Il caso La vittima aveva 34 anni, l’intervento perché aveva lanciato petardi
«Soffocato da 4 poliziotti»
Il giallo che scuote Trieste
L’accusa: sono saltati sulla schiena di un fermato
MILANO — Ammanettato, le mani dietro la schiena, i piedi legati
con filo di ferro. Nonostante fosse immobilizzato, «esercitavano sul
tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia
premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva
gravemente le capacità respiratorie». Poi, «nonostante fosse
ammanettato, continuavano a tenerlo in posizione prona per diversi
minuti».
È così che, secondo la procura di Trieste, quattro
poliziotti della Volante hanno provocato la morte di Riccardo Rasman,
34 anni, una pensione da invalido per atti di nonnismo subiti durante
il servizio militare, e un monolocale in affitto dove non ha mai
dormito. Un gigante buono, figlio di operai, e una sorella, Giuliana,
che un giorno gli promise che nessuno gli avrebbe più fatto del male.
Promessa disattesa il 27 ottobre 2006 quando gli agenti, allertati da
un vicino di casa, fanno irruzione in casa sua. Nasce una
colluttazione, mai negata dai poliziotti, ma giustificata «dall’intento
di difendersi dalla reazione inconsulta di Rasman e nella convinzione
di trovarsi nell’esercizio di un dovere».
Riccardo Rasman quando giocava a calcio |
Dopo quasi due anni di indagini e un’iniziale
istanza di archiviazione, ora il caso Rasman sembra avviarsi verso il
processo: qualche giorno fa il pm Pietro Montrone ha notificato ai
quattro indagati l’avviso di conclusione dell’inchiesta, preludendo a
una richiesta di rinvio a giudizio. Trieste come Ferrara. La fine di
Riccardo ricorda la tragedia di Federico Aldrovandi, lo studente morto
a 18 anni il 25 settembre 2005 dopo un intervento di polizia. Il
processo di primo grado che vede imputati quattro agenti è prossimo
alla sentenza. Casi apparentemente fotocopia. «Asfissia da posizione»
la causa di morte per entrambi; per ognuno, quattro i poliziotti
coinvolti di cui tre uomini e una donna; identico capo di imputazione:
«omicidio colposo». E un avvocato in comune, Fabio Anselmo.
Solo coincidenze? «Le
similitudini sono inquietanti — spiega il legale, chiamato, tramite gli
Aldrovandi, dalla famiglia di Riccardo —, ma aldilà degli aspetti
tecnici, colpisce che entrambe le vittime siano persone deboli, che non
avrebbero mai fatto male a nessuno. Con un’unica colpa: aver fatto un
po’ di rumore». All’alba del 25 settembre di tre anni fa Federico urla
e tira calci a vuoto quando una signora avverte il 113. Dopo
l’intervento di una volante, muore ammanettato con la faccia
sull’asfalto. Il 27 ottobre del 2006 Riccardo Rasman, una volta
aspirante meccanico, ridotto a invalido dopo sette mesi in Aeronautica,
tira petardi dal balcone perché è felice: ha trovato lavoro come
netturbino. Una dirimpettaia avverte la polizia e il copione si ripete.
Gli agenti sfondano la porta, Riccardo reagisce. Nessuno aspetta di
sapere se per caso ha qualche problema psichico. Quando si appura che è
in cura in un centro di salute mentale, è già troppo tardi: dopo botte,
manette e rantolii, Riccardo smette di respirare, forse terrorizzato
anche dalle uniformi, secondo la sorella. In cucina un biglietto,
scritto prima dell’irruzione: «Mi sono calmato, per favore non fatemi
del male».
Grazia Maria Mottola
04 luglio 2008
Corriere della Sera