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Cari compagni, care compagne.
Sono un po’ di giorni che cerco di
srotolare il groviglio
di emozioni e tensioni che si annoda
nella bocca dello stomaco, pensando a quali parole usare per dirvi che non sono
nascosto fra queste righe, ma sto li’ con voi, all’aria libera e liberata delle
vie di Roma.
Per dirvi che Renato lo ricordiamo in tutte le latitudini per ribardirvi che il fascismo si maschera in
cento e uno modi: nei discorsi stupidi del coatti, nelle manie annoiate dei
pariolini, nella violenza di genere che infesta anche i movimenti di
liberazione, nelle divise che pattugliano le citta’, nei paramilitari che
sgomberano le comunita’ contadine, nelle cupole del potere, della borsa, negli
yacht degli assassini che depredano il nostro pianeta. Mi sento impacciato e
stretto fra queste parole, perche’ certi ricordi corrono liberi, a cascata,
come torrenti per le montagne.
Volevo solo fermarmi un attimo a ricordare Renato. Renato che per me e’ Renato delle feste o Renato de
Pirateria, che per qualcun’altro e’ Renato delle partite di calcio al
Cinodromo, o Renato che suona, o Renoiz; o Renato, l’amore della vita, Renato
con gli occhi belli, Renato l’amico d’infanzia. Ognuno, ognuna, ha il suo
Renato. Pero’ poi c’e’ un Renato di tutti, di tutte. Un Renato
gigante che non perde l’umanita’ o la sua bellezza originale e specifica
ma che trascende se stesso per diventare esperienza collettiva.
Renato come simbolo di lame che non vogliamo piu’ vedere, di storie e connubi
che devono sparire dalle cronache, dalle strade, dalla storia.
Renato nel quale molti e molte ci siamo identificati senza forzature, perche’
Renato, come Antonio, e’ lo stendardo del sorriso, della vita, della militanza
solare contro la tristezza della rassegnazione e la violenza della barbarie.
Renato e’ gia’ memoria collettiva, gia’ s’e’ moltiplicato ed
aperto in una pioggia di sorrisi, di pugni chiusi, di riunioni, di striscioni,
di feste, di cordoni, di abbracci e di baci. Renato e’ una corrente nelle
grandi mareggiate del movimento, dei movimenti.
Adesso che leggete queste righe sto in una comunita’ indígena e contadina, una
delle tante che, autogestita e ribelle, resiste all’avanzata devastante del
neoliberismo. Con altre parole di un’altra lingua, stiamo ricordando Renato.
Con altre lotte, continuiamo a tessere la memoria viva del cambiamento che
auspichiamo e costruiamo.
Questa memoria collettiva c’impone una responsabilita’ ancora piu’ grande di un
semplice, dovuto e malinconico ricordo. Impone una scelta senza mezzi termini
che giustifica una vita da pazzi, che giustifica le botte, gli agguati, il
carcere e tutte quelle grigezze che incombono sulle scelte colorate ed abbaglianti
che facciamo. La memoria collettiva, questo meccanismo complesso in cui ognuno
e’ attore o attrice, ci costringe a darci dentro a piu’ non posso. A non
rendere inutile altro sangue, perche’ altrimenti non avrebbe veramente senso
andarsene cosi’, in una bella notte d’estate.
Che la paura non ci paralizzi, compagni, compagne: vogliamo mettere quanto dura
il guizzo d’una lama infame con il riverbero eterno delle stelle, per le quali
lottiamo?
Come gia’ ha scritto qualcuno, un occhio all’immediato e l’altro all’infinito.
Nell’infinito, nel mondo piu’ giusto, nelle pratiche altre che faticosamente
stiamo provando c’e’ Renato. C’e’ anche Antonio, ci sono i partigiani, i Dakota
che si vendicarono su Custer, i bambini minatori dell’800 di Marx e del 2000
nell’Afghanistan di Bush, le streghe bruciate nel Medioevo e tutte le felici
anomalie che hanno fatto si’ che il mondo non sia una triste landa grigia,
dolente e sottomessa.
Vabbe’ riga’.
In fondo volevo solo dire che ormai Renato ce lo portiamo cucito nell’anima e nella
bandiera e che c’e’ solo un modo per non dimenticarlo mai:
sorridere e cambiare il mondo.
Un forte abbraccio a tutte e tutti.
Vostro Fazio
Messico, 28 agosto 2009