Per non dimenticare, contro ogni razzismo, contro ogni mafia

Cristiano Aldegani, sindaco leghista di
Ponteranica 
ha deciso che la biblioteca comunale non sarà più
dedicata a Peppino Impastato, il giovane siciliano ucciso dalla mafia
nel 1978 e ha fatto rimuovere la targa in sua memoria.

Noi Madri vogliamo conservare la memoria di chi ha lottato contro la mafia e di sua madre Ferlicia Bartolotta che per ,  ventisei anni ha lottato  in memoria di suo figlio continuando a chiedere che giustizia venisse fatta e opponendosi con tutte le sue forze alla
logica che lo voleva prima un terrorista e poi un balordo sognatore.
Felicia ci ha lasciato un’eredita’ pesante e difficile che noi vogliamo raccogliere: il coraggio di lottare, la
forza per non arrendersi e la memoria da non perdere.

Peppino Impastato
La verità uccisa due volte

Trent’anni fa l’omicidio del giovane di Cinisi commissionato dal boss Badalamenti

di Enrico Bellavia

Era un destino segnato quello di Peppino Impastato. Era nato a
Cinisi in una famiglia di mafia. Il marito di sua zia, Cesare
Manzella, era un boss di prima grandezza nel firmamento delle
coppole. Suo padre, Luigi, aveva un amico che era il numero uno di
Cosa nostra, Tano Badalamenti. Ma Peppino "il ribelle", militante
di una sinistra che si componeva e si divideva, alimentando una
galassia di sigle, partiti e movimenti, cambiò la sua sorte. E Tano
Badalamenti diventò il mandante del suo assassinio.

La fine di Peppino, morto a 30 anni, il 9 maggio del 1978, 5 giorni
prima della sua elezione a consigliere comunale di Cinisi nelle
liste di Democrazia proletaria, impresse una decisa sterzata al
corso della vita di chi gli sopravvisse. Di sua madre, Felicia
Bartolotta e di suo fratello Giovanni, come di sua cognata
Felicetta. Diventarono i custodi della sua memoria e insieme con
Salvo Vitale e Umberto Santino, il fondatore del centro di
documentazione antimafia, gli implacabili cacciatori di una verità
evidente che in pochi intendevano riconoscere. Gli accusatori dei
«Notissimi ignoti». Badalamenti, in primo luogo, il cui nome era
stato indicato già dal palco nel primo comizio, tenuto due giorni
dopo la scoperta del cadavere.

Ci sono voluti 23 anni perché Peppino Impastato diventasse con
bollo di giustizia un morto di mafia. E quell´omicidio un delitto
contro la parola. L´assassinio di un giornalista postumo. Perché
Peppino fu iscritto all´albo professionale, quando finalmente
Badalamenti, nel 1997, fu incriminato. Parlava Peppino. Parlava
tanto in una Cinisi muta, sorda e cieca.

Parlava dai palchi improvvisati sui quali rappresentava il suo
impegno. Si faceva ascoltare dai microfoni di Radio Aut. Grazie a
Salvo Vitale e Guido Orlando è possibile riascoltare la sua voce
nelle otto trasmissioni riprodotte nel dvd "Onda Pazza" appena
uscito per Nuovi Equilibri con prefazione di Vauro.


Peppino mostrava cosa stavano facendo del suo paese, con
l´aeroporto in ampliamento, l´America dei cugini d´oltreoceano
sempre più vicina, la droga a fiumi e la speculazione dei signori
del cemento alle porte. Faceva nomi e cognomi. Di mafiosi e di
politici. Che andavano a braccetto e si facevano fotografare
insieme.

Tano Badalamenti, l´11 aprile 2002, fu condannato all´ergastolo per
quel delitto ma il 30 aprile 2004, a 80 anni, morì nel centro
medico penitenziario Devens Fmc, ad Ayer (Massachusetts): scontava
45 anni per un colossale traffico di droga sulla rotta aerea
Usa-Sicilia. Il 5 marzo 2001, Vito Palazzolo, braccio destro di
Badalamenti, anche lui amico degli Impastato, aveva rimediato
trent´anni.

