi “lager della democrazia”. In particolare vogliamo farvi
conoscere la forza e l’autodeterminazione di Joy.
Martedì 13 ottobre si è chiuso il processo di primo grado contro i
reclusi e le recluse accusate dalla Croce Rossa di aver dato vita, ad
agosto, alla rivolta contro l’approvazione del pacchetto sicurezza nel
Cie di via Corelli a Milano. Nel corso del processo una di queste
donne, Joy, ha denunciato in aula di aver subito un tentativo di stupro
da parte dell’ispettore-capo di polizia Vittorio Addesso e di essersi
salvata solo grazie all’aiuto della sua compagna di cella, Hellen.
Inoltre, entrambe hanno raccontato che, durante la rivolta, con altre
recluse, sono state trascinate seminude in una stanza senza telecamere,
ammanettate e fatte inginocchiare, per essere poi picchiate
selvaggiamente prima di essere portate in carcere. Dopo essere state
condannate a sei mesi di carcere per la rivolta, ora Joy e Hellen
rischiano un processo per calunnia, per aver denunciato la violenza
subita.
Sappiamo bene che questo non è un caso isolato: i ricatti sessuali, le
molestie, le violenze e gli stupri sono una realtà che le donne
migranti subiscono quotidianamente nei Cie, ma le loro voci sono
ridotte al silenzio perché i guardiani, protetti dalla complicità della
croce rossa, in quanto rappresentanti dell’istituzione, si sentono
liberi di abusare delle recluse.
Sappiamo bene quanto sia aggravante essere prigioniera e donna: la
violenza che si consuma nei luoghi di detenzione ad opera dei
carcerieri, che viene sistematicamente occultata, si manifesta anche e
soprattutto attraverso forme di violenza sessuale sulle prigioniere
donne: perchè la violenza maschile sulle donne è un fatto culturale, e
si basa sulla sopraffazione che sfocia nell’abuso del corpo e
nell’offesa della mente.
Per questo pensiamo che sia importante sostenere Joy e Hellen, assieme
a tutte le migranti che hanno avuto – e che avranno in futuro – il
coraggio di ribellarsi ai loro carcerieri.
Per questo il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza
sulle donne, assieme ad altre compagne femministe e lesbiche che si
stanno mobilitando in diverse città, saremo a Ponte Galeria. Per
affermare che noi non vogliamo essere complici, né delle campagne
mediatiche costruite sull’equazione razzista “clandestino uguale
stupratore”, né delle leggi razziste, securitarie e repressive varate
in nostro nome; per gridare che tutti i centri di detenzione per
migranti devono essere chiusi; per dire che rifiutiamo ogni forma di
controllo e ogni tentativo di usare i nostri corpi per giustificare gli
stereotipi e le violenze razziste e sessiste.
Ma soprattutto saremo lì per esprimere la nostra solidarietà a tutte le
recluse e i reclusi nei Cie e per far sentire a Joy e Hellen che non
sono sole, che il loro gesto rappresenta un atto estremamente
significativo di resistenza e di autodeterminazione, che rovescia il
ruolo di vittima assegnato alle donne immigrate, dando forza a tutte le
lotte e i percorsi contro la violenza sulle donne, dentro e fuori dai
Cie.
http://noinonsiamocomplici.noblogs.org
PER NON DIMENTICARE NABRUKA
(maggio 2009)Nella notte, nel Cie di Ponte
Galeria è morta una detenuta tunisina. Si chiamava Nabruka Mimuni e
aveva 44 anni. Le hanno comunicato che sarebbe stata espulsa
e questa mattina le sue compagne di cella l’hanno trovata impiccata in
bagno. Da quel momento le recluse e i reclusi di Ponte Galeria sono in
sciopero della fame per protestare contro questa morte, contro le
condizioni disumane di detenzione, contro i maltrattamenti e contro i
rimpatri. Nabruka lascia un marito, e un figlio. Era in italia da più
di 20 anni. È stata catturata due settimane fa dalla polizia mentre era
in coda in Questura per rinnovare il permesso di soggiorno.
Vincenza scrive: "Mi
rifiuto di leggere la sua morte come un atto di disperazione, la
disperazione deve essere tutta nostra che non siamo riusciti ad
impedirlo. Quello di Nabruka è un gesto politico . Un gesto politico
che urla. E dobbiamo urlare anche noi (insieme a tutt* le/i migranti in
sciopero della fame e in rivolta nei centri di identificazione ed
espulsione), noi con i documenti in tasca e tutti i sacrosanti diritti
di "cittadina/o". Ma fuori, fuori di qui".
Ha ragione. Anch’io mi rifiuto di
leggerlo come un atto di disperazione. Voglio pensare che sia un atto
di libertà. L’ultimo. E’ un gesto politico e tutti i commenti che si
possono leggere invece lo riducono ad uno stato di prostrazione di una
donnetta debole che si è arresa. Come se l’avessero uccisa due volte.
http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2009/05/08/nabruka-mimuni-morta-di-leggi-razziali