Felicia Bartolotta lo incrociò nel primo giorno del primo processo.
Lo guardò dritto negli occhi e lo costrinse ad abbassare lo
sguardo. Gli sibilò con rabbia: «Vergognati».
Il 18 novembre del 1994 il collaboratore di giustizia Salvatore
Palazzolo aveva messo a verbale: «Secondo quanto ho appreso dal
vice rappresentante della nostra famiglia, Vito Palazzolo,
l´omicidio è stato voluto da Gaetano Badalamenti ed eseguito da
Francesco Di Trapani e Nino Badalamenti (entrambi morti, ndr)».
Tano Badalamenti decise il delitto, onorando a suo modo un patto
con Luigi Impastato, il padre di Peppino. Ordinò di liquidare il
ragazzo solo quando Luigi, di ritorno da un viaggio in Usa, morì in
un misterioso incidente stradale, sul quale, manco a dirlo, non si
indagò. Era andato negli Usa a perorare l´intercessione di qualche
mammasantissima per avere salva la vita del figlio.

Dopo due archiviazioni (nel 1984 e nel 1992), nell´aprile del 1995,
l´indagine era stata riaperta. La famiglia, parte civile con
l´avvocato Vincenzo Gervasi. Palazzolo fu il primo a essere
condannato. Felicia Bartolotta aveva 85 anni. «Ora – disse – tutti
sanno qual è la verità. Ora aspetto la condanna di Badalamenti e
poi posso anche morire». Morì il 10 dicembre 2004 a 88 anni.
Ripeteva: «Anche gli insetti se lo sono mangiati mio figlio. Che ci
vado a fare al cimitero? Lì non c´è. Solo un sacchetto, questo mi
hanno lasciato». Qualche anno prima l´avevano ricoverata in coma.
Scoprirono che aveva due ematomi alla testa.

Spiegò: «Mi mettevo davanti alla foto di Peppino e mi davo pugni in
testa fino a stonarmi».

Peppino lo fecero a pezzi sui binari della ferrovia di Cinisi nella
notte tra l´8 e il 9 maggio del 1978. Lo misero sulle rotaie quando
era già stordito, adagiarono il corpo su una carica di tritolo e
fecero brillare l´esplosivo. Poi, per 23 anni, provarono a
seppellirne il ricordo sotto una montagna di falsi e calunnie per
una ricostruzione di comodo che lo voleva alternativamente suicida
o saltato per aria maneggiando l´esplosivo. Trenta chili di resti
su 300 metri.

La notizia della sua morte giunse nel giorno del ritrovamento del
cadavere di Aldo Moro. Nel cono d´ombra di una tragedia nazionale
la fine di Peppino era una nota a margine in un´Italia squassata
dal terrorismo. Non per chi quel ragazzo esile ma dotato di
un´energia contagiosa aveva conosciuto. Erano stati lì gli amici di
Peppino. Erano alla ferrovia a tentare di avvicinarsi alla scena
del delitto. I carabinieri, coordinava il maggiore, futuro
generale, Antonio Subranni, tenevano a distanza solo loro. Poi
andarono a perquisirgli le case. Nell´appartamento della zia, Fara
Bartolotta, dove Peppino viveva, trovarono anche un frammento di
diario. Era del novembre del 1977. C´era l´amarezza di un attivista
che non conosceva il limite tra privato e politico. Bastò quella
lettera per la tesi del suicidio.
«Era tutto pianificato», raccontò all´Antimafia l´allora
commissario della Digos, Alfonso Vella, arrivato a Cinisi quando i
carabinieri stavano già smobilitando.

C´era da stabilire l´ora in cui Impastato era ancora vivo su quei
binari. Sarebbe stato interessante sentire la casellante di turno
fino alle 22 dell´8 maggio del 1978. Si chiamava Provvidenza
Vitale. Nessuno la cercò. E c´era la «lettera d´addio» trovata da
Carmelo Canale, aggregato a Cinisi in quei giorni in una stazione
che aveva una unità in sovrannumero. Il necroforo comunale però si
ricordava di un brigadiere che gli disse di cercare una chiave tra
i cespugli. Liborio, così veniva chiamato, di chiavi ne trovò tre
ma non andavano bene. Il brigadiere gli disse di cercare ancora,
poi quella chiave la trovò lui. Apriva Radio Aut. Era proprio
quella che Impastato teneva sempre nella tasca dei pantaloni. Non
era né annerita, né piegata dall´esplosione. Scherzi di un ordigno
che risparmia anche gli occhiali della vittima e ne dilania il
cranio.

L´esplosivo era esplosivo da cava. Non fu esaminato. E non furono
rilevate impronte sulla macchina di Impastato. Contro ogni evidenza
era suicidio o attentato. Tutto, fuorché mafia. Tutto contro gli
indizi che invece gli amici di Peppino, con gli avvocati Turi
Lombardo e Michelangelo Di Napoli, avevano raccolto. Trovarono, ad
esempio, una pietra rossa insanguinata nel casotto di fianco ai
binari della ferrovia. Fu lì che gli assassini colpirono Peppino.

«Era sangue mestruale», tagliarono corto i carabinieri. Era sangue
zero negativo, gruppo raro, lo stesso di quello di Peppino accertò
Ideale Del Carpio. E sangue dello stesso gruppo trovarono i periti
Caruso e Procaccianti su una pietra di quel rudere. Ma la casa non
c´è neppure nello scarno fascicolo fotografico rimasto agli atti.

Il compendio di quel che accadde sta in un libro di Umberto Santino
che non a caso si intitola "L´assassinio e il depistaggio".

Felicia Bartolotta raccontò la sua storia in un libro di Umberto
Santino e Anna Puglisi, dal titolo "La mafia in casa mia".

La sua diventò una sorta di museo. E quando con il film "I Cento
passi" di Marco Tullio Giordana la storia di Peppino diventò
conosciuta al grande pubblico, le visite si moltiplicarono. «State
attenti, occhi aperti, il futuro siete voi», ripeteva a tutti
Felicia.

(09 maggio 2008)
 
PALERMO – E’ morta Felicia Bartolotta, la madre di Peppino Impastato,
il militante di Democrazia Proletaria ucciso su ordine del boss di
Cinisi Tano Badalamenti. Felicia Bartolotta, 88 anni, è morta nella sua
casa di Cinisi. Stamattina la donna ha avuto un attacco di asma di cui
soffriva da circa tre anni. In casa a vegliare la salma vi è il figlio
Giovanni Impastato, fratello di Peppino, familiari e amici.

«E’ il primo compleanno che vivo con la pace nel cuore». Era il 24
maggio del 2002 e Felicia Bartolotta, madre di Peppino il militante di
Dp assassinato da Cosa nostra nel ’78 fa a Cinisi, festeggiava con l’
altro figlio Giovanni, parenti e amici il suo 86/o compleanno. Un mese
prima, l’ 11 aprile, la Corte d’ Assise di Palermo aveva condannato
all’ ergastolo il boss Tano Badalamenti per l’ omicidio di Peppino, il
cui cadavere fu trovato lungo i binari ferroviari.

Per Felicia Bartolotta quel compleanno in famiglia era diverso dagli
altri, perchè dopo 24 anni dalla morte del suo primogenito, finalmente
la giustizia aveva fatto il suo corso, condannando «Tano seduto». Era
questo il nome con cui Peppino Impastato chiamava il padrino di Cinisi
Tano Badalamenti dai microfoni di «Radio out», fondata proprio dal
militante di Dp per denunciare le collusioni tra politica e mafia.
Schiva ma dal carattere deciso, Felicia Bartolotta difese fino all’
ultimo le scelte di Peppino contro la prepotenza dei mafiosi e l’
indifferenza e l’ omertà della gente di Cinisi, soggiogata da
Badalamenti.

Era una donna che per anni si è battuta nel nome del figlio, per
ribaltare la «verità di comodo» che voleva Peppino Impastato morto
mentre stava compiendo un atto terrorista sistemando una bomba sui
binari della linea ferrata. Dopo la morte del figlio Felicia Bartolotta
ha ricordato, durante dibattiti, in televisione, in incontri pubblici
la figura e l’ impegno sociale di Peppino, quel figlio ‘ribellè che
andava a trovare nel garage dove abitò per qualche tempo, senza
nascondersi dagli occhi di Badalamenti, la cui abitazione distava
appena ‘cento passi’ dalla sua. Ma il tempo ha riservato altri dolori
alla madre di Peppino.

Gli attentati al negozio della nuora, la moglie dell’ altro figlio
Giovanni, e per ultimo la condanna dell’ altro figlio per diffamazione
al legale di Badalamenti. Giovanni Impastato è stato infatti condannato
a risarcire 2500 euro all’ avvocato Paolo Gullo che lo aveva querelato
perchè durante una puntata del Maurizio Costanzo show il fratello di
Peppino aveva definito, sia pur indirettamente «imbecille». Il centro
di documentazione intestato al militante di Dp aveva aperto un conto
corrente affinchè chiunque potesse dare un contributo per coprire le
spese. Alla fine il conto ha fatto registrare un saldo di 42 mila euro.
Le offerte sono giunte da tutta Italia: gente comune, operai,
casalinghe, anche giovani che avevano sentito il nome di Peppino
Impastato per la prima volta al cinema durante la proiezione del film
«Cento passi» che racconta la storia del giovane di Cinisi.

 
 
L’11 aprile del 2002 il Consiglio Comunale di Anzola dell’Emilia ha
conferito la Cittadinanza Onoraria a Felicia Bartolotta Impastato, mamma
di Peppino Impastato, giovane militante comunista ucciso dalla mafia a
Cinisi (Pa) il 9 maggio 1978 e fatto passare per terrorista e suicida.
Una significativa coincidenza ha voluto che proprio l’11 aprile del 2002 la
Corte d’Assise di Palermo, poche ore prima che si riunisse il Consiglio
Comunale, condannasse all’ergastolo il boss Gaetano Badalamenti, “Don
Tano Seduto” come lo chiamava, sbeffeggiandolo, Peppino dalla sua Radio
Aut, quale mandante dell’omicidio di Peppino.
Ecco la motivazione con la quale il Consiglio Comunale di Anzola ha
conferito la cittadinanza a Felicia Bartolotta Impastato.

"Per la sua storia di madre e di donna siciliana che con coraggio e
amore per la Libertà si è schierata dalla parte del figlio Peppino che, a
prezzo della propria vita, si è ribellato ad una società che non gli piaceva,
contro tutto il mondo nel quale si muoveva la sua famiglia.
Per la tenace e costante lotta che ha condotto nel tempo, insieme al
figlio Giovanni e ai compagni ed amici di Peppino, per avere Giustizia
dallo Stato Italiano, non cercando vendetta.
Perché la sua storia, la storia che la sua famiglia ha vissuto dal
1978 ad oggi, è una grande storia di Resistenza per la quale noi vi
dobbiamo un grande ringraziamento: il grazie che ogni cittadino onesto e
consapevole deve rendere a chi sacrifica la propria vita per la libertà e il
miglioramento del mondo che lo circonda
".


Per tali motivi le conferiamo questa cittadinanza onoraria, in
segno di affetto, riconoscenza e stima per il comportamento coerente che
ha saputo mantenere dopo la morte di Peppino, soprattutto in quanto
donna, particolare non secondario, in un contesto, più difficile di altri,
come quello siciliano di quegli anni.
Un grande esempio di Resistenza per tutti noi.

Ricordati di ricordare

coloro che caddero
lottando per costruire
un’altra storia
e un’altra terra

ricordali uno per uno
perché il silenzio
non chiuda per sempre
la bocca dei morti
e dove non è arrivata la giustizia
arrivi la memoria
e sia più forte
della polvere
e della complicità

Ricordati di ricordare
l’inverno dei Fasci
quando i figli dei contadini del Nord
spararono sui contadini del Sud
e i mafiosi aprivano il fuoco
sapendo di essere
i cecchini dello Stato

Ricordati di Emanuele
che fu accoltellato
dai sicari degli speculatori
e del trionfo degli assassini
nella città cannibale

Ricordati di ricordare
il sangue versato sulla terra
e le file lunghe degli emigranti
che portarono la Sicilia
sulle piazze del mondo
a svendersi
come merce a buon mercato

Ricordati di Luciano
Lorenzo Bernardino
Nicolò Giovanni
Sebastiano
Andrea Nunzio
Agostino Gaetano
Accursio
Giuseppe Vincenzo
Epifanio Placido

(e del bambino Giuseppe
che vide l’assassinio di Rizzotto
e il medico-capomafia Navarra
cancellò per sempre
la verità dei suoi occhi)

Calogero Filippo Carmelo
e di tutti gli altri
che hanno perduto
vita e nome

Ricordati di Margherita
Vincenzina Castrense
Filippo Francesco
Giorgio Giovanni Giuseppe
Serafino Vito
che confusero il loro sangue
con le ginestre
che sbocciavano
nel mattino di maggio

Ricordati di Salvatore
che morì abbracciato alla terra
della madre Francesca
che chiedeva giustizia
e trovò lo scherno degli assassini

Ricordati di Peppino
che infranse i comandamenti dei padri
sbeffeggiò il potere
ed esplose sui binari

Ricordati di Pio e Rosario
che erano comunisti
e lottavano contro la mafia
e per la pace

Ricordati di Pasquale
Piersanti Giuseppe
che cercarono di spezzare
il patto con il delitto

Ricordati di Mario
Pippo Mauro Beppe
che vedevano e parlavano
mentre gli altri tacevano
e non guardavano

Ricordati di Graziella
che ancora si chiede perché
della sua vita rubata

Ricordati di Claudio
che giocava con i suoi undici anni
e incontrò la morte
a un angolo di strada

Ricordati di Barbara
Giuseppe e Salvatore
che svanirono
nel lampo di Pizzolungo

Ricordati di Giuseppe
che sognava di volare
sul cavallo dell’alba
e trovò la notte
nelle mani del boia

Ricordati
di Mario Silvio Calogero
Pasquale Eugenio Mario Giorgio
di Filadelfio
di Boris
di Cesare e Lenin
di Domenico Giovanni Salvatore
di Emanuele
di Gaetano
di Vito
di Luigi Silvano Salvatore Giuseppe
di Carlo Alberto Emanuela Domenico
di Calogero
di Giangiacomo
di Mario Giuseppe Pietro
di Rocco Mario Salvatore Filippo
di Beppe
di Ninni e Roberto
di Natale
di Antonino e Stefano
di Ida e Antonino
e del loro figlio non nato
di Rosario e Giuliano
di Giovanni Francesca Antonio Rocco Vito
di Paolo Agostino Claudio Emanuela Vincenzo Walter
di Giuseppe
che servivano lo Stato
e trovarono la morte in agguato
e la solitudine alle spalle

Ricordati di Biagio e Giuditta
che attendono ancora la vita
al capolinea della morte

Ricordati di Libero
che non volle piegarsi
mentre la città era ai piedi
degli estorsori
di Pietro Giovanni
Gaetano Paolo e Giuseppe
che seppero dire di no

Ricordati del medico Paolo
che non volle attestare il falso
di Giovanni che denunciò
gli ordinari misfatti
sulle scrivanie della regionehn

Ricordati di Rita
che non volle più vivere
perché avevano ucciso
la speranza

Ricordati di Giorgio
di Costantino
di Stefano
di Pino
preti di un Cristo quotidiano
fratello degli ultimi
crocifisso dai potenti

Ricordati di Giuseppe
di Domenico
di Filippo
sangue ancora vivo
nomi che dobbiamo ancora aggiungere
al nostro rosario di morti

Ricordati di ricordare
i nomi delle vittime
e i nomi dei carnefici
(i notissimi ignoti
di ieri e di oggi)
perché tutte le vittime
siano strappate alla morte
per dimenticanza
e i carnefici sappiano
che non finiremo mai
di condannarli
anche se hanno avuto
mille assoluzioni

Ricordati di ricordare
le impunità
le protezioni
le complicità
gli interessi
che hanno fatto
di una banda di assassini
i soci del capitale
e i gemelli dello Stato

Ricordati di ricordare
ora che le bombe degli attentatori
scuotono le città
che vogliono affrancarsi
e sui teleschermi della seconda repubblica
si intrecciano i segnali
delle nuove alleanze

Ricordati di ricordare

quanto più difficile è il cammino
e la meta più lontana

perché

le mani dei vivi

e le mani dei morti

aprono la strada

Umberto Santino
Luglio 1994 – ottobre 2000

 

 

 
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